La famiglia Salerni o Salerno giunse a Cosenza dal
casale Presilano di Flavetto, frazione di Rovito, il
primo che troviamo a Cosenza, del quale si ha ampia
documentazione, fu
Nicola
o
Niccolò Salerni (n. Cosenza, 1490 c.a)
poeta latino, fu allievo di Aulo Giano Parrasio (1470
† 1521) nome
latinizzato di Giovan Paolo
Parisio, col quale fondarono l'Accademia
Parrasiana, poi Cosentina, tra gli altri allievi
ricordiamo Antonio
Telesio (1482 †
1534) e Bernardino
Martirano.
Alla morte di Parrasio decise di fondare una scuola di
latino a Rovito, l'allievo più brillante fu Giano Teseo
Casopero che divenne poeta latino. Negli anni trenta del
Cinquecento è a Napoli come frequentatore del circolo
dei letterati calabresi presso la villa dei fratelli
Bernardino e Coriolano Martirano, frequentata tra gli
altri da: Bernardino
Telesio,
Luigi Lilio, Niccolò
Franco ed il suo allievo Casopero.
L'opera più importante sono le "Sylgulae",
stampata a Napoli nel 1536; è importante dal
punto di vista storico in quanto è costituita da una
serie di carmi, odi e poemetti dedicati a personaggi
dell'epoca: dal conte di Aiello, Gaspare Siscari, a
Bernardino
Sanseverino,
3° principe di Bisignano, in occasione della sua morte.
Dopo la data di pubblicazione dell'opera, non si hanno
altre notizie di Nicola
(1).
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Calabria Nostra,
periodico diretto da Gustavo Valente, in questo
numero è riportato un poema
di Niccolò sulla Sila, tradotto da Mario de
Simone |
Orazio
Salerno, acquistò da Marco Bernaudo, per 34.500 ducati,
il feudo di Rose con i fratelli
Fabrizio
e
Biase, con Regio Assenso dell'8 luglio
1615. Sposò la spagnola Giovanna Sciaraffa con la quale
ebbe per figli:
Giovanni,
fu dottore e procuratore fiscale della Regia Udienza,
sposò donna di casa Mauri, rimasto vedovo e senza figli
si risposò con donna napoletana di casa
Carmignano con la quale ebbe, tra gli altri,
Fabrizio
juniore, che sposò Iannella Rocca ed
ebbero per figli:
Francesco
Maria,
Pietro,
Giuseppe e
Domenico
che sposò Cecilia
Contestabile Ciaccio.
Primogenito dei citati
Orazio e Giovanna fu
Giovan
Giacomo († 1705) il quale ereditò il
feudo; col privilegio di Filippo IV del 16 luglio 1662
divenne marchese di Rose;
uno dei motivi che gli ottenne tale titolo fu la sua
fedeltà alla corona in occasione della rivola di
Masaniello prendendo parte in prima persona alla
repressione nel suo feudo rimanendo ferito.
Orazio,
2° marchese di Rose, come erede di suo padre Giovan
Giacomo, morì improle.
Giacinto,
3° marchese di Rose, come erede di suo fratello Orazio,
sposò Giuseppa Pardo.
Giovanni
(1700 † Chianchetella,
1767) figlio di Giacinto, 4° marchese di Rose; ad
istanza del creditore Filippo
Cavalcante duca di Rota (oggi comune di Rota Greca
in provincia di Cosenza) il Sacro Regio Consiglio decise
l'esproprio del feudo, fu acquistato all'asta, nel 1729,
dal principe di Sant'Agata e Luzzi Tommaso
Firrao, intestato il 24 luglio del 1730, con seconde
e terze cause, portulania e zecca, per la somma di
ducati 143.000, con Regio Assenso dell'8 ottobre 1729,
esecutoriato il 10 dicembre e registrato nei Quintern.
244 f. 274 (A.S.N.., Arch. Sanseverino 2^ num.40;
Cedolario 75, f. 433; e Cedolario 76, f. 7)
(2).
© Rose (CS), in alto il palazzo
baronale |
Rose (CS), Palazzo baronale |
I Salerno
possedevano nella Sila Grande la
difesa
omonima con il suo Casino Nobile (oggi, ai margini della
difesa, sorge una contrada rurale denominata Salerni
ricadente nel comune di Celico). Con le difficoltà
economiche venutasi a creare, che portò all'esproprio
del feudo di Rose, anche la difesa fu messa all'asta, ad
aggiudicarsela fu il citato principe Tommaso Firrao.
Sila Grande, Contrada Salerni |
Successivamente la difesa venne acquistata dagli
Arnedos per poi passare alla famiglia
Berlingieri.
Domenico
Salerni, come già descritto,
sposato a Cecilia Contestabile Ciaccio, ha avuto come
figli: Gennaro; Nicola, preside della
provincia di Lecce; Francesco Maria,
giudice, regio commissario di Campagna, in seguito
presidente della
Regia Camera della
Sommaria; Fabrizio Antonio (Cosenza,
10 luglio 1679 †
Molfetta, 22 aprile 1754), vescovo di Molfetta dal 17
settembre 1714, fu tra i primi vescovi del Regno a
convocare un sinodo diocesano a Molfetta, la
pubblicazione degli atti sinodali veniva avversata dalle
magistrature napoletane e dal governo di Vienna, che li
reputavano come lesivi della
giurisdizione regia ed imperiale, in particolare suscitò
contrasti con Gaetano
Argento,
presidente del
Sacro Regio
Consiglio,
con la famiglia Spinola, principi di Molfetta, e con l'Universitas,
ovvero col sindaco ed i decurioni; tra le altre opere
che fece realizzare, commissionò l'altare maggiore (da
lui consacrato nel 1744) nel Santuario della Madonna dei
Martiri in Molfetta, nell'ospizio attiguo al Santuario
trascorse gli ultimi anni di vita; e Giovanni
Battista (Cosenza,
1671 † Roma, 30 gennaio 1729), gesuita, fu creato
cardinale nel 1719 da papa Clemente XI (al secolo
Giovanni Francesco Albani).
