Ovvero delle Famiglie Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia. 

Famiglia Landolfi

a cura di Paolo Modica

Arma: d'azzurro, a tre fasce d'oro la prima caricata di sei stelle (5) di rosso, nel capo un lambello d'oro di cinque pendenti.

vedi Landolfi
Stemma famiglia Landolfi

La famiglia Landolfi vanta antichissime tradizioni. Viene comunemente fatta risalire ai Landolfi, signori longobardi di Capua e Benevento.

Fu feudataria durante il tempo angioino, fu ricevuta per giustizia nell’Ordine gerosolimitano di San Giovanni, prima detto di Rodi, poi detto di Malta, nel 1594 (1) con Giovanbattista (2).

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Godette nobiltà in diverse città del Napoletano: a Solofra fin dal 1329, ad Aversa ebbe posto nel sedile di San Luigi sin dalla sua fondazione (1375) di circa due secoli anteriore alle aggregazioni del 1575 (3).

Godette di nobiltà anche nelle città di Eboli e di Cava dei Tirreni (4). Nel Cilento (5) possedette per secoli le baronie di Fornelli e Cosentini (6) e, con il titolo di Signoria, quella di Prignano (7) e beneficio’ di altri privilegi feudali. Nel suo ramo lombardo, originario di Pavia, fu decorata del titolo di Conte del Sacro Romano Impero ed esercitò il possesso feudale di Ronchetto, Cosnasco e Cassina Barozzi (8).

Il ramo principale si è sviluppato a Solofra, dove questa famiglia è ricordata come una tra le più nobili famiglie baronali del luogo.

Scrive a proposito dei Landolfi di Solofra la storica Mimma De Maio (9) che

«La famiglia Landolfi è un ceppo di origine longobarda imparentatosi nell’Italia meridionale con i Normanni tramite Mabilia di Ceccano (ndr. figlia di Landolfo conte di Ceccano) che alla fine del XII secolo sposò Iacobo Tricarico, discendente del normanno Troisio di Rota e feudatario di Solofra (10). Forse questa fu la via che portò all’instaurazione a Solofra di qualche ramo della famiglia, che nel 1329 si trova iscritta tra le trenta famiglie civili di Solofra».

Il notaio Vitantonio Grassi riferisce a tal proposito che nella Regia Camera della Sommaria c’era un documento che riportava un tale elenco che egli cita nella sua memoria Genealogia e ragguagli Istorici del antico e moderno stato di Solofra e sua Università, 1722” (inedito).

Scrive Vitantonio Grassi:

«In un notamento ritrovato nelli Regi registri presso la Regia Corte, tra le più antiche famiglie del Regno sono nominate e descritte di Solofra, nel 1329 trenta famiglie, delle quali si hanno le prime (Fasani, Patroni, Maffei, Giliberti, Ronca, Vigilante, Jaquinti, Giuliani, Federici, Papa, Grimaldi, Landolfi, Troise, Buongiorni, Morenio, Lettieri)» (11).

Mabilia, figlia di Landolfo II di Ceccano e di Egidia Colonna, alla fine del XII secolo sposò Iacobo Tricarico, discendente del normanno Troisio di Rota e feudatario di Solofra. Grazie al matrimonio di Mabilia con Giacomo, un ramo della famiglia dei conti di Ceccano si impiantò a Solofra.

Da Landolfo ed Egidia nacquero altri due figli: Giovanni e Stefano, che abbracciò la carriera ecclesiastica e fu diacono di S. Elia a Ceccano, poi "camerarius" di Innocenzo III e cardinale. Landolfo morì nel maggio del 1182 e Giovanni venne a succedergli in quel periodo di bonaccia politica che era seguita alla morte del gran papa Alessandro III avvenuta l'anno avanti. Ad occupare la cattedra di S. Pietro era stato eletto e consacrato nella sua sede episcopale di Velletri papa Lucio III il quale, data la malsicura situazione politica a Roma, resse le sorti della Chiesa per quasi due anni, dalla sua sede vescovile.

Giovanni, conte di Ceccano, Mabilia e Stefano, Abate, “Camerarius” di Papa Innocenzo III e poi Cardinale, erano figli di Landolfo II, conte di Ceccano, a sua volta figlio di Landolfo I, anch’egli conte di Ceccano. Giovanni, che fu forse il personaggio più rilevante della famiglia dei conti di Ceccano, ebbe due figli maschi: Landolfo III e Berardo.

Probabilmente il fatto che il nome “Landolfo” fosse molto ricorrente nella famiglia dei de Ceccano, costituì un modo per identificare alcuni ceppi di quella famiglia.

Va tuttavia considerato che la famiglia Landolfi e la famiglia de Ceccano innalzano stemmi completamente differenti tra loro. Il che fa dubitare circa una derivazione della prima famiglia dalla seconda.

Più probabile, o comunque possibile, stando alla ipotesi prospettata dalla De Maio, potrebbe essere la circostanza secondo la quale, in occasione del trasferimento di Mabilia a Solofra, ella portasse al suo seguito familiari o comunque dignitari di provata fedeltà al conte Landolfo de Ceccano, persone nobili dunque, che in quanto "appartenenti" o per lontana parentela o per vincoli di sudditanza al casato dei de Ceccano, presero ad essere identificati con il cognome "Landolfi", cioè "di Landolfo", in modo da rimarcare il fatto della loro riconducibilità politica a quella famiglia.

Del resto indizio di una siffatta aggregazione familiare puo' essere considerato il fatto che alcune tavole in legno che ornavano le corone dei soffitti del palazzo baronale, oggi distrutto, della famiglia Landolfi, ubicato al Sorbo in Solofra, riportavano sia lo stemma dei Landolfi sia quello dei de Ceccano.

Ultimo esponente della famiglia Landolfi del Sorbo di Solofra è stato don Michele, nato nel 1848, che fu procuratore generale del Re presso la suprema Corte di Cassazione e poi Primo presidente della stessa Corte di Cassazione.

Vedi Landolfi
S.E. D. Michele Landolfi, primo presidente della Corte di cassazione (1848 1938)

Michele nacque a Napoli il 14 settembre 1848 e si spense a Palermo il 10 febbraio 1938 all'età di 89 anni (12). Fu insignito dell'alta onorificenza di Cavaliere di Gran Croce, decorato del Gran Cordone dei Santi Maurizio e Lazzaro e di Grand'Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia (13).

Egli sposò la nobile donna Emilia de Monaco e Anselmi (nata il 7 novembre 1874) figlia del nobile don Palmerindo de Monaco (14) e di donna Natalia dei marchesi Anselmi.


