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Note:
(1)
- Dall'anno 1096 il Gran Conte di Sicilia Ruggero
governa direttamente la Città di Modica sino all'anno
1115. In quell'anno, egli, fa subentrare nel Governo
della Città Gualtiero (I), che governa Modica unitamente
a Scicli coprendo anche la carica di Giustiziere e
Camerario.Va precisato che il titolo di Conte di Modica
era stato concesso senza annessione di feudo. In questo
senso tale concessione si palesò come una testimonianza
di favore a carattere onorifico, piuttosto che come
feudo. Il che spiega perchè gli esponenti della famiglia
vissero a corte e non si recarono mai in quella città.
Invero, com’è noto, la Contea di Modica, sorta nel 1115
solo nominalmente, divenne feudo, dotato di territorio e
di «imperium» soltanto in epoca successiva, sotto
la famiglia Mosca (1250 – 1282). Anche il Mortillaronelle
sue «Opere»,vol. VIII, p. 189, riportato da cit.
Revelli ritiene che non possa affermarsi con
sicurezza che il detto titolo fosse annesso ad un feudo.
(2) -
Mugnos F., «Teatro Genologico», pag. 163,
164 attesta l'esistenza dei due figli Ansaldo e
Gualtiero II. Revelli, «Il comune di Modica»,
1904, ed. Atesa, pag. 65, attesta l’esistenza dei figli
Aquino, Rainaldo e Goffredo. Non è dato sapere se in
realtà Ansaldo (o Arnaldo) e Rainaldo siano la stessa
persona.
(3) - Siragusa G.B.,
«La Sicilia e la prima Lega lombarda», Palermo,
Pensante, 1873, p. 109 16.
(4) - Notizia riportata da
Caravale Mario, «Il Regno normanno in
Sicilia», Giuffrè editore, 1966, pag 256 nota 172.
(5) - Caravale M.,
«Il Regno normanno in Sicilia», Giuffre 1966, pagg.
202-203.
(6) - Il giustiziere era
quel funzionario (magistrato) di nomina regia, che
rappresentava l'autorità del sovrano a livello
provinciale. In particolare, nel Regno normanno, il
Giustiziere svolgeva le sue mansioni nei distretti
amministrativi, detti, a seconda della suddivisione
amministrativa vigente, Valli o Giustizierati. Il regio
camerario era invece l’ufficiale addetto al fisco.
(7) - Caravale M.,
«op. cit.», pag. 370 e ss. «La «baiulia» era
l'unico ufficio distrettuale a svolgere funzioni di
raccordo tra il centro e la dimensione cittadina,
all'interno della quale operavano altri funzionari come
i giudici, gli strateghi, i vicecomiti o i catepani. I
funzionari cittadini avevano competenza giurisdizionale
su cause civili e feudali ed erano anche titolari di un
potere inquisitorio che si realizzava nella precisazione
dei confini di casali e di proprietà site nel territorio
cittadino o del demanio ivi compreso. Altro compito era
quello di immettere nel possesso delle terre il
destinatario di una concessione e quello di difesa del
demanio regio, nonchè quello di fungere da pubblica
autorità che autorizzava l'immissione nel possesso dei
beni immobili chi ne era stato ingiustamente privato. I
baiuli erano titolari di funzioni in campo
giurisdizionale ed in campo amministrativo. In campo
giurisdizionale essi avevano competenza in materia
penale ed in tema di cognizione di cause feudali di
minore importanza. Essi erano, inoltre, competenti a
conoscere del reato di adulterio. In campo
amministrativo essi avevano il compito di riscuotere i
tributi, sia sopra le terre demaniali, sia su quelle
feudali».
(8) - In particolare,
per tale notizia si veda Rocco Pirro «Sicilia
Sacra, Disquisitionibus et notitiis illustrata»,
Tomus Primus, Panormi, MDCCXXXIII, f. XXV, sub «Hi
Magistri Justitiarii», n. 4.
(9) - Caravale M.,
«op. cit.», pp. 260-261 e 274; il documento è
riportato da C. A. Garufi, «I documenti
inediti», p. 152-154. «I
grandi giustizieri di corte costituivano un ufficio
centrale normanno. Si tratta di un ufficio di governo
con compiti quasi esclusivamente giurisdizionali.
All'inizio i grandi giustizieri erano
incaricati non tanto di far parte stabilmente delle
corti giudicanti convocate dal monarca, quanto di
svolgere «inquisitiones» atte a far conoscere al governo
centrale i termini in cui situazioni giuridiche locali
si presentavano. Essi nascono essenzialmente per
svolgere una funzione di accertamento.
Nel periodo sopra indicato i giustizieri avevano quale
unica competenza quella di dirimere le controversie
feudali relative alla titolarità di terre. Goffredo di
Moac è inviato nel 1172 a dirimere la controversia
insorta tra i canonici di Cefalù e la comunità di Noto,
sull'appartenenza del casale detto dei Cosentini. Alla
fine del documento-sentenza è scritto: «ego Gaufridus de
Mohac iusticiarius hanc memoriam scribi feci»».
(10) -
Rocco Pirro, «Sicilia Sacra, Disquisitionibus
et notitiis illustrata», Tomus Primus, Panormi,
MDCCXXXIII, f. XXV, sub «Hi Magni Ammirati», n.
8; nonchè Mugnos, «op. cit.», pag 164. Il
titolo di «admiratus», se in precedenza era stato
per lo più legato a una funzione amministrativa e
fiscale, in quest'occasione appare per la prima volta
utilizzato con una connotazione del tutto particolare.
