Ovvero delle Famiglie
Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili
di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti
alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate
chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che
abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia.
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Famiglia
Sambiase |
Arma: d’argento alla
fascia sormontata da un lambello a cinque pendenti, il tutto di
rosso(1).
Cimiero: un drago.
Dimore:
Napoli, Cosenza, Calopezzati, Crosia, Malvito, Mandatoriccio. |
© Napoli - Stemma Famiglia Sambiase |
La famiglia Sambiase è una diramazione dell'illustrissima
famiglia
Sanseverino, prese il nome
da un feudo che possedeva
Martorano e Sambiase in
Calabria Ultra
(oggi comune omonimo il primo, ed il secondo compreso nell'attuale
città di Lamezia Terme). Il capostipite fu RUGGIERO
Sanseverino Sambiase (fece testamento nel 1190). Il De
Lellis riporta che nei documenti faceva riportare Sanseverino
Sambiase, od alternativamente l'uno o l'altro, per poi adottare
il solo cognome di Sambiase.
Godette di nobiltà in: Cosenza, Lecce e Napoli ove fu ascritta
al
Patriziato Napoletano
del Seggio
di Portanova.
Più volte fu ammessa nel
S.M.O. di Malta:
Frà ROSALBO di Cosenza; nel Cinquecento, Frà NICOLA,
Commendatore di Cosenza; Frà FRANCESCO ANTONIO, Cosenza
1673, figlio di GIUSEPPE RUGGIERO e di Vittoria
Mandatoriccio; Frà FRANCESCO SAVERIO (1670 † 1683),
Cosenza 1672, Commendatore, figlio di BERNARDINO ed
Isabella
Cavalcanti; Frà NICOLA
(29 aprile 1672 † 2 maggio 1739), Cosenza 1669, figlio di
PIETRO VINCENZO e di Maria Barone, Gran Croce, Priore di
Venosa, Balì di Messina, Grande Ammiraglio; Frà NICOLA
(n. 3 ottobre 1683), di Cosenza, figlio di PAOLO ISIDORO
e di Anna
Dattilo; Frà GUIDO
ONOFRIO (13 gennaio 1701 † Napoli, 6 settembre 1753),
Cosenza 1721; Frà DOMENICO ANTONIO († 30 aprile 1750) 2°
duca di Malvito, Cosenza, il 17 febbraio 1743, figlio di
PAOLO e Maria Cavalcanti; Frà FERDINANDO († Napoli,
dicembre 1795), ammesso il 29 marzo 1792; Frà DOMENICO
(1740 † 1808), figlio di PAOLO II, 2° duca di Malvito e
di Maria Cavalcanti.
Ammessa nel 1595 come quarto della famiglia Rocco e
nel 1615 come quarto della famiglia del
Giudice.
Fu decorata, nei suoi vari rami, da numerosi titoli tra i quali:
Baroni di: Carignano (feudo in provincia di Taranto, fu confiscato dagli
Aragonesi
e nel 1464 passò
alla famiglia
Carignani);
Caloveto,
Calopezzati
e
Pietrapaola (per successione Mandatoriccio, feudi in
Provincia di Calabria Citra).
Conte di:
Bocchigliero (con
privilegio di
re Carlo II
d'Asburgo-Spagna
nel 1696, feudo in Calabria Citra).
Duchi di:
Crosia (per
successione Mandatoriccio, intestato il 18 settembre 1698, feudo
in Calabria Cira);
Malvito (Paolo Sambiase, il 28 dicembre 1695, fu insignito dal re
Carlo II d'Asburgo-Spagna);
San
Donato
(per successione
Ametrano,
riconosciuto con regio rescritto del 16 marzo 1833).