Palazzo Landolfi Solofra

Dei figli di Michele ed Emilia morirono in tenera età i maschi Mario (nato il 28 giugno 1904) e Roberto Giuseppe Antonio Palmerindo (nato il 21 febbraio 1906) mentre raggiunsero la maggiore età Teresa (nata a Napoli il 22 gennaio 1900 e morta a Palermo il 18 settembre 1962) che sposò a Palermo il 19 giugno 1940 Francesco Di Blasi, funzionario del Banco di Sicilia e morì senza figli; Maria (nata a Napoli il 25 maggio 1901 (15) e laureata in Lettere antiche nell'Università di Palermo) che sposò Marco Modica, professore universitario e padre di Ugo; Anna Maria (nata a Napoli l'8 luglio 1903 e morta infante); Filomena, nubile, e Livia che sposò il dottor Francesco Coppola, Dirigente del Banco di Sicilia, dai quali nacquero Emilia (sposata con Domenico Pasqualino di Marineo), Rosalia (sposatasi con Antonino Martinez), Gabriella (sposatasi con Giovanni Romano Gallegra) e Antonio (sposato con Dora Di Quattro).

Michele fu figlio di Teresa dei conti Panzuti e dell'avvocato nobile don Mario Landolfi, Consigliere di Corte d'Appello (16) ed aveva tre fratelli: don Felice, don Eduardo (avvocato, nato nel 1861) e don Donato (nato nel 1858).

Il padre di Michele, Mario, era nato a Casoria e fu battezzato nella locale Parrocchia dedicata a San Benedetto l'8 giugno 1792.

Egli aveva sposato Teresa dei conti Panzuti, in seconde nozze, il 30 settembre 1839 a Napoli in Sezione Vicaria. Testimone del matrimonio fu il di lui fratello Nicola nato a Solofra nel 1795. Nel registro dei battezzati di Solofra appunto del 1795 è riportato che:

«Il giorno 30 dicembre 1795 è stato battezzato in Solofra nella Chiesa Collegiata di San Michele Arcangelo dal Canonico Curato Don Ferdinando Giliberti l'infante Nicola Raffaele Antonio Silvestro Michele Arcangelo Landolfi, nato in Solofra il giorno 29 dicembre 1795 da M.co U. J. D.re Don Felice Landolfi e Donna Tommasina Fucci. Madrina: Lucia Ballarano, ostetrica».

Mario era il terzo di cinque fratelli: Ippolita (nata l'1 maggio 1786), Maria (nata il 17 marzo 1791), Tarquinio (nato il 6 marzo 1794) e il predetto Nicola (nato appunto il 29 dicembre 1795). 

Fu figlio del Magnifico dottore utroque jure don Felice e di Maria Tommasina di Fuccia e morì a Napoli il 10 febbraio 1872.

Don Felice (padre di Mario) nacque a Solofra il 10 aprile 1739 da Donato Landolfi (nato il 6 maggio 1705), quest’ultimo sindaco di Solofra dal 1735 al 1739, possidente del Sorbo, ed Ippolita Martini e morì sempre a Solofra il 16 gennaio 1819.

Egli aveva i seguenti fratelli: Mario (nato il 23 aprile 1724 e morto il 16 gennaio 1750), Livia (nata il 2 febbraio 1726), Michele (nato il 13 gennaio 1728), Feliciana (nata l'11 marzo 1730) e Francesco (nato il 22 agosto 1734).

Donato Landolfi nacque il 6 maggio 1705 da Mario (nato il 9 aprile 1643 e morto il 9 giugno 1716) e Feliciana Ronca, appartenente a nobile famiglia solofrana, e sposò Ippolita Martini.

Donato aveva un fratello maggiore, Felice (nato il 3 maggio 1703) ed un fratello minore, Filippo (nato il 2 maggio 1708) che si dilettava di pittura. Di questo Filippo si conservano nella locale Chiesa di S. Michele alcuni dipinti che portano la firma “don Filippo Landolfi anno 1730”.

Come detto il loro padre Mario, sindaco di Solofra dal 1677 al 1679, dal 1691 al 1692, dal 1711 al 1712 e dal 1715 al 1716, nacque il 9 aprile 1643 e morì il 9 giugno 1716. Sposò Feliciana Ronca, appartenente a quella nobile famiglia solofrana che fu fondatrice dell'antica cappella del SS. Crocifisso, poi chiesa di Santa Teresa con annesso monastero, ubicata al casale Sorbo di Solofra dove la stessa famiglia dimorava (17).

Mario era figlio di primo letto di Tarquinio Landolfi (18).

Mario Landolfi fu uno dei più ricchi signori di Solofra dell’epoca, aveva vari interessi commerciali, con un raggio di azione sulle piazze non solo della vicina Salerno o della capitale, ma anche della Puglia, dove a Melfi il figlio Donato Antonio sposò una Donadoni (19). Vissuto tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, partecipò alle liti della Universitas contro l’Orsini subendone anche le conseguenze. Dotò la Collegiata di S. Michele Arcangelo di sei Mansionari per il servizio del coro.

Vedi Landolfi

Dal suo testamento:

«il testatore dispone di essere sepolto nella cappella della famiglia Landolfi nella Collegiata. Gli eredi sono il clerico Felice Antonio, Tarquinio e Donato Antonio a cui lascia la sua casa palazziata al Sorbo costituita di 34 membri inferiori e superiori con tre gradinate, una loggia soprana, un cortile, un pozzo, una pergola a padiglione ed altre comodità, con giardino murato congiunto ad altro giardino fruttifero; altre due case con fontana e cortile site a Caposolofra seu Vicinanzo, una casa sottana, una bottega di conceria con spanditoio sita alle Fontane sottane seu S. Lucia che possiede in comune col fratello Nicolò; una selva alla Palata, un’altra detta Selva di Nicolò Landolfi, un’altra al Campo del Lontro; un’altra detta Selva di Nuzzo; una alle Mura dei Cappuccini, una masseria al Carrano con casa rustica; tre masserie alle Celentane; una bottega con tre porte camera due cisterne e suppigno con gradiata sita nella piazza di Bitonto. Nella casa c’è: lo studio del figlio Michele defunto con i suoi libri, una casa uso salata, un magazzino con caldara de conciaria con tavola per salata di vacche, un casino con tavole per tenere mortella e con una statela grande, una casa delle tenatore, ci sono corie bufaline forestiere, castrati della fiera di Grottole, coire baccine, un tauro, porcini, sopra le tenatore vi è un mocassino per uso di pagliara. Nelle case vicino all’entrata grande detta della colata dove si corredano le corie ci sono due tavole grandi da corredare e loro scanni di legno e altre tavole. A Donato e a Felice Antonio lascia gli arrendamenti dell’Università di Lucito in Capitanata di Puglia l’arrendamento della “Farina vecchia” di Napoli. Dice di aver dotato le figlie monache Maria Felicia e Serafina, lascia al nipote Brando ducati 500. Lascia dei legati alla chiesa di S. Vito. Si raccomanda affinché nella festività di San Michele dell’8 maggio gli eredi o i chiamati nella fondazione dei Mansionari donino una candela seu torcia lavorata di una libra ai Mansionari che devono assistere al coro. Ai figli spetta di solennizzare a loro spese l’ottava di detto santo. Dichiara di dovere ducati 1250 al canonico Vittorio Ronca, mansionario, a Marco de Facenda di Bitonto, a Salvatore e Felice Maffei per la gabella. Suoi debitori sono: Giò Grazio Guarino, Nicola di Gifuni di Napoli, Carlo Rossi di Paternò, Francesco Giaquinto, Pietro Guarino, Filippo Filosa di Salerno, Costante di Napoli di Giffoni, Graziano Grimaldi, Basile de Marra della Foria di Salerno, Lorenzo Ronca, Francesco e Diego Barone di Saragnano, i fratelli Antonio e Giuseppe Landolfi, Andrea Vigilante, Flavio, Tommaso e Mario de Vultu, Giacomo Vigilante, l’Università di Solofra, Giuseppe di Benedetto, Michelangelo Landolfi, Nicola Pirolo, Vittorio Garzillo. Dispone dei lasciti a Santa Maria delle Grazie, alla Cappella di S. Maria dei sette dolori, al Monte dei Landolfi».

