Note:
(1) - Bonazzi F., Elenco dei
Cavalieri del S. M. Ordine di San Giovanni di
Gerusalemme, Forni Editore, Napoli, 1897-1907, parte
prima, pag. 178.
(2) - Cfr. D’Avenia Fabrizio,
Nobiltà allo specchio, Ordine di Malta e mobilità
sociale nella Sicilia moderna, pag. 76/77 in nota 6. Non
e’ dato sapere se Giambattista Landolfi svolgesse
attività di carattere mercantile, come la sua famiglia,
ma in ogni caso egli fu pienamente ricevuto nell’Ordine.
Peraltro va fatto osservare che, alla metà del 1300, la
famiglia Landolfi faceva parte della Consorteria delle
centenare, riconosciuta legalmente nel Regno di Napoli
che godeva di molte protezioni e privilegi tra cui,
unica nel Regno, la compatibilità con lo "status"
nobiliare dei suoi membri che era invece negata a coloro
che, facenti parte di altre Corporazioni, svolgevano
attività commerciali ed industriali; cfr. De Maio M.,
Solofra nel Mezzogiorno…., pag. 181-194
(3) - Napolitano T., Del Compendio
dell’historia del Regno di Napoli, Parte terza, pag.
220, Venezia, 1613; Beltrano O., Breve
Descrittione di Terra di Lavoro Prima Provincia del
Regno di Napoli….., Napoli, 1644, pag. 101.
(4) - Almagiore T., Raccolta di
varie notizie historiche …, pag. 42, Napoli, 1675;
Candida Gonzaga, Memorie delle Famiglie nobili ….,
vol. VI, pag. 16.
(5) - Almagiore T., Raccolta di
varie notizie historiche …, pag. 47, Napoli, 1675;
Boverio Z., Annali dell’Ordine dei frati minori,
Tomo II, parte II, pag. 593, Venezia, 1645.
(6) - Napolitano T., Del Compendio
dell’historia del Regno di Napoli, Parte terza, pag.
220, Venezia, 1613; Almagiore T., Raccolta di
varie notizie historiche …, pag. 42, Napoli, 1675;
Giustiniani L. , Dizionario geografico ragionato del
Regno di Napoli, Tomo IV, pag. 349, Napoli, 1802;
Lobstein F., Settecento calabrese ed altri scritti,
Ed. Fausto Fiorentino, pag. 351, Napoli.
(7) - Nel 1524 Ferrante e Prospero
Landolfi, rispettivamente padre e figlio, vendettero
Prignano con i Casali di Melito e Pugliesi, ad Antonio
Cardone; poco meno di un secolo dopo la famiglia
Landolfi, nel 1610, lo riacquistò dai Matarazzo che lo
avevano ricevuto per successione da Cornelia de Pasca.
Giustiniani L. , Dizionario geografico ragionato
del Regno di Napoli, Tomo VII, pag. 319, Napoli, 1804.
(8) - Le istituzioni storiche del
territorio lombardo nei secoli XIV-XIX, Pavia, Regione
Lombardia, Milano, giugno 2000, pag. 25.
(9) - De Maio M., “Alle
radici di Solofra“, Avellino, 1997; “Solofra
nel Mezzogiorno angioino-aragonese“,
Solofra, 2000. Ma si veda soprattutto il sito
“www.solofrastorica.it”.
(10) - Della Marra F., “Discorsi
delle famiglie nobili del Regno di Napoli”, Napoli,
p.135. Giacomo Tricarico fu feudatario di Solofra
all’inizio della sua autonomia territoriale ed
amministrativa.
(11) - Tale notizia é riportata da De
Maio Mimma, Solofra nel Mezzogiorno
angioino-aragonese, editore il Campanile – Notiziario di
Solofra, anno 2000, pag. 23, nota 45. L’Autrice ritiene
che tale documento dimostri la consistenza della società
locale ed anche il suo legame con la realtà economica
del primo periodo angioino.
(12) - Si riportano le note pubblicate
dal quotidiano “Roma” dell'11 febbraio 1938 e dal
quotidiano “Il Mattino” del 1 marzo 1938.
Scrive il primo:
“Si è spento qui dopo breve malattia S.
E. il cav. di Gr. Croce Michele Landolfi, Procuratore
Generale di Cassazione a riposo.