Come risulta dagli studi di Mènager, è con Gualtiero II
de Mohac che, in connessione con il ravvivarsi
dell'aggressiva politica mediterranea di Guglielmo II,
viene creato un ufficio specificamente deputato al
comando militare delle navi regie: «admiratus regi
stolii», dunque, assume il preciso significato di
«emiro» ovvero capo della flotta regia.
(11) - Castelli
Vincenzo, «Fasti di Sicilia», Volume II,
Messina, presso Giuseppe Pappalardo, 1820, pag. 545,
546, 547. I Sovrani di Sicilia costituirono in favore
delle Regine loro mogli la Camera Reginale. Margherita,
madre di Guglielmo il Buono ebbe per sè campi, luoghi e
castelli e così anche Costanza, consorte di Enrico VI ed
anche le altre Regine, fino al 1409. Riprese tale
istituto a partire dal 1420.
Per l’amministrazione della Camera Reginale in principio
furono creati gli uffici di Governatore, Luogotenente,
Giudici, Maestri razionali, Conservatori, Avvocato
Fiscale ed altri Ministri subalterni.
(12) - Mugnos F.,
«op. cit.», p. 163, 164. Revelli, «Il
comune di Modica», 1904, ed. Atesa, p. 67.
(13) - Caravale M.,
«Il Regno normanno in Sicilia», Giuffre 1966,
p. 365. Si veda nota 35.
(14) - I de Mohac presero
le parti di Tancredi d’Altavilla contro il partito
svevo.
(15) - Revelli,
«op. cit.», in Appendice.
(16) - Castelli
Vincenzo, «Fasti di Sicilia», Volume II,
Messina, presso Giuseppe Pappalardo, 1820, pag. 385 e
381.
(17) - Mongitore
Antonino, «Monumenta Historica Sacrae Domus
Mansionis SS. Trinitatis Militaris Ordinis Theutonocorum
Urbis Panormi», 1721. Nel diploma si fa anche
riferimento a due luoghi riferibili al territorio
monrealese: San Giorgio che potrebbe identificarsi con
chiasso San Giorgio, a poche decine di metri dal duomo
di Monreale e Tallaria che potrebbe corrispondere al
feudo Tagliavia, sempre riconducibile al territorio
dell’Arcivescovado di Monreale.
(18) - Mugnos F.,
«op. cit.», pag 163.
(19) - Mugnos F.,
«op. cit.», pag 163.
(20) - Registri ricostruiti della Cancelleria angioina, VI, 187, in Luciano Catalioto, «Terre, baroni
e città in Sicilia nell'età di Carlo I d'Angiò»,
Intilla editore, 1995, pag. 86 in nota 3.
(21) - Mugnos F., «op. cit.», pag 163, 164.
(22) - San Martino De Spucches F., «op. cit.»,
sub feudo di Bugidiano
(23) - Spreti V., «Enciclopedia Storico
nobiliare italiana», Milano, 1928, Ed. Enciclopedia
storico nobiliare italiana, sub voce Modica.
(24) - Mango di Casalgerardo «Il nobiliario di
Sicilia», Palermo, 1912, Libreria Internazionale A.
Reber.», pag. 449.
(25) - Nella parte
orientale dell’Isola il territorio della odierna
Caltagirone è rimasto nelle mani dei saraceni fino al
1030 quando questi ultimi furono cacciati dai Genovesi
dal castello di Judica. Caltagirone fu preminentemente
demaniale e come tale godeva dei privilegi delle città
cosiddette libere, soggette soltanto al sovrano anche
se, in taluni periodi, dovette subire i soprusi dei
baroni, soprattutto nel XIV secolo: dei Chiaramonte
conti di Modica, dei Moncada, degli Alagona. Alfonso il
Magnanimo parve addirittura cancellare i diritti della
città, allorché la diede in feudo a Pietro, duca di
Noto.
(26) - San Martino De
Spucches F., «op. cit.», sub Bugidiano.
(27) - San Martino De
Spucches F., «op. cit.», sub Bugidiano.
(28) -
Villabianca, «op. cit.», V vol., parte terza
libro VI, p. 469.
(29) - Spadaro di
Passanitello Francesco, «Le mastre nobili»,
Roma, Edizioni dell'Istituto di studi storici e di
diritto nobiliare, 1938, pag. 215 e 216.
(30) - San Martino De
Spucches F., «op. cit.», sub Bugidiano.
(31) - A tal proposito
Cfr. ASP, Cancelleria b.24, f. 32, 5 luglio 1395 cit. da
Bresc Henri, «Corleone nel Due, Tre, e
Quattrocento: il quadro generale», Università
Nanterre – Parigi, in www.comune.corleone.pa.it pag. 9.
(32) - Archivio Storico
Diocesano di Monreale, Fondo Mensa, Classe II, Serie 8,
Reg. 623, «Libro dello stato
della Chiesa di Monreale dell’anno 1600».
(33)
- L’Archivio storico diocesano dell’Arcivescovado di
Monreale attesta che il Giacomo di cui si parla nel
«Libro dello stato della Chiesa di Monreale dell’anno
1600» si identifica con il Giacomo (III) che fu
barone di Bugidiano e che morì ante 1543. E tale
conclusione è condivisa dall’Archivio di Stato di
Palermo e dall’Archivio storico del Comune di Palermo.
Si vedano Archivio storico diocesano di Monreale,
certificazione prot. 39/17 del 30 settembre 2017;
Archivio di Stato di Palermo prot.