Tarquinio Landolfi, padre di Mario, (nato tra il 1598 ed il 1599, morto il 29 marzo 1688) sposò in prime nozze Livia Ronco (il 27 novembre 1638), appartenente a nobile famiglia di Solofra, ed in seconde nozze Margarita Giannattasio (29 maggio 1651) anche lei appartenente a nobile famiglia solofrana.

Da Livia Ronco nacquero Olimpia (nata il 27 ottobre 1641), il predetto Mario (nato il 9 aprile 1643), Geronimo (nato il 20 agosto 1645), Virgilia (nata il 29 ottobre 1646) e Franca (nata l'8 dicembre 1648).

Dalla seconda moglie, Margherita Giannattasio, nacquero Geronimo (nato il 16 maggio 1652) e Tommaso (nato il 4 gennaio 1654).

Il predetto Tarquinio era figlio di Geronimo (nato nella seconda metà del 1500 e morto l'1 gennaio 1645).

Della famiglia Landolfi faceva parte anche donna Serafina Landolfi, figlia di Mario, badessa del Convento di Santa Maria delle Grazie (poi Santa Chiara) adiacente alla Collegiata di S. Michele (20). In tale Chiesa si conserva tuttora uno splendido armadio, lavorato in oro, a Lei appartenuto, nel quale sono incise le seguenti parole:

“ARCH. F. DALLA MOLTO REVERENDA MADRE SUPERIORA SUOR MARIA SERAFINA LANDOLFI BADESSA LI 30 LUGLIO 1751”.

Da un estratto catastale storico dell'art. 1382 del catasto rustico del comune di Solofra, curato dall'Agenzia delle Imposte dirette di Atripalda del 9 febbraio 1899, si desume che Michele Landolfi fu Mario possedeva in Solofra, Via Sorbo numero 2, una “casa di piani 2 vani 14 con l'imponibile di lire 114.55. Si certifica che tale fabbricato era, prima del 1870 intestato, fra maggior numero di vani, a Landolfi Mario fu Felice”.

Da un estratto catastale storico dell'art. 2265 dello stesso catasto rustico del comune di Solofra, sempre del 9 febbraio 1899, si desume, inoltre, che Michele Landolfi possedeva i seguenti fondi: Sorbo (giardino) (21), Celentano (seminativo vitato con acqua ogni 22 giorni), Capo Piazza (seminativo vitato con rustico), Cappuccini (seminativo montuoso) e Selva di Nuzzo (selva). Per tali fondi l'imponibile era pari complessivamente a £. 1543.90 (nel 1899) (22).

A Solofra esiste tuttora un palazzo Landolfi lasciato alla città da don Agostino Landolfi. Scrive a questo proposito il Guacci (23):

«L'abilità degli scalpellini fu esasperata anche da interessi privati come dimostrano i numerosi ed interessanti archi di ingresso di alcuni fra i più importanti palazzi baronali di Solofra del XVII secolo. Merita una nota degna il bellissimo arco di ingresso che racchiude il portale del palazzo Landolfi, ora adibito ad Ospedale (ndr. ultimamente destinato a sede del Comune); esso è formato da blocchi di travertino interamente cesellati ed impreziositi da un disegno di ghirigori in bassorilievo molto accentuato. Interessanti sono i due blocchi di pietra di base del piano d'ingresso per il loro esasperato cesello, che si ripete in egual misura all'origine dell'arco. Molto bello anche lo stemma che s'innesta in chiave e che rappresenta una caratteristica di moltissimi palazzi seicenteschi solofrani, contraddistinti dallo stemma con emblema di famiglia».

Lo stemma del palazzo Landolfi è stato rubato. Tuttavia è stato possibile ricostruirlo grazie alla immagine che ne è conservata nella chiesa di S. Michele e grazie ad una antica pergamena conservata a palazzo Zurlo, nella quale sono raffigurati tutti gli stemmi delle antiche nobili famiglie solofrane.

Esso risulta così descritto:

«d'azzurro (o di rosso), con tre fasce d'oro, la prima delle quali caricata di sei stelle del medesimo (o di rosso) e sormontate nel capo da un lambello d'oro (o di rosso) di cinque pendenti».

E' probabile che lo stemma antico fosse

«d'azzurro con due fasce d’oro al capo decorato con un lambello d’oro di cinque pendenti tra i quali sei stelle d’oro».

Altro stemma della famiglia era

«rombeggiato d'azzurro e d'argento al capo d'argento con un lambello d’oro (o di rosso) di quattro pendenti, tra i quali tre stelle d’oro (o di rosso)».

Lo stemma Landolfi, oltre ad essere riprodotto ai lati e nel soffitto ad oro zecchino della monumentale Collegiata di San Michele Arcangelo (di Solofra), si ritrova anche nella Cappella che trovasi nella navata sinistra di quel Tempio, di plurisecolare jus patronato della famiglia e nei diversi palazzi a Solofra (Av), a Castelfranci (Av), a Montecorice (Sa) ed in particolare nel Palazzo esistente in quella che attualmente è una frazione del citato Paese, Fornelli, che la famiglia tenne in feudo con il titolo di baronia sino all'abolizione della feudalità (1806) (24).

I Landolfi di Solofra avevano dimora anche a Napoli, dove entrarono a far parte della potente Consorteria delle Centenare, con ciò usufruendo di speciali protezioni e privilegi (25).

A Solofra la famiglia Landolfi fu tra le famiglie che costituirono la Confraternita “Dei nobili Bianchi”, filiale dell’omonima Confraternita napoletana, a carattere nobiliare (26) (27).

Come tutte le famiglie solofrane la posizione sociale dei Landolfi fu determinata dalla partecipazione alle attività mercantili locali e dal fare parte del clero e del ceto togato.