Nato a Napoli da una famiglia di grandi
tradizioni entrò giovanissimo nella Magistratura.
Per oltre cinquant'anni esercitò l'alto
ministerio con serenità e indipendenza. A Napoli fu
Consigliere della Corte di Appello e Presidente Capo del
Tribunale. Nel 1919 fu promosso alla Suprema carica di
Procuratore Generale della Corte di Cassazione di
Palermo. Era insignito dell'alta onorificenza di
Cavaliere di Gran Croce, decorato del Gran Cordone dei
Santi Maurizio e Lazzaro.
Magistrato di vasta cultura, di fecondo
ingegno, fu altamente stimato per rettitudine, integrità
di carattere, bontà di animo, signorilità, marito e
padre esemplare. Con Lui scompare una delle più eminenti
figure della Magistratura italiana.”.
Riporta “Il Mattino”:
“Si è spento a Palermo dopo breve
malattia S. E. il Cav. di Gran Croce Michele Landolfi
Procuratore Generale di Cassazione a riposo.
Nato a Napoli da una famiglia di grandi
tradizioni entrò giovanissimo nella Magistratura
percorrendo rapidamente e brillantemente tutti i gradi
della carriera. Per oltre cinquant'anni esercitò l'alto
ministerio della giustizia con serena coscienza ed
indipendenza, lasciando dovunque tracce indelebili della
sua opera di valoroso magistrato di vasta coltura, di
profondo acume giuridico, di fecondo ingegno fu
sinceramente stimato per rettitudine, integrità di
carattere e bontà di animo. Ed accanto a queste sue
impareggiabili qualità associava la nota fine ed
accogliente della signorilità del gentiluomo di razza”.
(13) - Qui di seguito si riportano le
date in cui Michele Landolfi fu investito delle citate
onorificenze.
Egli, allora Presidente del Tribunale
civile e penale di Cassino, con decreto di Sua Maestà
Vittorio Emanuele III del 17 gennaio 1895, viene
nominato Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia; la
successiva iscrizione nel ruolo dei Cavalieri è al
numero 51424.
In data 16 novembre 1908, quando è già
Consigliere della Corte di Cassazione di Palermo, egli
viene nominato Ufficiale dell'Ordine della Corona
d'Italia con decreto dato a San Rossore; le regie
disposizioni vengono eseguite con l'iscrizione nel ruolo
degli Ufficiali al numero 4793 (serie 2).
Con regio decreto del 14 novembre 1910,
quando ha la qualifica di Primo Presidente della Corte
di Appello di Messina, egli viene nominato Commendatore
dell'Ordine della Corona d'Italia e viene iscritto
nell'apposito ruolo al numero 3717 (serie 2).
Il 21 gennaio 1917 è insignito del grado
di Grand'Ufficiale dell'Ordine ed è iscritto
successivamente al numero 1541 del ruolo (2 serie).
Per quanto attiene all'Ordine dei Santi
Maurizio e Lazzaro, egli viene nominato Cavaliere con
regio decreto 6 giugno 1901. A quella data è Presidente
del Tribunale Civile e Penale di Napoli. Viene
successivamente iscritto nel ruolo nazionale al numero
482 (2 serie).
Nel 1909 viene nominato Ufficiale
dell'Ordine Mauriziano ed iscritto nel ruolo al numero
1518 (2 serie).
Quattro anni dopo, precisamente il 5
gennaio 1913 è Commendatore; viene iscritto al ruolo al
numero 1361 (2 serie).
Il 16 gennaio 1919 è decorato del grado
di Grand'Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e
Lazzaro ed iscritto al numero 622 (seconda serie)
dell'apposito ruolo.
(14) - La famiglia de Monaco, come
si
vedrà, è originaria di Cassino.
(15) - Certificato atto di nascita del
Comune di Napoli.
(16) - Don Mario aveva raggiunto, come
del resto il padre, il Magnifico dottor don Felice, i
più alti gradi della Toga, pertanto ai sensi del già
citato Real dispaccio del 1756, la famiglia Landolfi,
indipendentemente dal fatto di avere posseduto feudi
nobili, era di diritto ascrivibile alla nobiltà generosa
del Regno.