4839/IX42 del 30 aprile 1993; Archivio storico Comune di
Palermo prot.1438 del 21 settembre 1999.
(34)
- Estratto di matrimonio del 1531 della Parrocchia di
Santa Maria La Nuova, Diocesi di Monreale. In senso
conforme si vedano certificazioni di Archivio di
Stato di Palermo prot. 4839/IX42 del 30 aprile 1993,
Archivio storico Comune di Palermo prot.1438 del 21
settembre 1999 e Archivio storico diocesano di
Monreale prot. 39/17 del 30 settembre 2017.
(35) - Cfr. Priori della
Compagnia dei Bianchi, Anni 1568 e 1576 Archivio Storico
Diocesano di Monreale – Fondo Governo Ordinario, Sezione
12, Serie 2 - 1, Busta 3.
(36) - Il primo priore
apparteneva alla nobile famiglia
Sanchez. Priori della
Compagnia dei Bianchi, furono negli Anni 1568 e 1576
Vincenzo Modica e Joseph de Mohac.
Archivio Storico Diocesano di Monreale – Fondo
Governo Ordinario, Sezione 12, Serie 2 - 1, Busta 3. Gli
statuti originari non sono stati rinvenuti. Quelli del
XVIII secolo danno conto nel preambolo della
connotazione signorile e nobiliare della Compagnia. Se
il Francesco, sposo di Violante Geraci non avesse fatto
parte di famiglia nobile, il matrimonio non ci sarebbe
stato. Ma poiché le nozze ci furono, vuol dire che la
famiglia Modica alla quale il predetto Francesco
apparteneva, altro non era che il casato normanno dei
«Modica». In quel periodo, l’unica famiglia
«Modica» nobile in Sicilia, era infatti appunto
quella di origine normanna.
(37)
- Fedi di battesimo della Parrocchia di Santa Maria La
Nuova, Diocesi di Monreale. Archivio di Stato di
Palermo prot. 4839/IX42 del 30 aprile 1993, Archivio
storico Comune di Palermo prot.1438 del 21 settembre
1999 e Archivio storico diocesano di Monreale prot.
39/17 del 30 settembre 2017.
(38) - Vi è chi ritiene
che lo stemma di Monreale, dal quale deriva quello dei
de Mohac, fosse una variante utilizzata da Guglielmo II
d’Altavilla. Ed in effetti, rappresentazioni che
affiancano tale stemma alla più nota arma con la banda
scaccata, tipica del casato appunto degli Altavilla,
possono essere osservate presso il Duomo di Monreale e
nell'opera dell’Arcivescovo, teologo e giurista
siciliano Francesco Maria Testa, in «De vita,
et rebus gestis Guilelmi II. Siciliae regis,
Monregalensis ecclesiae fundatoris». Nella
Cattedrale monrealese il predetto stemma con stella
ottagona d’oro in campo azzurro appare riprodotto in due
esemplari in un mosaico sovrastante il trono reale.
(39) - I «Miles a
cavallo» costituivano la cavalleria feudale della
città e tutti coloro che ne entravano a far parte
dovevano possedere un cavallo ed essere armati. L’elenco
dei cittadini ivi indicati fornisce un primo quadro
dell’articolazione organizzativa per censo della
municipalità. Si trattava con ogni probabilità di
esponenti delle famiglie più distinte e rilevanti e non
certo di mercenari. Il magnifico Antonio Veneziano,
anch’egli cittadino monrealese, ne era l’illustre
comandante.
(40) - Priori della
Compagnia dei Bianchi, Anni 1568 e 1576 Archivio Storico
Diocesano di Monreale – Fondo Governo Ordinario, Sezione
12, Serie 2 - 1, Busta 3. Viene, in tal modo, ancor più
suffragato quanto attestato dall’Archivio di Stato di
Palermo il quale ha affermato che i cognomi «de Mohac»
e «Modica» identificavano la stessa famiglia.
(41) - Archivio Storico
Diocesano di Monreale, Fondo Governo Ordinario, Sez. 15,
5 Busta 2.
(42) - Papalia M.
«Compagnie nobili della felicissima Città di
Palermo», Antipodes, 2017, pag. 23 e ss.
(43) - Capitoli dè
Regolamenti della Compagnia del Crocifisso detta dè
Bianchi, 1766, capo III, pag. 37. Le Compagnie dei
Bianchi sorte nelle varie città riservavano l’ammissione
soltanto ai gentiluomini.
Che alla Compagnia dei Bianchi di Monreale potessero
essere ammessi soltanto gentiluomini e di numero non
superiore a 60, è circostanza acclarata sia da Lima,
«op. cit.», sia da Marchese Antonino Giuseppe
in «Le confraternite dell’Arcidiocesi di Monreale dal
Quattrocento ad oggi», 2002. Diseguito i requisiti
richiesti per farvi parte, in alternativa:
1) che si provasse che i tre più vicini
ascendenti dell'aspirante (cioè padre, avo e bisavo)
fossero stati Fratelli della Compagnia;
2) che si provasse che un ascendente di
retta linea paterna avesse ricoperto il grado di
Governatore della Compagnia;
3) che l'aspirante fosse «attuale membro
del Sagro Regio Conseglio decorato di Toga perpetua»;
4) che si provasse centocinquant'anni di
vera Nobiltà della famiglia del «suo proprio cognome».
Tali prescrizioni sono del 1766 ma la
prova di centocinquant'anni di vera Nobiltà della
famiglia è stata richiesta per l’ammissione nella
Compagnia palermitana, «ab origine». Di questo
avviso Papalia M. «Compagnie nobili della
felicissima Città di Palermo», Antipodes, 2017, pag.