I Landolfi furono proprietari di apoteche de consaria sia al rione Fiume, sia al casale Fontane sottane, di botteghe per la lavorazione delle scarpe e del battiloro. Furono mercanti con un ampio raggio di azione dalla zona mercantile di Lanciano, in Puglia e a Napoli, luoghi questi ultimi dove si impiantarono con le loro attività e con matrimoni che li legarono a Melfi e a Bitonto. Nella capitale soprattutto ebbero rapporti economici e si trasferirono a Napoli per godere con il loro impianto in città delle prerogative commerciali destinate ai cittadini di Napoli proprietari di beni in città ed ivi sposati.

Scrive il Garzilli (28), a proposito dei rapporti di carattere industriale e commerciale tra Napoli e Solofra, che tali rapporti sono sempre stati molto stretti “perché molte famiglie nobili – i Garzilli, i Landolfi, i Murena, i Giannattasio ed altre – avevano case anche a Napoli, dove trascorrevano il periodo invernale. Furono queste ultime a costituire qui l’Arciconfraternita ‘Dei Nobili Bianchi’ che era una filiale dell’omonima che ancora oggi esiste a Napoli” (29).

Tutto questo patriziato ebbe titoli nobiliari baronali che nei secoli XVII e XVIII vennero concessi in gran quantità e senza che poggiassero su un bene come invece succedeva prima. Queste famiglie sono i Murena, i Maffei, i Garzilli, i Giannattasio, i Giliberti, i Ronca e i Landolfi (30).

Va ricordato che “nella navata sinistra della Collegiata di San Michele Arcangelo, subito dopo il Battistero”, si trova “la Cappella dedicata alla S.S. Trinità di jus patronato della famiglia Landolfi, la quale anche, per secoli, aveva trascurato di sostituire con altare in marmo l’originario altare in legno”. Scolpito sul marmo ai lati dellaltare si trova lo stemma dei Landolfi. La famiglia Landolfi possedeva, anche, nel 1859, la Cappella di Maria S.S. di Montevergine, pervenuta a Giovan Battista Landolfi e Vigilante dalla famiglia Giaquinto (31).

 

 

Note:
(1) - Bonazzi F., Elenco dei Cavalieri del S. M. Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, Forni Editore, Napoli, 1897-1907, parte prima, pag. 178.

(2) - Cfr. D’Avenia Fabrizio, Nobiltà allo specchio, Ordine di Malta e mobilità sociale nella Sicilia moderna, pag. 76/77 in nota 6. Non e’ dato sapere se Giambattista Landolfi svolgesse attività di carattere mercantile, come la sua famiglia, ma in ogni caso egli fu pienamente ricevuto nell’Ordine. Peraltro va fatto osservare che, alla metà del 1300, la famiglia Landolfi faceva parte della Consorteria delle centenare, riconosciuta legalmente nel Regno di Napoli che godeva di molte protezioni e privilegi tra cui, unica nel Regno, la compatibilità con lo "status" nobiliare dei suoi membri che era invece negata a coloro che, facenti parte di altre Corporazioni, svolgevano attività commerciali ed industriali; cfr. De Maio M., Solofra nel Mezzogiorno…., pag. 181-194

(3) - Napolitano T., Del Compendio dell’historia del Regno di Napoli, Parte terza, pag. 220, Venezia, 1613; Beltrano O., Breve Descrittione di Terra di Lavoro Prima Provincia del Regno di Napoli….., Napoli, 1644, pag. 101.

(4) - Almagiore T., Raccolta di varie notizie historiche …, pag. 42, Napoli, 1675; Candida Gonzaga, Memorie delle Famiglie nobili …., vol. VI, pag. 16.

(5) - Almagiore T., Raccolta di varie notizie historiche …, pag. 47, Napoli, 1675; Boverio Z., Annali dell’Ordine dei frati minori, Tomo II, parte II, pag. 593, Venezia, 1645.

(6) - Napolitano T., Del Compendio dell’historia del Regno di Napoli, Parte terza, pag. 220, Venezia, 1613; Almagiore T., Raccolta di varie notizie historiche …, pag. 42, Napoli, 1675; Giustiniani L. , Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, Tomo IV, pag. 349, Napoli, 1802; Lobstein F., Settecento calabrese ed altri scritti, Ed. Fausto Fiorentino, pag. 351, Napoli.

(7) - Nel 1524 Ferrante e Prospero Landolfi, rispettivamente padre e figlio, vendettero Prignano con i Casali di Melito e Pugliesi, ad Antonio Cardone; poco meno di un secolo dopo la famiglia Landolfi, nel 1610, lo riacquistò dai Matarazzo che lo avevano ricevuto per successione da Cornelia de Pasca. Giustiniani L. , Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, Tomo VII, pag. 319, Napoli, 1804.

(8) - Le istituzioni storiche del territorio lombardo nei secoli XIV-XIX, Pavia, Regione Lombardia, Milano, giugno 2000, pag. 25.

(9) - De Maio M., “Alle radici di Solofra“, Avellino, 1997; “Solofra nel Mezzogiorno angioino-aragonese“, Solofra, 2000. Ma si veda soprattutto il sito “www.solofrastorica.it”.

(10) - Della Marra F., “Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli”, Napoli, p.135. Giacomo Tricarico fu feudatario di Solofra all’inizio della sua autonomia territoriale ed amministrativa.

(11) - Tale notizia é riportata da De Maio Mimma, Solofra nel Mezzogiorno angioino-aragonese, editore il Campanile – Notiziario di Solofra, anno 2000, pag. 23, nota 45. L’Autrice ritiene che tale documento dimostri la consistenza della società locale ed anche il suo legame con la realtà economica del primo periodo angioino.

(12) - Si riportano le note pubblicate dal quotidiano “Roma” dell'11 febbraio 1938 e dal quotidiano “Il Mattino” del 1 marzo 1938.

Scrive il primo:

“Si è spento qui dopo breve malattia S. E. il cav. di Gr. Croce Michele Landolfi, Procuratore Generale di Cassazione a riposo.

Nato a Napoli da una famiglia di grandi tradizioni entrò giovanissimo nella Magistratura.

Per oltre cinquant'anni esercitò l'alto ministerio con serenità e indipendenza. A Napoli fu Consigliere della Corte di Appello e Presidente Capo del Tribunale. Nel 1919 fu promosso alla Suprema carica di Procuratore Generale della Corte di Cassazione di Palermo. Era insignito dell'alta onorificenza di Cavaliere di Gran Croce, decorato del Gran Cordone dei Santi Maurizio e Lazzaro.

Magistrato di vasta cultura, di fecondo ingegno, fu altamente stimato per rettitudine, integrità di carattere, bontà di animo, signorilità, marito e padre esemplare. Con Lui scompare una delle più eminenti figure della Magistratura italiana.”.

