Ovvero delle Famiglie Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia.   

Famiglia d'Alessandro

Pagina realizzata dal dott. Ettore d'Alessandro di Pescolanciano


Arma: d'oro al leone rosso con la banda nera, caricata da tre stelle di campo ad otto raggi attraversante sul tutto. Per il Ramo di Pescolanciano stelle a sei raggi.

Stemma Famiglia d'Alessandro
© Stemma della Famiglia d'Alessandro inquartato nella croce Melitense

Storia dei Rami di Casa d'Alessandro

Le più antiche e primordiali baronie possedute dal Casato furono collocate tra la penisola sorrentina ed il Cilento. Si ricorda il miles Christi Guido de Alexandro, quale Barone di Roccagloriosa in Principato citeriore (fine XII sec.), perché menzionato nel Catalogo del Borrelli tra i feudatari rossocrociati partiti per la Terra Santa (terza croc. 1189-92) ed approdato in terra di Apulia a fine del suo servizio in qualità di precettore della domus di Lama per mandato del capitolo della provincia di Puglia-Terra di Lavoro dell’Ordine del Tempio, presieduto da Pietro de Ays.
In detta provincia fiorì il ramo pugliese che ebbe tra i suoi ascendenti Lando de Alexandro, componente della comunità templare della chiesa di S. Paterniano di Ceprano (1269). Seguì una discendenza, godente di nobiltà cittadina in Ascoli Satriano (sec.XVI, con insegna uguale ma leone che guarda a man destra), Barletta e Foggia. Vi fu anche il noto Gio. Pietro d’Alessandro, dottore in legge, autore di varie opere letterarie, quale la “Dimostrazione de’ luoghi tolti et imitati di più autori di Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata” (1604).

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© Napoli - palazzo d'Alessandro -Stemma di famiglia

I collegamenti tra questo ramo e quello principale campano (con leone a man sinistra nell’insegna e stelle della banda attraversante ad otto punte) continuarono fino al XVIII secolo.
Tra i membri più illustri del ramo napoletano si menziona il Nob. Angelo, consigliere del Re Carlo I d’Angiò, promosso Luogoten. del Regno (1282-85) per la sentita fedeltà alla corona angioina.

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© Sorrento (NA) - Arma d'Alessandro con le insegne della dignità vescovile

Il di lui figlio Ludovico fu arcivescovo di Sorrento (1266) e importante referente del nucleo familiare che prese dimora nella suddetta città, godendo della nobiltà di seggio di Dominova (giudice Saverio ab Alexandro, 1304).

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© Sorrento - sede del Sedile di Dominova. A destra: © Napoli - particolare cappella d'Alessandro

Da tale ramo sorrentino, che si spense nel XVIII sec., derivò poi la discendenza dei d’Alessandro Barone della vicina terra di Albanella (Francesco Jr, sec.XV). Altro figlio di Angelo fu Carlo, giustiziere di Calabria, provincia questa che vide sviluppare un ramo calabrese con alcuni esponenti della famiglia, insigniti del rango di Nob. delle città di Melfi, Rossano e Mormanno.
Tra gli esponenti calabresi si rammenta Sebastiano, che vestì l’abito carmelitano in Catanzaro e fu consacrato, in vecchiaia da Papa Clemente X, vescovo di Ruvo (1672).

Il capostipite di Casa d'Alessandro: Giovanni Francesco - Anno 1576
© Il capostipite Giovanni Francesco d'Alessandro Anno 1576