Principi di:
Bonifati
(passò in Casa
Sambiase nel 1732 a seguito di matrimonio tra donna Giulia Telesio
e
Sanseverino Sambiase,
duca di Malvito);
Campana
(con privilegio
di re Carlo II d'Asburgo-Spagna nel 1696, feudo in Calabria
Citra). |
© Napoli - Ingresso Palazzo Sambiase
Sanseverino |
Ramo dei Principi di Campana e Duchi di Crosia |
BARTOLO (Calopezzati, 6 luglio 1673 † ivi, 30 agosto 1705), patrizio di
Cosenza, figlio di GIUSEPPE RUGGIERO di SCIPIONE
(nipote di PAOLO, 1° duca di Malvito) e di Vittoria
Mandatoriccio, 3^ duchessa di Crosia, la quale il 10 luglio
1677 ebbe significatoria di relevio per le terre di
Crosia, Caloveto, Calopezzati, Pietrapaola e pertinenze, come erede per la morte del duca Francesco, suo
fratello, deceduto improle il 19 gennaio 1676, aveva sposato
Giuseppe Ruggero nel 1666 a Calopezzati, nel cui castello di
famiglia aveva stabile dimora.
Bartolo acquistò le terre di Campana e Bocchigliero con la catapania per vendita fattagli da Alessandro
Labonia, nobile di
Rossano, per la somma di ducati 50.639, con Regio Assenso del 9
dicembre 1694; ottenne il
titolo di principe di Campana e conte di Bocchigliero
con privilegio di re Carlo II d'Asburgo-Spagna
nel 1696.
Il 18 settembre 1698 s'intestò lo stato di Crosia (4° duca), con
Caloveto, Calopezzati e Pietrapaola, come erede per la morte di
sua madre Vittoria Mandatoriccio avvenuta in Calopezzati il 4
maggio 1696.
Sposato in prime nozze a Francesca
Pignone Del Carretto, figlia di Alessandro († 1730), 3° principe di Alessandria e 5°
marchese di Oriolo, e di Maria Quiroga y Fajardo dei marchesi di
S. Dano in Terra
d'Otranto; in seconde
nozze, nel 1704, a Chiara
Filomarino, non ebbe
prole.
FELICE NICOLA (Calopezzati, 26 ottobre 1674 † Napoli, 24 giugno 1724 ed ivi
sepolto al Carmine Maggiore), 2° principe di Campana e conte di
Bocchigliero, 5° duca di Crosia, barone di Caloveto, Calopezzati
e Pietrapaola, come erede per la morte di suo fratello Bartolo,
prese intestazione il 20 settembre 1706. Fu
Grande di Spagna di 1^ Classe
con privilegio dato a Vienna il 5 novembre 1718. Sposò Cleria
Cavalcanti, figlia di
Antonio, 2° duca di Caccuri.
GIUSEPPE DOMENICO (Calopezzati, 4 agosto 1709 † Napoli, 9 febbraio 1776), 3°
principe di Campana etc., Grande di Spagna di 1^ classe dal
1724, patrizio di Cosenza, patrizio napoletano, aggregato al
Seggio di Portanova il 27 marzo 1741; il 13 marzo 1726 ebbe intestazione dei feudi
come erede per la morte di suo padre Felice Antonio. Sposò
Eleonora
Caracciolo, figlia di
Domenico, 5° duca di Vietri, e di Geronima Belprato Marchese dei
principi di San Vito.
VINCENZO (1754 † Napoli, 21 novembre 1784), 4° principe di Campana etc.,
l'11 marzo 1784 s'intestò le terre feudali come erede per la
morte di suo padre Giuseppe Domenico. Sposò Giovanna
Ruffo, figlia di Letterio, duca di Baranello e sorella del Cardinale
Fabrizio Ruffo, e di Giustina
Colonna-Romano, 4^ principessa di Spinoso, ebbero per figli, tra gli altri:
GIUSTINA (Napoli, 22 ottobre 1777 † Roma, 16 giugno 1833);
FERDINANDO (Calopezzati, 6 maggio 1776 † Palermo, 4 marzo
1830); e GIUSEPPE MARIA (Calopezzati, 1° giugno 1773 † 14
maggio 1797), 5° principe di Campana etc., il 10 dicembre
dicembre del 1784 ebbe l'ultima intestazione delle terre
feudali. Ferdinando, 6° principe di Campana etc., successe a suo
fratello Giuseppe Maria, morto prematuramente. Sostenne suo zio,
il Cardinale Fabrizio Ruffo, durante la
spedizione del 1799, avviato al sacerdozio divenne militare. Soffrì il carcere per non
aver voluto condannare un militare non meritevole di pena.