Riporta “Il Mattino”:

“Si è spento a Palermo dopo breve malattia S. E. il Cav. di Gran Croce Michele Landolfi Procuratore Generale di Cassazione a riposo.

Nato a Napoli da una famiglia di grandi tradizioni entrò giovanissimo nella Magistratura percorrendo rapidamente e brillantemente tutti i gradi della carriera. Per oltre cinquant'anni esercitò l'alto ministerio della giustizia con serena coscienza ed indipendenza, lasciando dovunque tracce indelebili della sua opera di valoroso magistrato di vasta coltura, di profondo acume giuridico, di fecondo ingegno fu sinceramente stimato per rettitudine, integrità di carattere e bontà di animo. Ed accanto a queste sue impareggiabili qualità associava la nota fine ed accogliente della signorilità del gentiluomo di razza”.

(13) - Qui di seguito si riportano le date in cui Michele Landolfi fu investito delle citate onorificenze.

Egli, allora Presidente del Tribunale civile e penale di Cassino, con decreto di Sua Maestà Vittorio Emanuele III del 17 gennaio 1895, viene nominato Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia; la successiva iscrizione nel ruolo dei Cavalieri è al numero 51424.

In data 16 novembre 1908, quando è già Consigliere della Corte di Cassazione di Palermo, egli viene nominato Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia con decreto dato a San Rossore; le regie disposizioni vengono eseguite con l'iscrizione nel ruolo degli Ufficiali al numero 4793 (serie 2).

Con regio decreto del 14 novembre 1910, quando ha la qualifica di Primo Presidente della Corte di Appello di Messina, egli viene nominato Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia e viene iscritto nell'apposito ruolo al numero 3717 (serie 2).

Il 21 gennaio 1917 è insignito del grado di Grand'Ufficiale dell'Ordine ed è iscritto successivamente al numero 1541 del ruolo (2 serie).

Per quanto attiene all'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, egli viene nominato Cavaliere con regio decreto 6 giugno 1901. A quella data è Presidente del Tribunale Civile e Penale di Napoli. Viene successivamente iscritto nel ruolo nazionale al numero 482 (2 serie).

Nel 1909 viene nominato Ufficiale dell'Ordine Mauriziano ed iscritto nel ruolo al numero 1518 (2 serie).

Quattro anni dopo, precisamente il 5 gennaio 1913 è Commendatore; viene iscritto al ruolo al numero 1361 (2 serie).

Il 16 gennaio 1919 è decorato del grado di Grand'Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro ed iscritto al numero 622 (seconda serie) dell'apposito ruolo.

(14) - La famiglia de Monaco, come si vedrà, è originaria di Cassino.

(15) - Certificato atto di nascita del Comune di Napoli.

(16) - Don Mario aveva raggiunto, come del resto il padre, il Magnifico dottor don Felice, i più alti gradi della Toga, pertanto ai sensi del già citato Real dispaccio del 1756, la famiglia Landolfi, indipendentemente dal fatto di avere posseduto feudi nobili, era di diritto ascrivibile alla nobiltà generosa del Regno.

(17) - La Chiesa di Santa Teresa fu fondata non lontano dal luogo in cui dalla stessa famiglia Ronca era stata eretta nel 1454 la cappella titolata a Santa Maria del Loreto; il luogo prescelto ricadeva in un giardino del nobile Pietro de Guarino, parente del fondatore Stefano de Guarino. I Guarino del ceppo originario ebbero come stemma nobiliare la seguente arma gentilizia: d'azzurro alla banda di oro accompagnata nel capo da un rastrello a cinque pendenti di rosso (da F. Bonazzi, Famiglie nobili e titolate del napolitano, Napoli, 1902, pp.130/31). Tuttavia i Guarino di Solofra adottarono uno stemma familiare diverso utilizzando il simbolo araldico del leone rampante attestato in un lungo processo davanti all'ordinario diocesano nel 1537, fra il ramo dei Guarino, dimorante al casale Sorbo sottano e dei Guarino detto Ronca, dimoranti al casale soprano (in ADS, B.C., Y/89). Il ramo dei Guarino detto Ronca, a cui appartennero i vari notai ed il primo primicerio ed arciprete Cosma, vollero distinguersi dal ceppo antico aggiungendo al cognome originario l'epiteto "ronca", alludente alla roncola, attrezzo tipico dei contadini e boscaioli e delle terre possedute dalla famiglia. Lo stemma dei Guarino detto Ronca ebbe la figura araldica della roncola immanicata, come testimonia lo stemma del sarcofago del primicerio Cosma, del 1520, nonché il signo tabellonis (sigillo notarile) grafico del notaio Aurelio Guarino detto Ronca. Dopo la seconda metà del XVI secolo il ceppo dei Guarino detto Ronca si denominò semplicemente "ronca". Da questo ceppo si distinse un ulteriore ramo nobiliare detto "Ronchi" che utilizzò un emblema araldico diverso, come ben testimonia lo stemma dipinto sulla tela della Madonna della Purità ai Cappuccini dì Solofra: Donatus Autonius Ronca ob sua devotione hoc opus fieri fecit. L'arma mostra due leoni contro rampanti al naturale su roncola astata. La famiglia cognomizzata "Ronca" e "Ronchi", a cui appartiene il fondatore dell'antica cappella del SS. Crocifisso, poi chiesa di Santa Teresa con annesso monastero, dimorava al casale Sorbo di Solofra (F. Guacci, La Collegiata, un millennio di storia ed archeologia, testo inedito (2002)... , op. cit., doc. ined., 2002).

Tornando alla cappella titolata a Santa Maria del Loreto si tratta della più importante cappella privata del XV secolo; la titolazione a Santa Maria segue l'antichissima consuetudine locale di titolare cappelle o chiese alla Madonna, retaggio dell'originaria contitolazione della chiesa longobarda di sant'Angelo. Durante il XV secolo esistevano le cappelle di Santa Maria in silvis, di Santa Maria de Loreto e Santa Maria de Nive, tutte fondate da privati cittadini "ex devotione", con licenza dell'ordinario diocesano. L'edificazione della cappella di Santa Maria del Loreto condizionò, non poco, l'idea di una nuova cappella privata, titolata al SS. Crocifisso, voluta dalla famiglia "Ronchi" sul finire del XVII secolo. Infatti la nuova chiesetta fu eretta non distante dall'antichissima suddetta cappella dei Guarino. Tuttavia alla cappella del SS. Crocifisso fu annesso un monastero dell'ordine delle Carmelitane scalze, fortemente voluto dal nobile protonotario apostolico, nonché canonico, don Giovan Vittorio Ronchi (il nobile sacerdote ebbe nell'omonimo parente Giovan Vittorio Ronchi, nato nel 1609, dottore in Fisica e Matematica, oltreché esperto in Architettura, un degnissimo riferimento culturale. Si Veda: Pantheon Solofranum, p. 58, nota 3), il cui corpo riposa nella nuova chiesa, meglio conosciuta come di Santa Teresa.