Antonio d’Alessandro fu intestatario delle proprietà feudali di Figurella (1781) e Moncoturno (1796-1802), mentre una significativa presenza di altri personaggi si riscontra nella città di Montalto Uffugo, ove i d’Alessandro ottennero il riconoscimento di famiglia Nob. con diritto di sedile (1793 con Gaetano, risultante poi con Carlo tra i fondatori del convento degli Ordini dei Minimi, 1699). Nel ramo principale partenopeo, seguì, poi, Giovanni di Carlo, quale Bar. di San Giorgio (fine sec.XIII), mentre il di lui figlio Francesco e fratello Gualterio risultarono tra i Bar. del Regno di Carlo II d’Angiò, che ne ordinò la rivista in S. Germano (1291).
Antonio di Francesco fu erario della città di Napoli (1311), invece il fratello Alessandro fu maestro di Teologia e scelse di indossare gli abiti religiosi diventando Generale dei frati Minori (1310), come avvenne per il cugino frate Giovanni de Alessandro abate del convento di San Giovanni a Carbonara in Napoli.

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© Napoli - Stemma famiglia d'Alessandro. A destra: Chiesa di S. Giovanni a Carbonara

Giovanni II, come il padre Antonio, fu erario di Napoli (1338), carica questa assegnata anche al di lui figlio Antonio II (1343) dalla regina Giovanna I.
Giovanni III di Antonio, Barone di Casanova, fu gran Camerario di Calabria (1415) poi Maresciallo del Regno e giustiziere degli Scolari.
Il Casato in Napoli fu molto legato alla Casa d’Angiò tanto che Paolo di Giovanni III fu scelto quale segretario personale della Regina Giovanna II, che lo promosse al rango di familiare di costei e lo nominò Direttore del gran Sigillo.
Suo fratello Sansonetto fu pure familiare della stessa Regina angioina ed ebbe l’incarico di governatore di Montefusco e suoi casali avellinesi (1415), nonché di Lucera e Foggia (1423).
Costui fu il capostipite primogenito napoletano del ramo d’Alessandro, Duchi della Castellina/o (sul Biferno, dal cui matrimonio con Maria Liguoro derivò un’illustre progenie. Camillo fu cavaliere professo di Malta nel 1574, come lo fu poi Antonio ammesso all’Ordine di Malta nel 1686. Portò splendore a questo ramo Giovanni Battista di Lelio e N. Macedonio, perché tra i nobili fondatori dell’opera caritatevole del Pio Monte della Misericordia in Napoli (1601), di cui fu governatore (1609), nonché per essere stato nominato dal sedil di Porto quale deputato autorizzato a trattare con il viceré Duca di Medina de Las Torres per l’abolizione di alcuni gravosi dazi.

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© Napoli - Pio Monte della Misericordia -
Chiesa e Quadreria (circa 150 tele del XV e XIX sec., opere di Ribera, Caravaggio, Giordano, ecc.

Re Filippo IV di Spagna lo nominò Duca della Castellina in Molise (1639, titolo mantenuto dai discendenti fino al XVIII sec., allorquando morì il prelato Luigi, vescovo di Foggia, e la di lui sorella Francesca sposò Gio.Battista Zunica, famiglia che ne ereditò il predicato.
Il patriziato dei d’Alessandro fu ascritto inizialmente al sedile di Montagna (1460, Severo) e poco dopo (1492) a quello di Porto (seppur già Paolillo, maestro razionale della Regia Camera, e sua sorella Giovanella in Furiero furono ivi residenti da metà XIV sec.) in Napoli, mantenendo tal’ultima registrazione fino all’epoca dell’abolizione dei seggi (1800), e poi vi fece seguito la sola iscrizione nel Registro delle famiglie feudatarie.
Il giureconsulto Antonio di Paolo, iscritto al seggio di Porto, fu personaggio di cultura stimato dalla monarchia Aragonese, formatosi presso F.Aretino e insignito delle cariche di giudice della Vicaria (1481), auditore del Re Ferdinando II d’Aragona (1494-96), presidente della R. Camera della Sommaria, Viceprotonotario del Regno, presidente del Sacro R. Consiglio (1503) e professore di giurisprudenza nell’Università partenopea dei regi studi. Per tali incarichi fu egli insignito del collare dell’Ordine della Giara.