Riabilitato col grado di Colonnello, sotto re
Gioacchino Murat,
partecipò alla campagna di Russia dove si segnalò ad Ormiana ed
a Vilna, riportandone, oltre che una ferita, mutilazioni agli
arti per congelamento. Prese parte alla battaglia di Tolentino,
nella quale rimase gravemente ferito. Comandante Generale delle
armi in Sicilia, morì a Palermo. Fu nominato
Cavaliere del Real Ordine di
San Gennaro.
Giustina, 7^ principessa di Campana etc., successe di
diritto nelle prerogative nobiliari della famiglia come sorella
primogenita dei suoi due fratelli principi morti improle.
Sposata nel 1796 a don Marco
Boncompagni
Ludovisi Ottoboni, 8° duca di Fiano, portò i titoli in questa
casata
(1bis). |
Generale Ferdinando Sambiase |
Castello di Calopezzati |
Don Paolo
Maria
(1781 † 1841), duca di Malvito e di San Donato, principe di
Bonifati, nipote del principe Domenico
Capece Zurlo, nel 1809 sposò
donna Beatrice Perrelli
dei duchi di Monasterace; sostenitore della
Repubblica Napoli del 1799,
fu perseguitato dopo la Restaurazione.
In un manoscritto conservato dal conte
Ladislao Sambiase
Sanseverino, nato a Napoli nel 1881,
tra
i tanti episodi, è scritto che detto don Paolo Maria riuscì a
mettere in salvo 18 patrioti tra i quali figurano: il fratello
Gennaro, il cugino Ferdinando Sambiase principe di Campana, il
duca Marotta, il
principe di Sirignano,
Agostino
Colonna fratello del principe
di Stigliano, il duca
Albertini di
Cimitile, e Onorati
Gaetani duca di
Laurenzana.
Li radunò sotto Port’Alba
e li condusse al monastero della Sapienza dove era priora una
sua zia, donna Maria Carmela Sambiase,
che li nascose nei
sotterranei della chiesa del monastero sito in via
Costantinopoli.
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© Napoli - Port'Alba, il luogo
dell'incontro. A destra: Chiesa di S. Maria della Sapienza
|
Il giovane
Marino marchese di Genzano, appena
sedicenne, arrivò tardi all’appuntamento e, riconosciuto dalle
guardie, fu arrestato e condannato a morte.
I Sanfedisti, venuti a conoscenza che in detto monastero si
erano rifugiati molti giacobini, assediarono l’immobile
minacciando cose terribili qualora non fossero stati
immediatamente consegnati i rifugiati.
A questo punto, le coraggiose suore provenienti quasi tutte da
famiglie aristocratiche quali i
Pignatelli, i
Pignone del Carretto, i
del Balzo, i Perelli, i
Tomacelli, gli
Orsini di Gravina, decisero di opporsi alla richiesta dei
Sanfedisti; spalancarono le porte del sacro edificio, posero la
statua della Madonna della Misericordia sulla balaustra e, a
nome di tutti, donna Maria Carmela gridò: “Si, o signori, ho
ricoverati e nascosti dei bravi e buoni giovinotti mettendoli
sotto la protezione di Maria Santissima. Se ne avete il
coraggio, venite ora a prenderli.”
I Sanfedisti, intimoriti dall’energica reazione delle monache,
tolsero l’assedio.