(17) - La Chiesa di Santa Teresa fu
fondata non lontano dal luogo in cui dalla stessa
famiglia Ronca era stata eretta nel 1454 la cappella
titolata a Santa Maria del Loreto; il luogo prescelto
ricadeva in un giardino del nobile Pietro de Guarino,
parente del fondatore Stefano de Guarino. I Guarino del
ceppo originario ebbero come stemma nobiliare la
seguente arma gentilizia: d'azzurro alla banda di oro
accompagnata nel capo da un rastrello a cinque pendenti
di rosso (da F. Bonazzi, Famiglie nobili e titolate del
napolitano, Napoli, 1902, pp.130/31). Tuttavia i Guarino
di Solofra adottarono uno stemma familiare diverso
utilizzando il simbolo araldico del leone rampante
attestato in un lungo processo davanti all'ordinario
diocesano nel 1537, fra il ramo dei Guarino, dimorante
al casale Sorbo sottano e dei Guarino detto Ronca,
dimoranti al casale soprano (in ADS, B.C., Y/89). Il
ramo dei Guarino detto Ronca, a cui appartennero i vari
notai ed il primo primicerio ed arciprete Cosma, vollero
distinguersi dal ceppo antico aggiungendo al cognome
originario l'epiteto "ronca", alludente alla roncola,
attrezzo tipico dei contadini e boscaioli e delle terre
possedute dalla famiglia. Lo stemma dei Guarino detto
Ronca ebbe la figura araldica della roncola immanicata,
come testimonia lo stemma del sarcofago del primicerio
Cosma, del 1520, nonché il signo tabellonis (sigillo
notarile) grafico del notaio Aurelio Guarino detto
Ronca. Dopo la seconda metà del XVI secolo il ceppo dei
Guarino detto Ronca si denominò semplicemente "ronca".
Da questo ceppo si distinse un ulteriore ramo nobiliare
detto "Ronchi" che utilizzò un emblema araldico diverso,
come ben testimonia lo stemma dipinto sulla tela della
Madonna della Purità ai Cappuccini dì Solofra: Donatus
Autonius Ronca ob sua devotione hoc opus fieri fecit.
L'arma mostra due leoni contro rampanti al naturale su
roncola astata. La famiglia cognomizzata "Ronca" e
"Ronchi", a cui appartiene il fondatore dell'antica
cappella del SS. Crocifisso, poi chiesa di Santa Teresa
con annesso monastero, dimorava al casale Sorbo di
Solofra (F. Guacci, La Collegiata, un millennio di
storia ed archeologia, testo inedito (2002)... , op.
cit., doc. ined., 2002).
Tornando alla cappella titolata a Santa
Maria del Loreto si tratta della più importante cappella
privata del XV secolo; la titolazione a Santa Maria
segue l'antichissima consuetudine locale di titolare
cappelle o chiese alla Madonna, retaggio dell'originaria
contitolazione della chiesa longobarda di sant'Angelo.
Durante il XV secolo esistevano le cappelle di Santa
Maria in silvis, di Santa Maria de Loreto e Santa Maria
de Nive, tutte fondate da privati cittadini "ex
devotione", con licenza dell'ordinario diocesano.
L'edificazione della cappella di Santa Maria del Loreto
condizionò, non poco, l'idea di una nuova cappella
privata, titolata al SS. Crocifisso, voluta dalla
famiglia "Ronchi" sul finire del XVII secolo. Infatti la
nuova chiesetta fu eretta non distante dall'antichissima
suddetta cappella dei Guarino. Tuttavia alla cappella
del SS. Crocifisso fu annesso un monastero dell'ordine
delle Carmelitane scalze, fortemente voluto dal nobile
protonotario apostolico, nonché canonico, don Giovan
Vittorio Ronchi (il nobile sacerdote ebbe nell'omonimo
parente Giovan Vittorio Ronchi, nato nel 1609, dottore
in Fisica e Matematica, oltreché esperto in
Architettura, un degnissimo riferimento culturale. Si
Veda: Pantheon Solofranum, p. 58, nota 3), il cui corpo
riposa nella nuova chiesa, meglio conosciuta come di
Santa Teresa.