Tribunale e carcere della Vicaria

Fu Ambasciatore dei Re d’Aragona presso numerose corti regie (presso il Papa Pio II nel 1458; il Re Giovanni d’Aragona nel 1459; il Re di Francia; Lorenzo dei Medici, inviato speciale a Firenze nel 1481; diplomatico in Milano e Venezia). Lo stesso compose le opere giuridiche: “Reportata Clarissimi U.I. Interpetris Domini Antonii de Alexandro super II Codicis in Florenti studio Parthenopeo”(1474), “Addictiones ad Consuetudines Neapolitanas”.


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© Napoli - Corso Vittorio Emanuele
Palazzo fatto costruire
dal duca Giovanni Maria d'Alessandro di Pescolanciano

Suo fratello, l’illustre giurisperito-umanista Alessandro ab Alexandro, discepolo del Fidelfo ebbe grande notorietà presso tutte le accademie delle corti d’Europa per la sua erudita opera in sei libri “Genialium Dierum” (1522), alla quale fece le sue annotazioni Andrea Tiraquello, regio senatore del parlamento parigino. Resse le sorti dell’ateneo napoletano nel relativo periodo di decadenza.
Per riconoscimento papale, lo stesso ottenne in commenda, come abate, la badia di Carbone dell’Ordine di S. Basilio (SS. Anastasio ed Elia) in Lucania.
Agli eruditi fratelli seguì Pietro Nicola, Razionale e Presidente della R. Camera Somm. (1457), che acquisì da Re Ferrante d’Aragona la baronia di Faicchio (1464-79), così come l’ultimo fratello Jacobuccio I, gran falconiero reale e commensale di corte, ottenne dallo stesso sovrano la baronia di Cardito.
Da costui si originò il ramo partenopeo dei baroni di Cardito, che si estinse nel XVIII sec. dopo quattro generazioni.
I più noti ascendenti furono: Crisostomo, abate benedettino di Montecassino (1527-38);


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© Napoli - Piazza Trieste e Trento angolo via Nardones.
Immobile appartenuto ai coniugi Geronimo d'Alessandro (1639 +1689) e donna Tortelli

Antonio, deputato del Sedile di Porto che contribuì con altri Eletti alla costruzione della Cappella del Tesoro di S. Gennaro nel Duomo napoletano (1527); Jacobuccio II che partecipò alla rivolta dei baroni (1528) contro il governo spagnolo e riuscì a riscattarsi dalla punizione dell’imperatore Carlo V, aderendo alla spedizione contro i turchi (1538) ed i fiorentini;  Fulvio e Mercurio, dottori in legge (1577) che con Pompeo ed il gesuita Gerolamo (fondatore della “Congregazione degli Schiavi”) chiusero la progenie di tale ramo.
Contemporaneamente alla nascita dei d’Alessandro di Cardito, si formò altra discendenza in Marigliano (ricon. nobili, mf, per D.M.del 2 mag.1908) con capostipiti Nicola e Gabriele de Alessandro (1487).
Proprietari di vari casali (Cisterna) in Terra di Lavoro, vissero in parte a Napoli fino al XVII sec. Giovanni Antonio, fu donatario di terre alla cappella di S.Nicola in Marigliano (1497). Vi fu un Antonio, cavaliere milite († 1573), che con Mutio († 1585) ed altri personaggi furono sepolti nella cappella gentilizia della chiesa Ave Gratia Plena in Marigliano.

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© Marigliano (Napoli) - Epitaffi restaurati nel 1790 e nel 1770 in ricordo di Antonio d'Alessandro

Tra i sacerdoti, ebbero un abate, Alessandro (1695), e padre Bernardino (1773), nonché si ricordano un Marco Antonio perché amico del cavalier Marino (suo difensore in un processo per omicidio nel 1603/4) ed un cavalier Gennaro per essere stato coinvolto nei tumulti del 1647 in Terra di Lavoro.
Il ramo principale napoletano, in seguito, ebbe altra discendenza. Baldassarre del citato Pietro N. fu Ordinario e Regio Capitano, nonché governatore dell’Aquila e Taranto.