Insegne
ecclesiastiche del vescovo Fabrizio Antonio
Salerni (2bis) |
Giovanni Battista Salerni (1671
†
1729) |
Al
cardinale fu dedicata l'opera “Imprese
delle più cospicue Famiglie del Regno di Napoli
ed altri confinentino -ristretto- dal R.P.
Lettore Gaetano Maria Genovese carmelitano
consacrata
all'E.mo
Cardinale Salerni nobile cosentino”,
1719. Di seguito si possono ammirare il
frontespizio e lo stemma del cardinale Salerni. |
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Il citato
Giovanni
(1700
† 1767), marchese di Rose,
nel 1743, acquistò da Giovan Filippo
Ripa, per ducati 29.834, il feudo di
Chianchetella, villaggio in
Principato Ultra in diocesi di Benevento, il
feudo di Balba ed una parte del feudo di Altavilla, con
Regio Assenso del re
Carlo di Borbone del 10 giugno dello stesso anno; fu
il primo a giungere nella vicina città di Foggia,
probabilmente allettato dai traffici della Dogana,
questo si desume dal fatto che i Salerni nell'Ottocento
figurano tra i grandi censuari delle terre del
Tavoliere; aveva sposato Giovanna Capobianco ed ebbero
per figli:
Francesco
Paolo,
Saverio ed il primogenito
Giacinto
che ereditò i feudi del padre con
sentenza della Gran Corte della Vicaria del 20-IX-1768,
morì improle dopo quattro mesi, il 22-I-1769, suo erede
fu il fratello secondogenito Saverio
(3),
di spirito liberale partecipò alla
rivoluzione del 1799 con suo figlio
Orazio
(Foggia, 1777
† ivi, 1865), fu arrestato e
detenuto nel carcere della Dogana per un anno, quando
chiese la liberazione per le sue condizioni di salute
appellandosi al Presidente della Dogana Vincenzo
Sanseverino, il quale, dopo una relazione del medico
fiscale decise per gli arresti domiciliari nel palazzo
del barone Francesco Paolo
Zezza, la cui sorella era promessa sposa di suo
figlio Orazio, Zezza era il garante e nello stesso tempo
investito della sorveglianza, nel 1801 beneficiò
dell'indulto, ma, poco dopo morì.
Orazio, come il padre
Saverio, combattè per i valori Repubblicani, fu capo di
una compagnia di Ussari formata da volontari foggiani,
all'epoca aveva 22 anni, prese parte, al comando della
Guardia Nazionale di Foggia, all'assedio di Andria da
parte del generale Broussais e da Ettore
Carafa.
Soldato a cavallo
del Reggimento Ussari della Guardia Reale
(da "L'armata del Sud di Gianni Custodero e
Agostino Pedone) |
Caduta la breve Repubblica, in quanto
militare fu deferito alla Giunta Militare di Napoli,
scontò due anni di duro carcere, nel 1801, anche lui
beneficiò dell'indulto. Con l'avvento di Napoleone
ritornò sulla scena politica e fu nominato Tenente della
Legione di Capitanata. Fu uno degli esponenti che
costituirono la società segreta in Foggia nel 1816 c.a,
nel 1818 fu nominato da Guglielmo Pepe comandante della
III^ Divisione territoriale che comprendeva le province
di Capitanata e
Principato Ultra.
Con i moti rivoluzionari del 1820 si rese protagonista
entrando a Napoli con cinquemila militi, fu l'apice
delle sue gesta eroiche, finita l'avventura fu
condannato a morte, pena commutata in 25 anni di
carcere, nel 1824 fu trasferito dal carcere di Castel
dell'Elmo a quello di Lucera. Nel 1827, in attesa del
giudizio d'appello beneficiò dell'amnistia concessa per
la nascita dell'ultimo genito del
re Francesco I e di Isabella di Spagna. Con i moti
del 1848 ancora una volta lo videro protagonista con suo
figlio. La moglie, Caterina Zezza, era morta nel 1840,
gli rimase sempre accanto come del resto tutta la
famiglia del barone Zezza nonostante le sue posizioni
politiche, ebbero per figli:
Giovanna;
Saverio;
Francesco
Paolo e
Giovanni
Battista.
Napoli, Via
Toledo, i moti rivoluzionari. |
Il marchese
Saverio, proseguì il disegno liberale di suo
padre, fu protagonista nel 1860, anno cruciale per il
cambio di regime, fu nominato sindaco di Foggia
dall'Intendente Bagnoli
(4), seppe
gestire la transizione fino all'arrivo del nuovo
Governatore garibaldino
Del Giudice; l'anno successivo
con le prime elezioni amministrative fu eletto sindaco.
Fu venerabile della loggia massonica di Foggia ed
influenzò la vita politica per lungo tempo. Morì nel
1892.
Enrico,
figlio di Saverio ereditò il titolo di marchese di Rose,
sposò Enrica Zucchi; fu l'ultimo esponente della
famiglia in Foggia. |