La santa Visita Pastorale del 1557 riporta l'esistenza di questa cappella, così descritta: ... accessit ad quandam cappella sub vocabulo Sancte Marie delorito de casali nuncupato lo Sorbo ... est pulcra figura cum quandam campanella (F. Guacci, La Collegiata..., op. cit. inedita, 2002 in: ADS, V. P., anno 1557, Solofra).

Nel 1661 la medesima chiesa risulta arricchita da importanti reperti scultorei ed affreschi: ... visitaverunt altare maius cui adest statua lignea aurata Beata Marie virginis de Loreto, valde pulcra et devota (F. Guacci, La Collegiata ..., op. cit. inedita, 2002 in: ADS, V. P. anno 1661, Solofra). Nella medesima chiesetta vi era l'omonima Confraternita laicale governata dagli stessi abitanti del casale Sorbo; durante le processioni indossavano un sacco bianco con mozzetta grigia. Nella suddetta chiesa, nel tempo evoluta sul piano architettonico, si osservava nel 1661 l'altare laterale titolato a sant'Antonio da Padova, con statua ligneo-dorata, decentemente ornato. Vi era conservata anche l'antichissima pala ligneo-policroma della titolare, piuttosto rovinata dal tempo (La chiesa di Santa Maria del Loreto fu distrutta dagli eventi bellici del secondo conflitto mondiale; i ruderi sono ancora visibili, ricoperti da folta vegetazione, nei pressi della chiesa di Santa Teresa al Sorbo). Il Di Donato (Di Donato G., Solofra nella tradizione e nella storia, op. II, Montoro, 1914, p. 109) la riporta ancora esistente nel 1914, così descrivendola:..."Chiesa del 1500, divisa in tre ali di forma sferiche e con cupolette ad affresco non considerevole, nella terza delle quali officia il sodalizio di tal titolo, eretto nel 1781. Il quadro di legno della Patrona e la statua della stessa, sono bei lavori del tempo espresso".

Nell'ottobre del 1859 mons. Antonio Salomone, arcivescovo di Salerno, effettua la Visita Pastorale in terra di Solofra (A. D. S., V. P., Solofra 1859, in R/15, ff. 55-56, chiesa di Santa Teresa e monastero al Sorbo di Solofra). Si era nel giorno 10 del mese di ottobre. Il cancelliere arcivescovile trascrisse: ... mane praedictae diei hora italica decimaquinta cum dimidio Excellentissimus ac Reverendissimus Archiepiscopus accessít ad fores Ecclesiae Monialium Sancte Teresiae indutus mozzetta super Rocheto et Galero coopertus, at iantantibus organis ecclesiam introvit et crucifixo deosculato a confissario monialium porrecto aspersit aqua lustrali circumstantes, et triplici ductu thrificatus processit, et oravit prope majus altare, ex quo deinde benedíxit populo. Laudavit Altare majus Beate Marie Virginis de Monte Carmelo dicatum, quo est privilegiatum in perpetuum, et quotidianum pro omnibus. In cornu evangelii extant duo altaria primum sub titulo Immaculatae Conceptionis Beate Marie Virginis quod bene se habet; et alterum quoque rite dispositum, ac Sanctissimo Crucifixo Sacrum, quod asserti juris patronatus ad familiam Landolfi pertinet. Alia duo altaria sunt in cornu epistolae; unum videlicet sub titulo Sancte Annae, et aliud Sancti Francisco de Paula sacrum; utumquae vero bene paratum speciosam ecclesia undique se praetulit, ac proinde omni laude dignam sacristia autem omni ex parte, ab madorem parietum refiu aportet.

(18) - Dice di lui il contemporaneo notaio Vito Antonio Grassi: “Merita particolare encomio Mario Landolfo per la particolare attenzione nell’istesse liti che per difensione della Padria non li fu disaggio l’andar vagando, et assistere all’Eccellentissimo Sig. Vicerè, Regio ministro e Tribunali di Napoli e Regno con spender de proprio più migliaia di docati per la difensione del ben pubblico non solo nel suo sindacato ma dal continuo e patì molti travagli. Passò egli a miglior vita nel giugno del 1716”. (1716, giugno (ASA, Notai, B6 1772, ff 185 e sgg))..

(19) - La Famiglia Donadoni, originaria di Bergamo, ha rappresentato per Melfi per oltre tre secoli un importante punto di riferimento del potere politico ed economico. L’esponente più rappresentativo della casata fu Geronimo Donadoni, vissuto nella prima metà del XVII secolo, il cui rapporto con i Doria era talmente forte da esercitare spesso, in loro assenza, il ruolo e la funzione di vicegovernatore.

(20) - Il Convento inglobò la chiesa di cui ebbe all’inizio il nome. La feudataria Ferrella Orsini nel 1561 ottenne che nel Monastero, governato secondo la regola di S. Chiara, potevano educarsi anche allieve senza l’obbligo della monacazione. Nel 1584 Ostilio Orsini introducendovi ben quattro figlie ne finanziò l’ampliamento. Nella seconda metà del XVIII secolo il monastero possedeva 34 beni immobili di cui 7 botteghe, 6 censi riservativi, diversi crediti in capitali di cui 3100 dall’Universitas e 2560 dagli Orsini, crediti consegnativi, e diversi renditi antichi.

(21) - Per quanto riguarda il Sorbo va ricordato che nei registri nella Parrocchia di San Michele Arcangelo in Solofra conservati presso l'Archivio Storico della Chiesa Collegiata di San Michele Arcangelo risulta che “Il giorno 29 marzo 1688 è morto in Solofra al Casale lo Sorbo Tarquinio Landolfus, all'età di anni 89, dopo aver ricevuto i SS. Sacramenti dal Canonico Don Flaminio Ronca e dal Canonico Don Flavio Landolfo. E' stato sepolto nella Chiesa Collegiata di San Michele Arcangelo nel sepolcro della famiglia de Andolfi. Scrivente Don Marco Antonio Giliberto”.

Negli stessi registri è riportato che “Il giorno 9 giugno 1716 è morto in Solofra al Casale lo Sorbo Mario Landolfo, all'età di anni 74. E' stato sepolto nella Chiesa Collegiata di San Michele arcangelo nel Sepolcro della famiglia Landolfo. Scrivente Canonico Don Felice Ronca”.

Da ciò si ricava che il Casale Sorbo era posseduto dalla famiglia Landolfi fin dal XVII secolo e che la stessa famiglia aveva sepoltura gentilizia da sempre nella Collegiata di San Michele Arcangelo.

Per quanto concerne il fondo Sorbo, il Guacci ricorda che gli Orsini furono principi di Solofra e Sorbo; è probabile che questo ultimo feudo fosse stato dato in subconcessione ad altre famiglie, tra le quali anche la famiglia Landolfi, che come appena ricordato ne possiede l'omonimo fondo ancora alla fine del 1800.