Il Sambiase, grazie all’intervento del cardinale
Ruffo, parente della priora, si rifugiò
a Roma ove fu ospitato da Marcello Ottoboni, duca di Fiano e
marito di Giustiniana Sambiase, sorella del principe di Campana.
Ripararono a Roma anche Gennaro, Giuseppe e Mario
Spinelli, figli del marchese di
Fuscaldo; il primo era stato aiutante di bandiera
dell’ammiraglio
Caracciolo ed
in seguito fu decorato col titolo di principe di Cariati e nel
1848 fu presidente dei ministri.
Don
Gennaro
(Napoli, 1783 † Danzica, 1813), fratello del duca Paolo Maria,
nel 1807, appena ventenne, sfidò a duello ed uccise al primo
colpo di pistola un certo Dachino, tenente colonnello della
truppa Cisalpina, reo di aver usato un linguaggio oltraggioso
nei riguardi dei suoi compaesani; gli fu padrino il duca Diego
Pignatelli di Monteleone (†1873).
Alcuni anni dopo, raggiunto il grado di capitano delle guardie
d’onore a cavallo nel contingente napoletano dell’esercito
napoleonico partecipò alle campagne di Russia e di Germania;
ferito a morte durante l’assedio di Danzica, rese l’anima a Dio
confortato dalla presenza di suo cugino il principe di Campana.
Don
GENNARO Sambiase Sanseverino (Sala
Consilina, 8 settembre 1821 † Napoli, 27 ottobre 1901),
figlio di Paolo Maria duca di Malvito e di San Donato,
principe di Bonifati,
e
di Beatrice Perrelli dei duchi di Monasterace, per i suoi ideali politici conobbe il
carcere, l'esilio e la guerra, fu sindaco di Napoli e inaugurò
la bonifica generale della grande metropoli. Fu Cavaliere dell'Ordine
di Carlo III di Spagna. |
© Napoli - Gennaro Sambiase
Sanseverino, duca di San Donato (1821†1901) |
Il 23 novembre 1847
partecipò ad una delle tante manifestazioni che raggiunse Largo
di Palazzo al grido di “Viva il Re, viva la costituzione,
viva l’indipendenza italiana!” per poi proseguire, sotto
l’incalzare della cavalleria che inutilmente cercava di
disperdere la folla, lungo via Toledo. Tra i manifestanti vi
erano il duca Proto di Maddaloni, il marchese Caracciolo di
Bella, figlio del principe di Torella, Maurizio
Barracco col fratello Giovanni, il
duchino
Morbilli, Andrea Colonna di
Stigliano, Gioacchino
Saluzzo di
Lequille(2),
Luigi Caracciolo di S. Teodora, Ferdinando de Petruccelli,
Pasquale de Virgiliis, Alfonso de Caro.
I manifestanti, giunti presso il Palazzo del
Nunzio, furono aggrediti da un drappello di Ussari cavallo
comandati dal tenente Acerbi; essendo armati di soli bastoni
dovettero disperdersi tra le stradine laterali e molti di essi
furono arrestati. |
© Napoli - epitaffio in ricordo
del duca Gennaro Sambiase Sanseverino |
Il Casato risulta iscritto nel Libro d'Oro della Nobiltà
Italiana con LADISLAO Sambiase (nato a Napoli il 14 gennaio
1866) coi titoli di principe di Bonifati, duca di San Donato e
di Malvito.
Il titolo di conte di Vadi passò in
Casa Petriccione nel 1898, per maritali nomine, a seguito di
matrimonio tra la contessa di Vadi VITTORIA BEATRICE Sambiase
Sanseverino (n. Napoli, 1874) e
Luigi
Petriccione.
|
Chianche
(AV) - 11 settembre 2010
Discorso
in memoria del Duca di San Donato |
Chianche è uno splendido
paesino in provincia di Avellino; il borgo
fu
feudo dei
Caracciolo, dei
Carafa, dei
Filomarino, degli Zunica e dei
Sanseverino.