La santa Visita Pastorale del 1557
riporta l'esistenza di questa cappella, così descritta:
... accessit ad quandam cappella sub vocabulo Sancte
Marie delorito de casali nuncupato lo Sorbo ... est
pulcra figura cum quandam campanella (F. Guacci, La
Collegiata..., op. cit. inedita, 2002 in: ADS, V. P.,
anno 1557, Solofra).
Nel 1661 la medesima chiesa risulta
arricchita da importanti reperti scultorei ed affreschi:
... visitaverunt altare maius cui adest statua lignea
aurata Beata Marie virginis de Loreto, valde pulcra et
devota (F. Guacci, La Collegiata ..., op. cit. inedita,
2002 in: ADS, V. P. anno 1661, Solofra). Nella medesima
chiesetta vi era l'omonima Confraternita laicale
governata dagli stessi abitanti del casale Sorbo;
durante le processioni indossavano un sacco bianco con
mozzetta grigia. Nella suddetta chiesa, nel tempo
evoluta sul piano architettonico, si osservava nel 1661
l'altare laterale titolato a sant'Antonio da Padova, con
statua ligneo-dorata, decentemente ornato. Vi era
conservata anche l'antichissima pala ligneo-policroma
della titolare, piuttosto rovinata dal tempo (La chiesa
di Santa Maria del Loreto fu distrutta dagli eventi
bellici del secondo conflitto mondiale; i ruderi sono
ancora visibili, ricoperti da folta vegetazione, nei
pressi della chiesa di Santa Teresa al Sorbo). Il Di
Donato (Di Donato G., Solofra nella tradizione e nella
storia, op. II, Montoro, 1914, p. 109) la riporta ancora
esistente nel 1914, così descrivendola:..."Chiesa del
1500, divisa in tre ali di forma sferiche e con
cupolette ad affresco non considerevole, nella terza
delle quali officia il sodalizio di tal titolo, eretto
nel 1781. Il quadro di legno della Patrona e la statua
della stessa, sono bei lavori del tempo espresso".
Nell'ottobre del 1859 mons. Antonio
Salomone, arcivescovo di Salerno, effettua la Visita
Pastorale in terra di Solofra (A. D. S., V. P., Solofra
1859, in R/15, ff. 55-56, chiesa di Santa Teresa e
monastero al Sorbo di Solofra). Si era nel giorno 10 del
mese di ottobre. Il cancelliere arcivescovile
trascrisse: ... mane praedictae diei hora italica
decimaquinta cum dimidio Excellentissimus ac
Reverendissimus Archiepiscopus accessít ad fores
Ecclesiae Monialium Sancte Teresiae indutus mozzetta
super Rocheto et Galero coopertus, at iantantibus
organis ecclesiam introvit et crucifixo deosculato a
confissario monialium porrecto aspersit aqua lustrali
circumstantes, et triplici ductu thrificatus processit,
et oravit prope majus altare, ex quo deinde benedíxit
populo. Laudavit Altare majus Beate Marie Virginis de
Monte Carmelo dicatum, quo est privilegiatum in
perpetuum, et quotidianum pro omnibus. In cornu
evangelii extant duo altaria primum sub titulo
Immaculatae Conceptionis Beate Marie Virginis quod bene
se habet; et alterum quoque rite dispositum, ac
Sanctissimo Crucifixo Sacrum, quod asserti juris
patronatus ad familiam Landolfi pertinet.
Alia duo altaria sunt in cornu epistolae; unum videlicet
sub titulo Sancte Annae, et aliud Sancti Francisco de
Paula sacrum; utumquae vero bene paratum speciosam
ecclesia undique se praetulit, ac proinde omni laude
dignam sacristia autem omni ex parte, ab madorem
parietum refiu aportet.
(18) - Dice di lui il contemporaneo
notaio Vito Antonio Grassi: “Merita particolare encomio
Mario Landolfo per la particolare attenzione
nell’istesse liti che per difensione della Padria non li
fu disaggio l’andar vagando, et assistere
all’Eccellentissimo Sig. Vicerè, Regio ministro e
Tribunali di Napoli e Regno con spender de proprio più
migliaia di docati per la difensione del ben pubblico
non solo nel suo sindacato ma dal continuo e patì molti
travagli. Passò egli a miglior vita nel giugno del
1716”. (1716, giugno (ASA, Notai, B6 1772, ff 185 e
sgg))..