Che del resto il Sorbo costituisse un'area importante è attestato sempre dal Guacci il quale scrive che il “18 marzo del 1528, per la ribellione di Ercole Zurlo passato a parte francese durante la spedizione del Lautrek, il vicerè Filiberto, de Charlon, principe di Orange, concede a Ludovico della Tolfa (Orsini), barone di Serino, per 3.000 ducati la terra di Solofra, con i casali seguenti: “lo casale de Capo Solofra, de Fontane Soprane, de Fontane Sottane, lo Sorvo, li Sortito; la Forna, lo Fiume, li Borricelli, le Casate, le Fracte, lo Tuoro Soprano, lo Tuoro Soptano, lo Vicinanzo””.

Riguardo al fondo Celentano è da dire che esso insiste nell'area dell'omonima antichissima contrada risalente addirittura, a quanto scrive il Rossi, al 228 a. C..

(22) - Nella stessa Chiesa di San Michele, alla base di ciascuno dei due nicchioni laterali dell'altare maggiore ove sono riposte due statue in legno dei Santi Antonio da Padova e Francesco di Assisi risalenti alla fine del secolo XV e donate dalla famiglia Landolfi, è scolpito lo stemma della famiglia Landolfi; analogamente lo stesso stemma è raffigurato più in grande ai lati esterni dei due nicchioni.

Scrive ancora il Guacci: “Le colonne in marmo con i candelabri furono donate dal Municipio nel 1745, mentre la squisita balaustra ricorda il primo arciprete della curia di S. Angelo: Don Flavio Landolfi” (op. cit. pag. 88).

A tal proposito appare opportuno ricordare che la Chiesa di S. Michele è la maggiore Chiesa di Solofra, quella del Santo Patrono. Essa sorge sulla primitiva parrocchia di Sant'Angelo risalente al 1042, fatta da Alferio, abate di S. Massimo per incarico dell'Arcivescovo Amato Trippoaldo.

Dalla bolla di fondazione redatta nel mese di marzo del 1526 da Monsignor Bartholomaeus Capoblancus protonotarius Apostolicus S. Agathae, ac vicarius glis Salernitanae Diocesis, il Guacci riporta quanto segue:

“Herculis Zuroli de Neapoli utilis domini terrae Solofrae, quam Clerici, Universitatis et hominum dicte terrae nostrae, Salernitae Archidiocesis. Letitio continebat, quod salicet eisdem clero et populo fervore dignaremur qui, cooperante gratia, in maximum numerum aucti sunt in Parrochialis enclesia sub vocabulo S. Angeli, eiusdem terrae Solofrae, quam de novo construere, ampliare, augere, magjioremque effigere ...” (op. cit. pag. 41 e 42).

Don Flavio Landolfi fu arciprete ancora prima che fosse fondata la chiesa di S. Michele; egli fu arciprete della antichissima Chiesa di S. Angelo.

(23) - Guacci, op. cit. pag. 100 e ss.

(24) - Il toponimo Fornelli, di derivazione latina, starebbe a significare “Piccoli fuochi” e Zoppi, dal greco “Zopyron” (zoos e pyr) “avanzi di fuochi”. Nel documento del 1187 quando si descrivono i confini del monastero di Sant'Angelo di Montecorice si parla di una via “De li Fornilli”. Il casale dal 1276 fece parte della Baronia del Cilento ma nel 1381 i vassalli di Fornelli riconobbero come loro signore l'abate Antonio. Nel 1489 appartenne a Giovanni Di Cunto e poi a Luigi Pescione e ai Corcione di Napoli, ai Valletta e ai Galtiero. Nel 1696, quando venne messo all'asta, fu aggiudicato a Antonio Anfora di Sorrento e poi da questi venduto ai Giordano. Dal 1718 al 1806 il feudo appartenne alla famiglia Landulfo. Il Palazzo baronale dei Landulfo era già esistente nell’inventario del ‘600. Nominato nel 1635 per la prima volta in atto di rinuncia al feudo da Prospero Landulfo a suo primogenito Ferrante Landulfo. Nell’atto veniva nominato il Casale di Fornelli con palazzo, uomini e vassalli. Notizie desunte da Archivio di Stato (Napoli) Refute – Fascio 212 – Foglio 263/269. Particolari del Palazzo: Torre – Colombaia, Porta di accesso ad un passaggio coperto tra Palazzo Landulfo e Palazzo De Feo. Stemma lapideo in chiave con iscrizione. Metà XVIII sec. Due ingressi con portali in pietra. Palazzi Landolfi esistono tuttora a Caserta in Via Botticelli, a Pisciotta, frazione di Rodio (prov. Di Salerno).

(25) - Quella delle Centenare era una Consorteria molto unita, chiusa e potente, riconosciuta legalmente nel Regno di Napoli fin dal tempo della Regina Giovanna; godeva di molte protezioni e privilegi tra cui, unica nel Regno, la compatibilità con lo status nobiliare dei suoi membri che era invece negata a coloro che, facenti parte di altre Corporazioni, svolgevano attività commerciali ed industriali; cfr. De Maio M., Solofra nel Mezzogiorno…., pag. 181-194.

(26) - Garzilli F., La collegiata di San Michele Arcangelo a Solofra, Napoli, 1989, pag. 207.

(27) - Con un’abile politica di matrimoni la famiglia Landolfi si legò ai Garzilli e ai Grimaldi, dominanti tra Caposolofra-Vicinanzo, poi si legò ai Ronca dominanti al Sorbo e ai Giliberti dominanti alla Forna, oltre che ai Maffei con cui divideva l’artigianato del battiloro (Archivio di Stato di Avellino, Notai B6522 e sgg.). Per tutto il secolo XVI ed anche nel successivo non si individuano rami distinti essendo tutti i nuclei familiari uniti dalle stesse attività e dagli stessi interessi.

Sempre nel XVI secolo la famiglia si trova ben impiantata nell’alto ceto solofrano; infatti un suo membro, Nicola, all’atto della istituzione della Collegiata, fu membro del Collegio dei canonici.

Il predetto canonico Nicola, che fu membro del Collegio dei canonici all’atto dell’istituzione della Collegiata, testimonia, tra l’altro, che la famiglia fu tra quelle che possedettero la chiesa matrice di S. Angelo.

Avere il diritto di sepoltura gentilizia (i Landolfi avevano addirittura una Cappella) nella Collegiata di San Michele Arcangelo non soltanto era segno di appartenenza al ceto privilegiato ma dava anche conto di una precisa e sicura derivazione locale della famiglia, in quanto la bolla di fondazione della Collegiata proibiva ai non solofrani o non oriundi di entrare in quel Collegio. Il tempio era una chiesa "ricettizia" di patronato delle maggiori famiglie del posto, una specie di Pantheon del ceto nobile locale che, nel momento di maggiore splendore della parabola economica solofrana, si trasforma in Collegiata.