Il castello di Chianche fu nel
1593 acquistato da
Giovan
Battista
Manso,
marchese de Villa Lago nel 1621, che vi ospitò i suoi amici:
Torquato Tasso, Milton e Marini.
Gennaro
Sambiase Sanseverino, duca di San Donato e feudatario di
Chianche, amava trascorrere periodi di riposo nel Castello,
trasformato in residenza nobiliare. |
Chianche (AV) - Fontana San Donato
© Per gentile concessione di
Federica Minaci Sambiase Sanseverino |
Federica Minaci
Sambiase Sanseverino, nipote del duca, l'11 settembre 2010 in
Chianche ha così ricordato la figura del Duca di San Donato:
"Il
Duca di San Donato, Don Gennaro, il mio bisnonno, è sempre stato
una figura imponente nella storia della famiglia.
Il fisico e il modo di vestire, con una predilezione per
cappelli molto grandi, come una tuba bianca, che
potete vedere anche in qualche foto, di certo lo aiutarono molto
a diventare un'icona a Napoli.
Anima
ardente di patriota, uomo di idee e di azione volle e seppe
dare se stesso al Paese che amava.
Fu
appunto il carattere, la decisione e la risolutezza che ha
sempre avuto, ad averne fatto un punto fermo e un grande
esempio.
|
©
Ritratti di
Gennaro
Sambiase Sanseverino, Duca di San Donato e della moglie Donna
Maria d'Alessandro. |
C'è da
dire che nella storia della famiglia c'è sempre stata una
certa irrequietezza di carattere e gran patriottismo.
Basti
pensare che un suo prozio, omonimo, partecipò alla
campagna di Russia come comandante di tre squadroni delle
Guardie d'Onore del Regno delle Due Sicilie insieme a
Gioacchino Murat e morì nell'assedio di Danzica.
La
partecipazione di Don Gennaro alla lotta per l’indipendenza,
l’unità d’Italia e le libere Istituzioni fu aperta e coraggiosa,
pagata a prezzo di grandi sacrifici. Ebbe per effetto per lui,
come per altri non solo di allargare la cerchia delle sue
amicizie personali (Rattazzi, Imbriani, Crispi, De Pretis, Carlo
Poerio, Guglielmo Pepe, Giovanni Nicotera solo per citarne
alcuni), ma anche la sua cultura politica.
Lettere inedite a Lui dirette da illustri contemporanei danno
ampia prova dell’importanza che Lui ebbe nel risorgimento.
Unì
alla lotta sul terreno dei principi l’azione sul campo di
battaglia.
Nato
nel 1823, di profonde idee liberali, già a 24 anni, fu
arrestato per esseri messo a capo di una dimostrazione
di piazza, al grido di “Viva la Costituzione!”.
Questo
episodio lo rivelò politicamente in modo clamoroso e non
equivoco.
Dopo
il secondo arresto, “Il Duchino” com'era schernito dai
poliziotti che lo arrestarono, fu liberato nel 1848 e fuggì a
Parigi
(imbarcandosi sull’Aryel travestito da cameriere
dell’Ambasciata francese in possesso di un salvacondotto) dove
divenne redattore per il quotidiano La Presse di
Émile de Girardin.
Poco dopo il suo arrivo a Parigi un altro
pubblicista francese scriverà di lui: “a patto che non si lasci
ammazzare per la strada, questo giovanotto farà molto cammino”.
Don Gennaro infatti dopo 2 mesi era già al suo quinto duello.
Dopo il colpo di stato in Francia fuggì in
Inghilterra continuando a scrivere del malcontento italiano
sotto i Borbone e lì attese fino al '59, quando tornò a
Torino e si arruolò come aiutante di campo di Garibaldi nei
Cacciatori delle Alpi, partecipando alla campagna di
liberazione della Lombardia: “ov'ebbe contegno da
prode” secondo le parole di Garibaldi stesso.