23 e ss.
(44) - Archivio storico
Diocesi di Monreale, Fondo Carte processuali Sciolte,
Serie 3, Busta 489 fasc. 1.
(45) - Fede di matrimonio
della Parrocchia di Santa Maria La Nuova, Diocesi di
Monreale.
(46) - L’Archivio della
Diocesi di Monreale (Archivio storico diocesano di
Monreale prot. 39/17 del 30 settembre 2017) attesta che
Giacomo Modica, proprietario monrealese, si identifica
con quello stesso Giacomo che si ritrova, nel medesimo
periodo, iscritto nelle Mastre nobili di Caltagirone.
Analoga situazione si ebbe nel 1398, quando Pietro
Modica, Barone di Sortino (Siracusa), risultava
possedere terre nel Corleonese.
(47) - Fede di battesimo
della Parrocchia di Santa Maria La Nuova, Diocesi di
Monreale.
(48) - Archivio storico
diocesano di Monreale, Fondo Mensa, busta 15, «Stima
di suoi li feughi e Masserie in suo Arcivescovado di
Monreale», 23 marzo 1645.
(49) - Fede di matrimonio
della Parrocchia di Santa Maria La Nuova, Diocesi di
Monreale.
(50) - Fratelli di don
Geronimo (n. 1/3/1619) furono: Antonio (n. 1//4/1604),
Giovanni (n. 9/3/1611), Vincenzo (n. 16/12/1612),
Giuseppe (n. 26/6/1614), Onofrio (n. 29/10/1617),
Benedetta (n. 4/2/1621), M. Rosalia (n. 17/6/1628),
Antonì (n. 18/3/1630) e Vincenza (n. 22/9/1634).
(51) - Archivio di Stato
di Palermo, Fondo Casa Camporeale, Volume 35- «Contratti
di gabelle dall’anno 1433 al 1791», pagg. 979-983
e 1166-1168. Nel 1631 un Tommaso Modica si era
aggiudicato per 210 onze la Gabella del «Scorciatore
seu Macelli» messa all’asta dalla Compagnia dei
Bianchi.
(52) - Fede di matrimonio
della Parrocchia di Santa Maria La Nuova, Diocesi di
Monreale.
(53) - Don Vincenzo (n.
11/10/1656) Benedetto (n. 23/3/1650), Pietro Francesco
(n. 8/5/1653), Francesco (n. 11/10/1656 gemello), Giovan
Battista (n. 10/10/1659), Orbano (n. 8/8/1661), Giuseppe
(n. 11/12/1665) e Ursula (n. 13/10/1667).
(54) - Fede di battesimo
della Parrocchia di Santa Maria La Nuova, Diocesi di
Monreale.
(55) - Fede di matrimonio
della Parrocchia di Santa Maria La Nuova, Diocesi di
Monreale.
(56) - Marco Nicolò (n.
25/4/1683), Geronimo Filippo (n. 17/4/1680), Giuseppe
Pietro (n. 8/1/1691), Caterina Ursula (n. 19/7/1681),
Ignazio (n. 22/10/1685), Michele Ignatio (n. 4/2/1693) e
Filippo (n. 7/3/1699).
(57) - Atti Archivio
storico diocesano di Monreale, anno 1739, fondo Registro
della Corte, Volume n. 855.
(58) - Atti Archivio
storico diocesano di Monreale, anno 1739, fondo Registro
della Corte, Volume n. 855. La carica di conestabile
connotava una condizione di nobiltà. Ad es. La famiglia
Granata di Messina riporta tra I suoi appartenenti un
Baldo, conestabile di Messina nel 1546. Si veda Mango di
Casalgerardo, «Il nobiliario di Sicilia», Palermo, 1912,
Libreria Internazionale A. Reber.
(59) - Atti Archivio
storico diocesano di Monreale, anno 1750, fondo Registro
della Corte, Volume n. 858. Comune di Palermo,
Sovrintendenza Istituzioni culturali, «Archivio Storico
comunale, Relazione archivistico-paleografica, prot. n.
1438 del 21 settembre 1999».
(60) - Atti Archivio
storico diocesano di Monreale, anno 1753, fondo Registro
della Corte, Volume n. 859. Comune di Palermo,
Sovrintendenza Istituzioni culturali, «Archivio Storico
comunale, Relazione archivistico-paleografica, prot. n.
1438 del 21 settembre 1999».
(61) - Fede di battesimo della Parrocchia di Santa Maria
La Nuova, Diocesi di Monreale.
(62) - Fede di matrimonio della Parrocchia di Santa
Maria La Nuova, Diocesi di Monreale.
(63) - Vincenzo Giuseppe (13/12/1727) Giovanni Vincenzo
(n. 4/3/1714), Grazia Maria (n. 30/5/1715), Castrenze
Mariano (n. 2/2/1717), Rosa Olimpia (n. 29/6/1719),
Maria Anna (n. 27/7/1722), Antonino Francesco (n.
25/19/1724) e Anna Rosa (n. 8/10/1730).
(64) - Archivio storico
diocesano di Monreale, Fondo Registri della Corte, vol.
866.
(65) - Fede di matrimonio
della Parrocchia di Santa Maria La Nuova, Diocesi di
Monreale.
(66) - Fede di matrimonio
della Parrocchia di Santa Maria La Nuova, Diocesi di
Monreale.