Nel XVI secolo vi furono vari elementi di spicco della famiglia. Cortese fu mercante con interessi nel campo della concia della lavorazione della pelle. Chiari sono i suoi rapporti col mercante cagliaritano Sixto che a Napoli dominava il mercato della pelle. Tutto il ceppo partecipò alle vicende della Universitas nel passaggio al demanio quando per esso si impegnò Valerio. Per tutta la seconda metà del secolo la famiglia dominò l’importante ente economico-religioso di Santa Croce - S. Agostino con Sigismondo, Clemente e Scipione e col frate di S. Agostino, Leonardo. Sarà Luciano alla fine del XVI a continuare la politica ecclesiale dotando la chiesa di S. Maria delle Selve, tra il Sorbo e Vicinanzo, per la costruzione di un convento e ad istituire un Monte per i poveri. E’ alla fine del 1500 che il citato Giambattista Landolfi viene ricevuto nell’Ordine di Malta.

S. Maria delle Selve sorge a mezza costa del monte Vellizzano ad est in località isolata ed in bella posizione con dinanzi uno slargo dominante la conca. Era una chiesa dei casali Vicinanzo e Sorbo, definita, all’inizio del XVI secolo, di “antica origine” e posta in una zona con selve di castagni e cerri. Nella seconda metà del XVI secolo fu edificato accanto alla chiesa un fabbricato adibito a Convento su un fondo testamentario della famiglia Landolfi dominante nel casale Vicinanzo e con il concorso della Universitas e del Capitolo della Collegiata. Eretto nel 1582, con bolla dell’Arcivescovo Marsilio Colonna e completato nel 1585, fu sede dei padri Cappuccini fino al 1809 quando fu adibito ad Asilo di Mendicità, e poi, nel 1830, restituito agli stessi.

Occorre precisare che a Solofra c’é stato un vero e proprio patriziato. Anche se era una terra feudale ciò non eliminava la possibilità della esistenza di famiglie autonome. In effetti la feudalità consisteva nel possesso, da parte del feudatario, di alcuni beni (a Solofra erano beni feudali solo due starze) e di vari diritti tra cui l'esigere dei censi su alcuni beni posseduti dalle famiglie solofrane. C'era dunque una ampia piccola proprietà che serviva ai solofrani per sostenere l'attività finanziaria poiché sui fondi si poggiavano i prestiti e molta parte dell'attività commerciale. C'erano poi le chiese che erano in gran parte proprietà delle famiglie (ne avevano il jus di patronato) e che servivano anch'esse per sostenere l'attività mercantile. La Collegiata fu proprio una chiesa di questo tipo. Già prima della sua costruzione esisteva al suo posto una chiesa dedicata al S. Angelo che era "recettizia" cioé di proprietà di questo patriziato che attraverso essa proteggeva i suoi beni e gestiva tutto un sistema finanziario molto importante su cui la feudalità non entrava. La costruzione della Collegiata che portò all'ingrandimento del Collegio di sacerdoti, cioé di famiglie che ne avevano il possesso, servì proprio a sostenere l'evoluzione mercantile della società solofrana. Anzi il fatto che in questo Collegio non potevano entrare forestieri significava proprio che questo patriziato volle creare una cerchia, chiusa all'introduzione di elementi esterni. Non per nulla intorno a questa chiesa si svolse la maggior parte della lotta contro il feudatario, l'Orsini.

(28) - Garzilli Francesco, La Collegiata di San Michele Arcangelo in Solofra, Napoli, Arte Tipografica, 1989, pag. 207.

(29) - Soprattutto l’attività del battiloro non poteva svolgersi senza un simile tipo di aggancio poiché su di essa la capitale godeva il jus prohibendi cioé la privativa per cui non poteva svolgersi in altra località se non come diramazione di quella napoletana.

Importante fu il trasferimento a Napoli non solo per le attività economiche quanto per la conseguente evoluzione sociale che la vita nella grande capitale portava con sé. Si instaurò infatti in questa famiglia una solida tradizione di notariato e di studi legali.

(30) - Bisogna tenere presente che il titolo nobiliare non dipendeva dall'attività svolta dalla famiglia. I Maffei, il cui titolo nobiliare é di origine ecclesiale (avuto da Roma) erano mercanti e artigiani di battiloro anche se possedevano beni e svolgevano le attività liberali (questo titolo ora é in possesso di un solo ramo della famiglia).

Dal regesto dei primi rogiti notarili esistenti su Solofra e databili al XVI secolo, si possono desumere notizie più precise sulla famiglia che ebbe come sede iniziale il casale di Vicinanzo tra Caposolofra e il Sorbo.

Gli atti notarili del XVI secolo mostrano infatti la famiglia dominante nel casale Vicinanzo dove era avvenuto il primitivo impianto con Pietro e col fratello Andrea e dove furono compatroni della locale Chiesa della SS. Annunziata col possesso di un jus nella Cappella del Crocifisso.

Dal casale Vicinanzo, lungo tutto il secolo XVI, la famiglia si installò nei casali confinanti di Caposolofra, del Sorbo e della Forna.

Il ramo della Forna faceva capo a Catanio Landolfi e fu quello cui appartenne nell'Ottocento Luigi Landolfi e nel XVII secolo il canonico Nunziante; tale ramo ebbe giurisdizione sulla Chiesa di S. Maria del Popolo.

La chiesa di Santa Maria del Popolo sorgeva nella piazzetta omonima lungo via Forna e fu una ricca chiesa di un ricco casale dove dominavano le famiglie Giliberti e poi Landolfi da cui fu dotata. Fu infatti sede di un Beneficio dei Landolfi e del Monte dei Maritaggi istituito da Gregorio Giliberti nel 1553. In essa c’era la cappella di Santa Maria di Porto Salvo. Fu abbattuta in seguito alla ristrutturazione della zona negli anni sessanta del Novecento.

Il ramo del Sorbo fu quello a cui appartenne, tra la fine del seicento e l’inizio del Settecento, Mario Landolfi che istituì nella Collegiata i Mansionari.

La famiglia Landolfi era anche titolare di un Monte che portava il suo nome.

I Monti erano istituzioni create dalle famiglie, una specie di banca familiare, per le necessità finanziarie quali la dotazione delle femmine. Poiché il patrimonio familiare non doveva essere smembrato si creava questa istituzione alla quale si trasferivano alcuni beni che venivano gestiti dalla famiglia e che permettevano di dotare le donne, anche quelle che entravano in convento. Soprattutto però i monti finanziavano le attività economiche.

(31) - Garzilli Francesco, La Collegiata di San Michele Arcangelo in Solofra, Napoli, Arte Tipografica, 1989, pagg. 199, 201 e 204.


Continua sul sesto volume in preparazione di "LA STORIA DIETRO GLI SCUDI"

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