Con Lui figurano nei moti, nell’esilio, in guerra
moltissimi nomi della più illustre nobiltà delle due Sicilie
aperta a idee nuove.
Comunque quale genere d'uomo sia stato è
deducibile dalle parole che ebbero per lui, Garibaldi e lo
stesso re Vittorio Emanuele II, che scrisse testualmente nella
lettera che gli mandò dopo l'attentato camorristico “Se io le
fossi stato vicino in quel momento non le avrebbero fatto un
così brutto giuoco, li avrei scannati tutti” e “mi
conservi la sua cara amicizia”
|
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Lettera inviata dal
Duca a re Vittorio Emanuele II datata 31/12/1860 e la risposta
del 14/3/1861, giorno in cui il Parlamento proclamò Vittorio
Emanuele II Re d'Italia.
© Archivio Casa Minaci Sambiase
Sanseverino |
Dopo l’Unità d’Italia tornò a Napoli.
Sappiamo poi che divenne sovrintendente dei
teatri a Napoli, fu pugnalato alla schiena fuori dal San
Carlo dalla camorra, fu eletto Sindaco e soprannominato “'O
Duca nuosto” e “il simpatico Pappone” dai napoletani
e “Re di Napoli” da Vittorio Emanuele II stesso, che in
visita alla città gli disse “Entriamo nel vostro regno”
Visse per il popolo: iniziò il risanamento igienico-sanitario-edilizio di Napoli, l’espropriazione delle
acque del Serino e l’incanalamento, la direttissima Napoli Roma,
l’illuminazione, cassa armonica, Via Tasso e via Caracciolo.
Durante i quarant’anni di carriera parlamentare
la sua forza e la sua debolezza fu sempre la preminenza data
alle esigenze del mezzogiorno, la volontà di combattere la
disparità di condizioni tra nord e sud, il desiderio di
predisporre un migliore avvenire per il mezzogiorno.
Bocconi amari ….. spesso da ministri e ministeri
“amici”.
Le idee e gli atti da Lui compiuti sono il solo
ed unico retaggio lasciato ai figli dopo 50 anni di vita
politica ed amministrativa. " |
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Napoli - processione
funebre del Duca di San Donato
©
Archivio Casa Minaci Sambiase Sanseverino |
Don Gennaro Sambiase Sanseverino rese l'anima a Dio in Napoli il
27 ottobre 1901, con grande rimpianto dei suoi concittadini
accorsi numerosissimi al suo funerale; la presenza di tanti
Frati è la prova lampante che il Duca non appartenne mai alla
massoneria, mettendo a tacere per sempre le illazioni di "oscure
frequentazioni". |
© Napoli - Arma della Famiglia
Sambiase |
Comuni infeudati dalla famiglia Sambiase
e la masseria di Mirto, frazione di Crosia, sullo Jonio
cosentino, detto castello dalla gente del luogo: |
Malvito (CS) |
San Donato di Ninea (CS) |
Campana (CS) |
Bocchigliero (CS)
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Masseria Ducale di Mirto, frazione di Crosia
|
Masseria Ducale di Mirto, frazione di Crosia |
Tavola
genealogica tratta da "Le ultime intestazioni feudali in
Calabria"
di Mario Pellicano Castagna, Effe Emme Edizioni, 1978 |
I Sambiase e la Bagliva dei Casali di Cosenza |
Ignazio
(Cosenza, 1624 † ivi, 1693),
patrizio di Cosenza, figlio di
Diego
(† 1639, figlio di
Flaminio
† 1606 e di Giulia
Passalacqua)
e di Petronilla de Martino del casale di Pietrafitta, acquistò
dalla baronessa Ippolita
Pagano la
Bagliva dei Casali di Cosenza detta del
Manco
(3)
con Regio Assenso del 10 dicembre
1663.
Diego , figlio
d'Ignazio durante la sua assenza gestiva l'amministrazione della
Bagliva; premorì al padre; su istanza dei creditori d'Ignazio il
feudo fu messo all'asta dal Sacro Regio Consiglio.