(67) - Don Giovan Battista
di Bella, oltre che titolare del feudo di Grisì e
subconcessionario di parte del feudo di Realicelsi (Nania
G., «Toponomastica e topografia storica nelle
valli del Belice e dello Jato», Barbaro Editore
Palermo, pag.132, nota 2, cfr. altresì Atto in Notaio
Don Antonio Gorgone di Monreale stipulato il 5.03.1782),
apparteneva ad una nobile famiglia di Montelepre. La
famiglia di Bella alza come arma la seguente, secondo il
Villabianca:
campo d'azzurro con in punta tre bande
d'oro, abbassate sotto d'una fascia d'argento
accompagnata nel capo da tre stelle del medesimo.
Lo stemma e’ riprodotto nelle tombe
gentilizie della famiglia nel cimitero di Monreale.
(68) - Archivio di Stato
di Palermo, Fondo «Protonotaro del Regno» Vol.
1312, pag. 354, 355 e 357, anni 1799 e 1800 e Archivio
Storico Diocesano di Monreale, Fondo Registri della
Corte, Vol. 883 «Squittinio formato per la creazione
degli Officiali della Città di Monreale». Fu anche
notaio nella città di Monreale con Privilegio rilasciato
il 14 agosto 1800.
(69) - Archivio di Stato
di Palermo, Registro del Protonotaro del Regno, Nota
dell’Officiali di Giustizia, Vol. 1312.
(70) - Archivio Storico
Diocesano di Monreale, Fondo Registri della Corte, Vol.
883 «Squittinio formato per la
creazione degli Officiali della Città di Monreale».
(71)
- Con decreto del Ministro di giustizia del 13 febbraio
1996 lo Stato italiano ha sostanzialmente e formalmente
cristallizzato in atto definitivo, pubblico e vincolante
«erga omnes» la posizione assunta dall’Archivio di Stato
di Palermo e dall’Archivio del Comune di Palermo e poi
confermata dall’Archivio dell’Arcidiocesi di Monreale,
certificando l’appartenenza di don Nicolò Modica,
giudice criminale e proconservatore di Monreale tra la
fine del 1700 e gli inizi del 1800, al casato dei «de
Mohac», in quanto erede diretto dei predetti Giacomo e
Francesco. Registro del Protonotaro del Regno, Nota
dell’Officiali di Giustizia, Vol. 131.
(72) - Si ricorda che, a
parte ogni altra considerazione, il Reale Dispaccio del
1774 aveva equiparato alle «cariche superiori» di
cui al Reale Dispaccio del 1756 l’«onore» della
laurea in diritto consolidatasi in due generazioni
immediatamente consecutive di una stessa famiglia,
precisando che le famiglie dei dottori di legge, in
questo caso, «debbono essere ascritte» al primo
ceto della nobiltà del Regno.
(73) - Alla data del 10
agosto 1812 (abolizione della feudalità in Sicilia), il
feudo di Grisì era un feudo nobile insignito di
effettiva giurisdizione e dell’investitura sovrana
(concessione sovrana del 22 maggio 1779). Infatti con
concessione sovrana del 22 maggio 1779, Giuseppe
Beccadelli, marchese di Sambuca aveva ottenuto «il
mero e misto imperio, tra gli altri, sul feudo nobile di
Grisi’, derivato dal più grande feudo di Camporeale, con
dominio assoluto, dotato di effettiva giurisdizione e
dell’investitura sovrana».
Recita tale Reale dispaccio del 22 maggio 1779:
«In considerazione delli distinti servizi del principe
di Camporeale e del marchese della Sambuca, di lui
figlio primogenito, deferendo alle istanze avanzategli
dal detto marchese, è venuto ad accordargli … i cinque
territori che ha comprato dall’azienda gesuitica,
denominati del Macellaro (n.d.r. al quale era stato
aggregato il feudo di Grisì, come si vedrà alla luce di
quanto specificato alle successive lettere), Pietra
Longa Sparacia (n.d.r. il feudo Sparacia era stato
aggregato al feudo Pietra Longa), Dammusi, Signora,
Mortilli che ha comprato dall’azienda gesuitica, e sopra
la loro estensione ed aggregato in perpetuo e in
infinito, per sé, suoi eredi e successori, anche
estranei, e per quelle persone che in avvenire
possederanno detti territori, secondo la legge, che
gli imporrà: il mero e misto impero con l’alta
giurisdizione, come ne gode nella sua terra della
Sambuca suo feudo e con tutte quelle facoltà,
prerogative, giurisdizione e preminenze che in quelle si
trovano espressate e concesse, come altresì di potere
egli fare delle popolazioni o sieno università in
ciascuno territorio degli accennati a di lui arbitrio,
sempre e quando stimerà di farne l’uso, sempre che non
ve ne siano altri distanti di tre miglia siciliane già
erette in università». (Sac. Luigi Accardo
Camporeale-Origini, usi, costumi, mentalità, proverbi,
canti popolari, pagg. 25 e 26).
Con strumento del 17 settembre 1779, Don Emanuele
Beccadelli di Bologna Marchese della Sambuca concedeva
in enfiteusi perpetua il precitato territorio di Grisì,
originariamente aggregato al territorio di Macellaro
come riportato nello stesso contratto enfiteutico,
trasferendone il possesso materiale e legale, con
l’amplissima formula “pro se et suis”, ai
fratelli Don Francesco, Don Filippo e Don Giovanbattista
di Bella padre quest’ultimo di Donna Rosa, sposata con
Nicolò Modica (Archivio Storico Diocesano di Monreale,
Certificato vidimato dal Cancelliere della Curia
arcivescovile di Monreale, punti 9, 10 e 11; Archivio
Storico Diocesano di Monreale, Certificazione di
veridicità e relazione storica di accompagnamento
vidimate dal Cancelliere della Curia arcivescovile di
Monreale dell’atto di concessione del 17 settembre 1779,
con trascrizione e regesto effettuati da esperto già
iscritto nell’albo del Tribunale di Palermo).