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© Napoli - esterno Chiesa di Monteoliveto, all'interno la cappella gentilizia
dove riposa l'ambasciatore Antonio d'Alessandro

Il fratello primogenito Lorenzo, deputato per il sedil di Porto, fu Ordinario Regio Capitano e Governatore di Monopoli (1514-20). Tali personaggi si trovarono schierati nella rivolta baronale filo-francese (partito angioino sostenitore del Lautrec, 1527-29), come taluni cugini del ramo Cardito (Giulio, Marco presidente R. Camera, Jacobuccio II), contro la dinastia austro-iberica, non usufruendo dell’indulto del 1530 ma rimanendo coinvolti nei processi sommari (con esproprio dei beni fondiari e rendite) voluti dallo asburgico imperatore Carlo V. Cadde mortalmente sotto la punizione brutale del vicerè don Pedro de Toledo, giunto a Napoli per dar corso ai processi contro i rivoltosi, anche il giovane Fabrizio d’Alessandro fatto decapitare per partecipazione ai tumulti contro il Tribunale dell’Inquisizione (1547). Dal matrimonio di Lorenzo con Cecilia de Angelis nacque Gio. Francesco, che con la moglie Rita Baldassarre di Roccaraso riscattarono la sopravvenuta confisca e decadenza familiare con l’acquisizione della baronia di Santa Maria dei Vignali e di Pescolanciano (1576) in Contado di Molise, dove ebbero anche le terre di Carovilli e Castiglione.Da tale capostipite è derivato l’odierno ramo vivente dei duchi di Pescolanciano (con titolo ducale riconosciuto a Fabio Jr. nel 1654).

ChGV
Napoli - Arma ducale della famiglia d'Alessandro

Un corpo santo di nome Alessandro riposa presso la cappella ducale del castello d'Alessandro dai tempi del primo duca di Pescolanciano, Fabio Junjor d'Alessandro (1626/28 1676), che rispolverando l'antica tradizione templare del Casato (ordine al quale appartennero sin dal XII secolo vari esponenti di detta famiglia) volle portare nel suo feudo in Contado di Molise  alcuni resti mortali del martire-soldato (in rappresentanza della tradizione cavalleresca del nobile Casato) per venerarli con un culto locale secondo la regola di S. Benedetto. Costui, pertanto, con l'appoggio della Corte napoletana (grazie all'interessamento di taluni aristocratici legati alla setta neotemplare partenopea-romana) fece richiesta alla Santa Sede di Roma di talune parti delle reliquie del Santo sepolto in Bergamo.


Napoli - busto di S. Alessandro martire, appartenente al gruppo dei martiri di Larino.

Pochi resti del corpo santo(parti di ossa femorali,costolato) furono affidati al duca Fabio nell'anno 1656 con indulto apostolico di papa Innocenzo X°, facendoli pervenire a Roma e poi in Pescolanciano in una cassetta di legno "cum sigillum".

Castello di Pescolanciano

Indice delle pagine:
Famiglia d’Alessandro
Genealogia
Il principe dei legisti – Ambasciatore
Il principe degli eruditi
Il duca poeta e l’ippica
"La quadreria"
Le ceramiche del duca Pasquale
Simbologia esoterica
La primula rossa – parte 1^
La primula rossa – parte 2^
"Il Ramo di Civitanova"
 "Le Carrozze"
 "Gli ultimi esponenti del casato e la linea secondogenita di Fabio nel ‘900"
 "I ricordi del '900"
 "Don Ettore - note biografiche - Parte 1^
"Don Ettore - note biografiche - Parte 2^
 "Il Cavaliere e il mestiere della spada"
Il castello di Pescolanciano
Epilogo


Casato inserito nel 1° Volume di "LA STORIA DIETRO GLI SCUDI"

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