(19) - La Famiglia Donadoni, originaria
di Bergamo, ha rappresentato per Melfi per oltre tre
secoli un importante punto di riferimento del potere
politico ed economico. L’esponente più rappresentativo
della casata fu Geronimo Donadoni, vissuto nella prima
metà del XVII secolo, il cui rapporto con i Doria era
talmente forte da esercitare spesso, in loro assenza, il
ruolo e la funzione di vicegovernatore.
(20) - Il Convento inglobò la chiesa di
cui ebbe all’inizio il nome. La feudataria Ferrella
Orsini nel 1561 ottenne che nel Monastero, governato
secondo la regola di S. Chiara, potevano educarsi anche
allieve senza l’obbligo della monacazione. Nel 1584
Ostilio Orsini introducendovi ben quattro figlie ne
finanziò l’ampliamento. Nella seconda metà del XVIII
secolo il monastero possedeva 34 beni immobili di cui 7
botteghe, 6 censi riservativi, diversi crediti in
capitali di cui 3100 dall’Universitas e 2560 dagli
Orsini, crediti consegnativi, e diversi renditi antichi.
(21) - Per quanto riguarda il Sorbo va
ricordato che nei registri nella Parrocchia di San
Michele Arcangelo in Solofra conservati presso
l'Archivio Storico della Chiesa Collegiata di San
Michele Arcangelo risulta che “Il giorno 29 marzo 1688 è
morto in Solofra al Casale lo Sorbo Tarquinio Landolfus,
all'età di anni 89, dopo aver ricevuto i SS. Sacramenti
dal Canonico Don Flaminio Ronca e dal Canonico Don
Flavio Landolfo. E' stato sepolto nella Chiesa
Collegiata di San Michele Arcangelo nel sepolcro della
famiglia de Andolfi. Scrivente Don Marco Antonio
Giliberto”.
Negli stessi registri è riportato che “Il
giorno 9 giugno 1716 è morto in Solofra al Casale lo
Sorbo Mario Landolfo, all'età di anni 74. E' stato
sepolto nella Chiesa Collegiata di San Michele arcangelo
nel Sepolcro della famiglia Landolfo. Scrivente Canonico
Don Felice Ronca”.
Da ciò si ricava che il Casale Sorbo era
posseduto dalla famiglia Landolfi fin dal XVII secolo e
che la stessa famiglia aveva sepoltura gentilizia da
sempre nella Collegiata di San Michele Arcangelo.
Per quanto concerne il fondo Sorbo, il
Guacci ricorda che gli Orsini furono principi di Solofra
e Sorbo; è probabile che questo ultimo feudo fosse stato
dato in subconcessione ad altre famiglie, tra le quali
anche la famiglia Landolfi, che come appena ricordato ne
possiede l'omonimo fondo ancora alla fine del 1800.
Che del resto il Sorbo costituisse
un'area importante è attestato sempre dal Guacci il
quale scrive che il “18 marzo del 1528, per la
ribellione di Ercole Zurlo passato a parte francese
durante la spedizione del Lautrek, il vicerè Filiberto,
de Charlon, principe di Orange, concede a Ludovico della
Tolfa (Orsini), barone di Serino, per 3.000 ducati la
terra di Solofra, con i casali seguenti: “lo casale de
Capo Solofra, de Fontane Soprane, de Fontane Sottane, lo
Sorvo, li Sortito; la Forna, lo Fiume, li Borricelli, le
Casate, le Fracte, lo Tuoro Soprano, lo Tuoro Soptano,
lo Vicinanzo””.
Riguardo al fondo Celentano è da dire che
esso insiste nell'area dell'omonima antichissima
contrada risalente addirittura, a quanto scrive il
Rossi, al 228 a. C..
(22) - Nella stessa Chiesa di San
Michele, alla base di ciascuno dei due nicchioni
laterali dell'altare maggiore ove sono riposte due
statue in legno dei Santi Antonio da Padova e Francesco
di Assisi risalenti alla fine del secolo XV e donate
dalla famiglia Landolfi, è scolpito lo stemma della
famiglia Landolfi; analogamente lo stesso stemma è
raffigurato più in grande ai lati esterni dei due
nicchioni.