Il paese di Grisì, infatti, si formò attorno al baglio
di Bella, determinandosi ciò che era previsto
nell’originario atto di investitura e cioè che il
principe potesse «fare delle popolazioni o sieno
università in ciascuno territorio degli accennati a di
lui arbitrio, sempre e quando stimerà di farne l’uso,
sempre che non ve ne siano altri distanti di tre miglia
siciliane già erette in università».
L’enfiteusi perpetua costituiva una forma
surrettizia di alienazione. «Il concedere ad
enfiteusi e’ una vera alienazione». ricorda, a tal
proposito Jannelli sulla scorta di una decisione della
Gran Corte di Palermo del 1839.
La concessione sui territori assegnati al Marchese della
Sambuca legava, con privilegio speciale, al possesso dei
territori stessi (possesso attribuito «secondo la
legge». e quindi secondo gli strumenti giuridici
idonei a costituire il possesso stesso inclusa la
enfiteusi) il mero e misto imperio con l’alta
giurisdizione, prerogative queste tipicamente feudali,
collegate alla qualità di
«barone».
L’enfiteusi comportava
l’attribuzione del possesso, e nel caso di Grisì, la
conseguente assegnazione delle prerogative feudali al
possessore, senza necessità di successiva conferma reale
per le nuove investiture, in quanto queste erano
direttamente conseguenti alle disposizioni contenute
nella citata concessione sovrana del 22 maggio 1779,
costituenti privilegio speciale.
Con l’atto del 17 settembre 1779, dunque, il possesso
del feudo veniva trasferito ai fratelli Di Bella, e tra
di essi a Giovanbattista, unico ad avere prole, con gli
effetti che discendono dalla concessione sovrana del 22
maggio 1779 e cioè con il trasferimento delle
prerogative feudali in capo agli stessi di Bella.
Alla data del 7 settembre 1926, il feudo di Grisì passò
al nuovo intestatario Marco Modica (nato il 4/6/1888),
con tutte le prerogative ad esso connesse, in quanto
figlio primogenito di Salvatore (nato nel 1863 e morto
nel 1925), figlio primogenito di Marco (nato il 24
dicembre 1807), figlio primogenito ed unico maschio di
Nicolò (nato il 16/11/1776) e di Rosa di Bella,
discendente della famiglia di Bella e segnatamente del
padre Giovanbattista, possessore e Barone dal 1779 del
predetto feudo.
Con atto ricognitorio, disposto dallo stesso Marchese
della Sambuca, in data 1 marzo 1852 viene, infatti,
confermato il possesso del feudo di Grisì in capo agli
eredi di Giovanbattista di Bella, e quindi in capo a
Donna Rosa di Bella, sua figlia, sposata con Nicolò
Modica ed ai loro figli, il primogenito nonché unico
maschio dei quali era Don Marco Modica (nato il
24/12/1807) (Archivio Storico Diocesano di Monreale,
Atto ricognitorio ad opera del Notaio Cavarretta
Sarcì dell’1 marzo 1852 e certificazione di veridicità e
relazione storica di accompagnamento vidimate dal
Cancelliere della Curia arcivescovile di Monreale con
trascrizione e regesto effettuati da esperto già
iscritto nell’albo del Tribunale di Palermo).
Va peraltro ricordata la regia prammatica del 1771 che
attribuiva agli enfiteuti che avessero pagato tre anni
di canone, la piena titolarità dei beni.
Fino al 1852, in ogni caso, il feudo di Grisì si trovava
nel possesso legale degli eredi di Giovanbattista di
Bella e cioè di Marco Modica, nato il 24 dicembre 1807,
unico figlio maschio di donna Rosa di Bella e nipote
dello stesso Barone Giovanbattista. Il figlio di Marco
Modica, Salvatore, aveva legittima aspettativa alla
convalida del titolo di Barone giusta applicazione
dell’articolo 19 dell’Ordinamento dello stato nobiliare
italiano, approvato con Regio Decreto 7 giugno 1943, n.
651.
A tal proposito va ricordato che fino al 1926 ha avuto
vigenza in Sicilia la Costituzione «ut de
successionibus” dell’Imperatore e Re Federico II;
Costituzione che regolava la successione dei nobili nei
feudi, ammettendo alla successione degli stessi le
figlie femmine.
Il dottor don Nicolò Modica sposo’ il 15/4/1801 donna
Rosa di Bella, figlia di don Giambattista di Bella,
possessore del feudo di Grisì nel 1812.
I diritti connessi al possesso di tale feudo sono
pertanto passati al figlio di Nicolò Modica e Rosa di
Bella e cioè al dottor don Marco Modica (n. 24/12/1807)
in virtù della Costituzione «ut de successionibus»
della clausola «pro se et suis» contenuta
nell’originario atto di concessione alla famiglia di
Bella e del privilegio speciale concesso all’originario
investito (il Marchese Beccadelli).
L’eversione della feudalità, del 1812, ha cristallizzato
in capo alla famiglia di Bella ed a quella Modica che di
essa è legittima discendente, giacché in quest’ultima il
casato di Bella si e’ estinto, le prerogative acquisite.