Giuseppe (Napoli, 1677
† ivi, 1744) nipote del fu Ignazio in quanto figlio di suo
fratello
Flaminio; avvocato; acquistò all'asta il feudo
per ducati 8.300, seguì il Regio Assenso il 15 maggio del 1699;
sposò Antonia
del Pezzo dei
principi di San Pio; ebbero per figlia
Teresa
la quale sposò Filippo
Mezzacapo, i suoi
figli Gaetano e Giovanni furono
cavalieri del S.M.O.M.
.
Ignazio Aniello,
figlio di Giuseppe ereditò la Bagliva dei Casali di Cosenza;
sposò Maria Carmela Sebastiani con la quale ebbero
Marianna
cha andò in sposa al suo parente
Francesco Saverio
Sambiase 4° duca di Malvito.
Giuseppe, figlio
d'Ignazio Aniello ereditò il feudo e ne ebbe l'ultima
intestazione il 17 settembre 1773; sposò Chiara
Gaetani dei
marchesi di Cirigliano, ebbero per figli:
Maria Carmela
e Vincenzo,
con essi questo ramo si estinse in quanto non ebbero discendenza
(4). |
Tavola
genealogica tratta da "Le ultime intestazioni feudali in
Calabria"
di Mario Pellicano Castagna, Effe Emme Edizioni, 1978 |
|
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In alto:
Cosenza, Palazzo Sambiase
A sinistra: Cosenza, Palazzo Sambiase,
particolare archi
|
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Cosenza, Chiesa del SS.
Crocifisso, stemma Sambiase
(5) |
Cosenza, Museo Diocesano,
stemma dipinto su tela da Luca Giordano, commissionata
dai Sambiase |
_________________
Note:
(1)
- Libro d'Oro Napoletano - Archivio di Stato di Napoli -
Sezione Diplomatica.
(1bis) -
Mario Pellicano Castagna “Storia dei
Feudi e dei Titoli Nobiliari della Calabria” Vol.I,
Frama Sud 1984, pagg. 345-357. Gustavo Valente “ Storia
di un paese, Mirto Crosia”, a cura dell'opera per la
valorizzazione della Sila, S.C.A.T. Cosenza, 1958,
pagg.11-12. Libro d'Oro della Nobiltà Mediterranea.
Gustavo Valente “Il Sovrano Ordine di Malta e la
Calabria”, La Ruffa Editore, 1996, pagg. 331-332.
(2) - La
famiglia Saluzzo nel 1682 acquistò il feudo di Lequille
(presso Lecce); nel 1762 Maria Luisa Saluzzo cedette il
feudo allo zio Carlo Saluzzo riservando per sé il titolo
di principe di Lequille che trasmise al marito Gaetano
Montalto e ai discendenti Antonio e Francesco duca di
Fragnito. Giovanni Filippo, Carlo Maria e Gioacchino,
rispettivamente figlio, nipote e pronipote di Carlo
Saluzzo continuarono ad usare il titolo di principe di
Lequille. Dopo una lunga vertenza la Commissione dei
titoli nobiliari nel 1859 diede ragione ai Montalto e la
Consulta araldica confermò la sentenza.
(3)
- Con legge regionale n.11 del 2017, il 5 maggio 2017 è
stato istituito il comune Casali del Manco a seguito
dell'approvazione di un referendum del 26 marzo 2017 che
ha portato alla fusione dei comuni di: Casole Bruzio,
Pedace, Serra Pedace, Spezzano Piccolo e Trenta.
(4)
- Mario Pellicano Castagna “Storia dei Feudi e dei
Titoli Nobiliari della Calabria” Vol.II, pagg.159-160;
Editrice C.B.C. 1996.
(5)- Luca Irwin
Fragale, Microstoria e araldica di Calabria Citeriore e
di Cosenza. Da fonti documentarie inedite, Milano, Banca
CARIME, 2016. |
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