Scrive ancora il Guacci: “Le colonne in
marmo con i candelabri furono donate dal Municipio nel
1745, mentre la squisita balaustra ricorda il primo
arciprete della curia di S. Angelo: Don Flavio Landolfi”
(op. cit. pag. 88).
A tal proposito appare opportuno
ricordare che la Chiesa di S. Michele è la maggiore
Chiesa di Solofra, quella del Santo Patrono. Essa sorge
sulla primitiva parrocchia di Sant'Angelo risalente al
1042, fatta da Alferio, abate di S. Massimo per incarico
dell'Arcivescovo Amato Trippoaldo.
Dalla bolla di fondazione redatta nel
mese di marzo del 1526 da Monsignor Bartholomaeus
Capoblancus protonotarius Apostolicus S. Agathae, ac
vicarius glis Salernitanae Diocesis, il Guacci riporta
quanto segue:
“Herculis Zuroli de Neapoli utilis domini
terrae Solofrae, quam Clerici, Universitatis et hominum
dicte terrae nostrae, Salernitae Archidiocesis. Letitio
continebat, quod salicet eisdem clero et populo fervore
dignaremur qui, cooperante gratia, in maximum numerum
aucti sunt in Parrochialis enclesia sub vocabulo S.
Angeli, eiusdem terrae Solofrae, quam de novo
construere, ampliare, augere, magjioremque effigere ...”
(op. cit. pag. 41 e 42).
Don Flavio Landolfi fu arciprete ancora
prima che fosse fondata la chiesa di S. Michele; egli fu
arciprete della antichissima Chiesa di S. Angelo.
(23) - Guacci, op. cit. pag. 100 e ss.
(24) - Il toponimo Fornelli, di
derivazione latina, starebbe a significare “Piccoli
fuochi” e Zoppi, dal greco “Zopyron” (zoos e pyr)
“avanzi di fuochi”. Nel documento del 1187 quando si
descrivono i confini del monastero di Sant'Angelo di
Montecorice si parla di una via “De li Fornilli”. Il
casale dal 1276 fece parte della Baronia del Cilento ma
nel 1381 i vassalli di Fornelli riconobbero come loro
signore l'abate Antonio. Nel 1489 appartenne a Giovanni
Di Cunto e poi a Luigi Pescione e ai Corcione di Napoli,
ai Valletta e ai Galtiero. Nel 1696, quando venne messo
all'asta, fu aggiudicato a Antonio Anfora di Sorrento e
poi da questi venduto ai Giordano. Dal 1718 al 1806 il
feudo appartenne alla famiglia Landulfo. Il Palazzo
baronale dei Landulfo era già esistente nell’inventario
del ‘600. Nominato nel 1635 per la prima volta in atto
di rinuncia al feudo da Prospero Landulfo a suo
primogenito Ferrante Landulfo. Nell’atto veniva nominato
il Casale di Fornelli con palazzo, uomini e vassalli.
Notizie desunte da Archivio di Stato (Napoli) Refute –
Fascio 212 – Foglio 263/269. Particolari del Palazzo:
Torre – Colombaia, Porta di accesso ad un passaggio
coperto tra Palazzo Landulfo e Palazzo De Feo. Stemma
lapideo in chiave con iscrizione. Metà XVIII sec. Due
ingressi con portali in pietra. Palazzi Landolfi
esistono tuttora a Caserta in Via Botticelli, a
Pisciotta, frazione di Rodio (prov. Di Salerno).
(25) - Quella delle Centenare era una
Consorteria molto unita, chiusa e potente, riconosciuta
legalmente nel Regno di Napoli fin dal tempo della
Regina Giovanna; godeva di molte protezioni e privilegi
tra cui, unica nel Regno, la compatibilità con lo status
nobiliare dei suoi membri che era invece negata a coloro
che, facenti parte di altre Corporazioni, svolgevano
attività commerciali ed industriali; cfr. De Maio M.,
Solofra nel Mezzogiorno…., pag. 181-194.
(26) - Garzilli F., La collegiata
di San Michele Arcangelo a Solofra, Napoli, 1989, pag.
207.