La legge 10 agosto 1812 che abolì la feudalità in
Sicilia, al paragrafo 7 recita a tal proposito:
«Conserverà ognuno i titoli e gli
onori, che sinora sono stati annessi agli in avanti
feudi, e dei quali ha goduto, trasferibili questi ai
suoi successori».
Lupis Macedonio di Santa Margherita M.
«Studi e Fonti Documentarie della
Societa' Genealogica Italiana. La necessità del Regio
Assenso (Reale Beneplacito) nella legislazione nobiliare
napoletana con particolare riferimento alla Successione
femminile dei titoli nobiliari»
ha peraltro ricordato che
«Risulta pacifico che, nel Napoletano e
in epoca feudale, cioè fino alla Legge di abolizione
della feudalità del 1806, non era necessario alcun
provvedimento formale (Regio Assenso, pagamento di
alcuna tassa o "relevio" che dir si voglia etc.) per la
trasmissione del solo titolo, ne' per linea maschile,
ne' per linea femminile».
(74)
- Nania G., «Toponomastica e topografia
storica nelle valli del Belice e dello Jato»
Barbaro Editore Palermo, pag.132, nota 2, cfr. altresì
Atto in Notaio Don Antonio Gorgone di Monreale stipulato
il 5.03.1782.
(75) -
Giuffrè F. «Il Santuario di Cruillas piccola
Pompei nella cittá di Palermo, luoghi e memorie
religiose di un territorio», Ducezio Editore, 1995,
a pag. 105 ricorda che «la proprietá passò poi ai
baroni Modica» che l’hanno venduta nel 1942 alla
famiglia Lupo, da cui poi passò ai costruttori Piazza
che la demolirono per costruire un complesso di moderni
palazzi.
(76) - Don Girolamo Mirto
fu più volte Sindaco di Monreale (dal 1861 al 1865),
Assessore facente funzioni nel 1867 ed apparteneva ad
una delle famiglie più antiche e di grandi tradizioni di
Monreale. A questa città ha dato più volte pretori,
decurioni, giurati e sindaci. Il barone Pietro Mirto
Seggio fu Sindaco di Monreale dal 1877 al 1882 e nel
1890 e possessore, tra gli altri del feudo di Renda. Don
Girolamo sposò donna Giuseppa di Bella, dalla quale ebbe
cinque figli: Angela sposata con Salvatore Modica, Maria
sposata con Giuseppe Epifanio seniore, Girolamo,
Domenico e Rosa. Girolamo (junior) fu medico specialista
di malattie nervose e mentali, psichiatra tra i più
apprezzati e stimati del suo tempo; fu altresì libero
docente di elettrobiologia ed elettroterapia delle
malattie nervose all'Università di Palermo. Domenico fu
Professore presso l’Università di Catania e poi
Professore di Medicina Legale all'Università di Palermo
(76). Entrambi sono ricordati da Sebastiano Salomone,
«La Sicilia Intellettuale Contemporanea, Dizionario
bio bibliografico», Tip. Francesco Galati, Catania,
1913, p. 316.
(77) - Il Professore
Giuseppe Epifanio (nato nel 1886), figlio di Giuseppe
Seniore e di Maria Mirto, fu padre di Maria Letizia.
Possidente e già consigliere comunale di Monreale, dove
la famiglia si era trasferita ai primi del 1700 da
Bisacquino proveniente da Benevento, conseguì la laurea
con lode in Medicina nel 1910 a Palermo. Dopo essere
stato nominato assistente di anatomia umana presso
l'Università di Palermo, frequentò nella qualità di
assistente la Clinica neuropsichiatrica del Professor
Lugaro a Torino, rientrando a Palermo alla fine del 1913
come assistente presso la Clinica medica. Durante la
prima guerra mondiale prestò come Ufficiale medico la
sua opera in reparti di prima linea ottenendo parecchi
riconoscimenti militari mentre, come Direttore
dell'Ospedale civile e militare di Rivignano del Friuli,
ebbe conferita la cittadinanza onoraria di quella città
per le sue benemerenze verso la popolazione civile. Nel
1918 conseguì la libera docenza in patologia medica,
collaborando anche in quell'anno alla realizzazione
dell'Ospedale di Mogadiscio in Somalia e ritornò alla
Clinica medica di Palermo diretta dal Professore Giuffrè
che lo nominò suo aiuto. Nel 1923 ottenne la libera
docenza in Radiologia ed Elettroterapia; nell'anno
successivo venne incaricato dell'insegnamento di
Radiologia nell'Università di Palermo, e tale cattedra
egli tenne fino al giorno della sua morte, per oltre un
trentennio. Dal 1945, anno di istituzione ad opera sua,
sino al 1955, anno della sua morte, diresse la Scuola di
Specializzazione in Radiologia Medica e Terapia Fisica
dell'Ateneo palermitano; fu anche Direttore Radiologo
presso il Centro per lo studio e la cura dei tumori di
Palermo, socio dell'Accademia delle Scienze mediche di
Palermo e della Società Italiana di Radiologia Medica.
Svolse importanti ricerche insieme a Fermi, Rasetti,
Pontecorvo e Segrè. Padre di Giuseppe fu Giuseppe
seniore, consigliere comunale, sposato con Maria Mirto.
Questi era figlio di Giovanni, possidente, sposato con
Margherita Zerbo, figlia dell’architetto Giuseppe Zerbo.