(27) - Con un’abile politica di matrimoni
la famiglia Landolfi si legò ai Garzilli e ai Grimaldi,
dominanti tra Caposolofra-Vicinanzo, poi si legò ai
Ronca dominanti al Sorbo e ai Giliberti dominanti alla
Forna, oltre che ai Maffei con cui divideva
l’artigianato del battiloro (Archivio di Stato di
Avellino, Notai B6522 e sgg.). Per tutto il secolo XVI
ed anche nel successivo non si individuano rami distinti
essendo tutti i nuclei familiari uniti dalle stesse
attività e dagli stessi interessi.
Sempre nel XVI secolo la famiglia si
trova ben impiantata nell’alto ceto solofrano; infatti
un suo membro, Nicola, all’atto della istituzione della
Collegiata, fu membro del Collegio dei canonici.
Il predetto canonico Nicola, che fu
membro del Collegio dei canonici all’atto
dell’istituzione della Collegiata, testimonia, tra
l’altro, che la famiglia fu tra quelle che possedettero
la chiesa matrice di S. Angelo.
Avere il diritto di sepoltura gentilizia
(i Landolfi avevano addirittura una Cappella) nella
Collegiata di San Michele Arcangelo non soltanto era
segno di appartenenza al ceto privilegiato ma dava anche
conto di una precisa e sicura derivazione locale della
famiglia, in quanto la bolla di fondazione della
Collegiata proibiva ai non solofrani o non oriundi di
entrare in quel Collegio. Il tempio era una chiesa
"ricettizia" di patronato delle maggiori famiglie del
posto, una specie di Pantheon del ceto nobile locale
che, nel momento di maggiore splendore della parabola
economica solofrana, si trasforma in Collegiata.
Nel XVI secolo vi furono vari elementi di
spicco della famiglia. Cortese fu mercante con interessi
nel campo della concia della lavorazione della pelle.
Chiari sono i suoi rapporti col mercante cagliaritano
Sixto che a Napoli dominava il mercato della pelle.
Tutto il ceppo partecipò alle vicende della Universitas
nel passaggio al demanio quando per esso si impegnò
Valerio. Per tutta la seconda metà del secolo la
famiglia dominò l’importante ente economico-religioso di
Santa Croce - S. Agostino con Sigismondo, Clemente e
Scipione e col frate di S. Agostino, Leonardo. Sarà
Luciano alla fine del XVI a continuare la politica
ecclesiale dotando la chiesa di S. Maria delle Selve,
tra il Sorbo e Vicinanzo, per la costruzione di un
convento e ad istituire un Monte per i poveri. E’ alla
fine del 1500 che il citato Giambattista Landolfi viene
ricevuto nell’Ordine di Malta.
S. Maria delle Selve sorge a mezza costa
del monte Vellizzano ad est in località isolata ed in
bella posizione con dinanzi uno slargo dominante la
conca. Era una chiesa dei casali Vicinanzo e Sorbo,
definita, all’inizio del XVI secolo, di “antica origine”
e posta in una zona con selve di castagni e cerri. Nella
seconda metà del XVI secolo fu edificato accanto alla
chiesa un fabbricato adibito a Convento su un fondo
testamentario della famiglia Landolfi dominante nel
casale Vicinanzo e con il concorso della Universitas e
del Capitolo della Collegiata. Eretto nel 1582, con
bolla dell’Arcivescovo Marsilio Colonna e completato nel
1585, fu sede dei padri Cappuccini fino al 1809 quando
fu adibito ad Asilo di Mendicità, e poi, nel 1830,
restituito agli stessi.
Occorre precisare che a Solofra c’é stato
un vero e proprio patriziato. Anche se era una terra
feudale ciò non eliminava la possibilità della esistenza
di famiglie autonome. In effetti la feudalità consisteva
nel possesso, da parte del feudatario, di alcuni beni (a
Solofra erano beni feudali solo due starze) e di vari
diritti tra cui l'esigere dei censi su alcuni beni
posseduti dalle famiglie solofrane. C'era dunque una
ampia piccola proprietà che serviva ai solofrani per
sostenere l'attività finanziaria poiché sui fondi si
poggiavano i prestiti e molta parte dell'attività
commerciale. C'erano poi le chiese che erano in gran
parte proprietà delle famiglie (ne avevano il jus di
patronato) e che servivano anch'esse per sostenere
l'attività mercantile. La Collegiata fu proprio una
chiesa di questo tipo. Già prima della sua costruzione
esisteva al suo posto una chiesa dedicata al S. Angelo
che era "recettizia" cioé di proprietà di questo
patriziato che attraverso essa proteggeva i suoi beni e
gestiva tutto un sistema finanziario molto importante su
cui la feudalità non entrava. La costruzione della
Collegiata che portò all'ingrandimento del Collegio di
sacerdoti, cioé di famiglie che ne avevano il possesso,
servì proprio a sostenere l'evoluzione mercantile della
società solofrana. Anzi il fatto che in questo Collegio
non potevano entrare forestieri significava proprio che
questo patriziato volle creare una cerchia, chiusa
all'introduzione di elementi esterni. Non per nulla
intorno a questa chiesa si svolse la maggior parte della
lotta contro il feudatario, l'Orsini.