La famiglia Epifanio è originaria della città di
Benevento da dove si è poi diramata in varie altre parti
della Penisola italiana. Della esistenza di rami
siciliani della famiglia
Epifanio dà pure conto il
Crollalanza. Candida Gonzaga Berardo, «Memorie
delle famiglie nobili delle Provincie meridionali
d'Italia», vol. VI, Napoli, 1875, pag. 84 afferma
che la famiglia Epifanio è «Famiglia originata da
Epifanio, il quale nell'anno 935 fu inviato da Romano
Lacapeno, Imperatore, in aiuto di Ugone Re d'Italia,
perchè gli sottoponesse Landulfo Principe di Capua,
Atenulfo Principe di Benevento e Guaimario Principe di
Salerno. Ha goduto nobiltà in Benevento, Chieti ed in
Sicilia, e si estinse nella famiglia Morra».
In realtà nella nobile casa dei Morra nel XIII secolo la
famiglia Epifanio non si estinse affatto. Roffredo
Epifanio, infatti, ebbe due figli: Bartolomeo (vivente
nel 1289), Giudice della città di Benevento e Sibilla
che sposò Francesco Morra (1250). Il casato fu dunque
perpetuato da Bartolomeo. La famiglia Epifanio fu
decorata del titolo di marchese sul cognome e ha dato
alla Storia un Pontefice, come ricorda sempre il Candida
Gonzaga che specifica trattarsi della «famiglia de'
Marchesi Epifanio, Patrizia Beneventana, originata dagli
antichi Principi di Benevento longobardi ed alla quale
appartenne il Pontefice Vittore III ». Tuttavia, a
proposito dell'appartenenza alla stessa famiglia del
Papa Vittore III, occorre evidenziare come quest'ultimo
innalzasse uno stemma del tutto differente da quello di
Roffredo, consigliere di Federico II. Mentre infatti
Roffredo Epifanio (1170 c – 1244 c), aveva il seguente
stemma «corona su tre bisanti in campo azzurro»,
Papa Vittore III aveva la seguente arma «inquartata
di argento e di rosso». Appartennero alla stessa
famiglia Epifanio anche altri personaggi illustri. Tra
questi va ricordato Desiderio Epifanio che fu cardinale
nel 1508. A riprova dell'esistenza di altri rami della
famiglia va sottolineato che essa fu anche insignita del
titolo di Baroni di Corvara e Pescosansonesco. Gli
Epifanio
succedettero alla famiglia D’Afflitto che
possedeva le due baronie di Corvara e Pescosansonesco e
la cerimonia di passaggio si tenne il 26 gennaio del
1602.
Muzio Epifanio fu barone di
Pescosansonesco dal 1602, per effetto di acquisto da
Fabio d’Afflitto, e Giulio Cesare Epifanio ancora nel
1692 ne era feudatario.
(78) - Il 20 ottobre 1920
Giuseppe Epifanio sposò a Noale (Treviso) Anna
Cappelletto Manera, nata nel dicembre del 1895,
appartenente ad una antica famiglia trevigiana, in
particolare montebellunese. Anna Cappelletto Manera era
figlia di Antonio Cappelletto e di Maria Manera. Ella
frequentò per molti anni l’esclusivo Collegio delle
Suore di Maria Bambina a Crespano del Grappa. Fu
infermiera della Croce Rossa durante la Prima Guerra
Mondiale nel Corpo della Duchessa d’Aosta, Elena di
Francia, operò al fronte negli ospedali da campo
guadagnando la Croce di Guerra e la Medaglia d’argento
al valor militare. Dopo la disfatta di Caporetto,
scioltosi il Corpo della Duchessa, raggiunse la famiglia
che si era rifugiata a Gubbio. Lì si occupò dei profughi
conseguendo la medaglia di bronzo al valor civile.
Secondo quanto si tramandava in famiglia Anna era
discendente del nobile Marco Cappello detto Cappelletto,
vissuto nella metà del XIV secolo a Treviso, figlio
ultrogenito di Pancrazio, del sestiere di S. Croce, e
fratello sia di Marino, celebre condottiero che di
Niccolò e di Albano. A Scorzè e Vedelago, in provincia
di Treviso, a difesa della cui marca l’antenato Marco
aveva combattuto nel 1356 insieme al fratello Marino,
esistono tuttora possedimenti e ville Cappelletto. Di
proprietà del padre di Anita fu anche la villa con
annesso il parco, che si trova nel centro della città di
Montebelluna. La madre di Anita, Maria, apparteneva
all’antica famiglia veneta dei Manera. Il fratello di
Maria, Paolo, celibe, lasciò l’unica nipote erede di un
ingente patrimonio, nel quale si ricomprendevano la
villa settecentesca di Noale e vasti possedimenti
terrieri insistenti nella pianura padana. Paolo e Maria
Manera erano figli di Giovan Battista Manera e di
Marianna Massari. Giovan Battista era figlio di Paolo
Ausilio e Chiara Fornasieri; Paolo Ausilio era figlio di
Giovan Battista e Marta Bauta. Giovan Battista era
figlio di Paolo e di Anna Canova, zia diretta del
Marchese Antonio Canova, il celebre scultore vissuto dal
1757 al 1822, che divenne famoso per la sua arte in
tutto il mondo.
(79) - Estratto per
riassunto degli atti di nascita del Comune di Palermo.
(80) - Estratto per
riassunto degli atti di nascita del Comune di Palermo.
(81) - Estratto per
riassunto degli atti di nascita del Comune di Palermo.
(82) - Estratto per
riassunto degli atti di nascita del Comune di Palermo.
(83) - Estratto per
riassunto degli atti di nascita del Comune di Palermo.
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