(28) - Garzilli Francesco, La Collegiata
di San Michele Arcangelo in Solofra, Napoli, Arte
Tipografica, 1989, pag. 207.
(29) - Soprattutto l’attività del
battiloro non
poteva svolgersi senza un simile tipo di aggancio poiché
su di essa la capitale godeva il jus prohibendi cioé la
privativa per cui non poteva svolgersi in altra località
se non come diramazione di quella napoletana.
Importante fu il trasferimento a Napoli
non solo per le attività economiche quanto per la
conseguente evoluzione sociale che la vita nella grande
capitale portava con sé. Si instaurò infatti in questa
famiglia una solida tradizione di notariato e di studi
legali.
(30) - Bisogna tenere presente che il
titolo nobiliare non dipendeva dall'attività svolta
dalla famiglia. I Maffei, il cui titolo nobiliare é di
origine ecclesiale (avuto da Roma) erano mercanti e
artigiani di battiloro anche se possedevano beni e
svolgevano le attività liberali (questo titolo ora é in
possesso di un solo ramo della famiglia).
Dal regesto dei primi rogiti notarili
esistenti su Solofra e databili al XVI secolo, si
possono desumere notizie più precise sulla famiglia che
ebbe come sede iniziale il casale di Vicinanzo tra
Caposolofra e il Sorbo.
Gli atti notarili del XVI secolo mostrano
infatti la famiglia dominante nel casale Vicinanzo dove
era avvenuto il primitivo impianto con Pietro e col
fratello Andrea e dove furono compatroni della locale
Chiesa della SS. Annunziata col possesso di un jus nella
Cappella del Crocifisso.
Dal casale Vicinanzo, lungo tutto il
secolo XVI, la famiglia si installò nei casali
confinanti di Caposolofra, del Sorbo e della Forna.
Il ramo della Forna faceva capo a Catanio
Landolfi e fu quello cui appartenne nell'Ottocento Luigi
Landolfi e nel XVII secolo il canonico Nunziante; tale
ramo ebbe giurisdizione sulla Chiesa di S. Maria del
Popolo.
La chiesa di Santa Maria del Popolo
sorgeva nella piazzetta omonima lungo via Forna e fu una
ricca chiesa di un ricco casale dove dominavano le
famiglie Giliberti e poi Landolfi da cui fu dotata. Fu
infatti sede di un Beneficio dei Landolfi e del Monte
dei Maritaggi istituito da Gregorio Giliberti nel 1553.
In essa c’era la cappella di Santa Maria di Porto Salvo.
Fu abbattuta in seguito alla ristrutturazione della zona
negli anni sessanta del Novecento.
Il ramo del Sorbo fu quello a cui
appartenne, tra la fine del seicento e l’inizio del
Settecento, Mario Landolfi che istituì nella Collegiata
i Mansionari.
La famiglia Landolfi era anche titolare
di un Monte che portava il suo nome.
I Monti erano istituzioni create dalle
famiglie, una specie di banca familiare, per le
necessità finanziarie quali la dotazione delle femmine.
Poiché il patrimonio familiare non doveva essere
smembrato si creava questa istituzione alla quale si
trasferivano alcuni beni che venivano gestiti dalla
famiglia e che permettevano di dotare le donne, anche
quelle che entravano in convento. Soprattutto però i
monti finanziavano le attività economiche.
(31) - Garzilli Francesco, La Collegiata
di San Michele Arcangelo in Solofra, Napoli, Arte
Tipografica, 1989, pagg. 199, 201 e 204.
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