Ovvero delle Famiglie
Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili
di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti
alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate
chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che
abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia.
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Famiglia de Mauro |
A cura del dr. Giuseppe Grimaldi |
Arma:
d'azzurro, a due leoni d'oro affrontati ad un calice,
accompagnato da un’aquila nel capo, il tutto d’oro(1).
Altra: d’azzurro, ai due leoni affrontati e rivoltanti
sostenenti una coppa, il tutto d’oro, nella quale si abbevera
un’aquila di nero, posta in palo. |
Dimora: Mangone,
Cosenza, San Demetrio Corone, Napoli. |
Cosenza, stemma famiglia de Mauro |
La famiglia
Mauro o de Mauro, originaria di Mangone (oggi comune
omonimo in provincia di Cosenza) comparve per la prima
volta nel Sedile di
Cosenza agli inizi del Seicento nel gruppo
degli Onorati. Maurizio, chierico coniugato, nel
1640 affittò da Pompeo Rocci, per nome del fratello
Abate Bernardino, la Badia di San Giovanni in Fiore.
Aveva enormi possedimenti in Sila che lo rendeva
ricchissimo. Ebbe quattro figli: Antonio,
primogenito, seguì le orme del padre essendo anch’egli
chierico, poi Onofrio, Vincenzo e
Clarice.
Clarice
sposò Marcello Berardi, un celebre giureconsulto
dell’epoca, anch’esso mangonese.
Antonio
prese le redini del padre e stipulò a Napoli, il 17
maggio del 1689, un nuovo contratto d'affitto con il
Cardinale Don Gaetano Ginetti per i beni
badiali. Dieci anni dopo, nel 1698, insieme al cognato
Marcello Berardi acquisirono parte dei terreni di
Campodimanna, Pisani, Bellori, il Lago di Minarchi e le
Manche di Verardi.
Onofrio,
secondogenito, ebbe dal suo matrimonio il figlio
Maurizio di cui ci soffermeremo più avanti.
Infine
Vincenzo, sposato con la nobile mangonese
Lucrezia Mazzei ebbe cinque figli: Tommaso,
Imperatrice, Elisabetta, Carmine,
Ottavio. Tommaso diede inizio al ramo di San
Demetrio Corone, Carmine continuò il ramo mangonese.
Maurizio,
figlio di Onofrio, risulta dal Catasto Onciario del
casale di Mangone che, nel 1741, avesse 49 anni, viveva
tra Mangone e Cosenza nella casa acquistata nella zona
detta Motta
(2),
era possessore dell’enorme eredità che lo zio Antonio
gli aveva lasciato in quanto primo nipote, secondo la
legge del tempo. Era dottore in legge, sposò la nobile
cosentina Saveria Toscano ed ebbero 14 figli:
Onofrio, “primo figlio privo d’ambedue gli occhi”,
poi Tiresia che divenne monaca, Bernardo,
Raffaele monaco cistercense, Nicolò,
Francesco, Domenico, Carmine,
Filippo, Giuseppe, Brigida,
Franceschina, Maria ed Antonia.
Francesco,
nato nel 1728, acquisì nel 1760 il
titolo di Marchese.
Fu uno dei padri della massoneria cosentina, mandato a
Napoli alla fine dell’anno
1799
per andare a valutare se gli animi
rivoluzionari nel napoletano erano tanto pronti da poter
pensare di ripetere la rivolta anche a Cosenza, fu
scoperto e catturato. Fu decapitato gli ultimi giorni di
dicembre dello stesso anno. Aveva sposato
Isabelluccia
Baratucci,
vedova del Barone Don Giovanni
Abbamonte
Siciliani con il quale aveva avuto due figlie:
Maria Michela e Teresa M. Raffaella. Con
Francesco Mauro ebbe altri sei figli: Costanza,
Caterinella, Marianna, Maurizio,
Antonio e Saveria.
Costanza,
la primogenita, domiciliata a Cosenza sposò Michele
Prezio.
Caterinella
nacque nel 1795, anch’ella domiciliata a Cosenza, moglie
di Alberico
Accattatis
(n. 1790). La coppia trascorreva le vacanze estive a
Mangone nella casa denominata “il Casino” di loro
proprietà, toccata in eredità a Caterinella dopo la
morte del padre. Da questo matrimonio nacquero:
Enrico Maria Francesco Giuseppe Serafino, nato il 15
settembre del 1815 a Mangone, nel 1851 sposò a Caserta
Anna Maria
Tocco,
Anna Maria, secondogenita, nata il primo
marzo 1817, ed infine Giuseppe M. Nicola Serafino
nato il 25 settembre 1819.
Altra
sorella di Caterinella fu Marianna che dimorò
stabilmente a Cosenza, mentre i due fratelli Maurizio
ed Antonio si trasferirono a Napoli.
Saveria, l’ultima nata, si trasferì a Napoli e sposò
il militare francese Luigi Stanislao Moreau, i
due ebbero un figlio, Carlo Giacomo nato il 31
agosto del 1814. |
Carmine,
figlio di Vincenzo e nipote di Onofrio, continuò
a badare agli affari di famiglia nel paese natio. Ebbe
due matrimoni, dal primo nacquero Fedele,
Saverio, Rosa nata nel 1722, e Teodora
nata nel 1725.
Dal
secondo, con la signora Anna Pirillo anch’ella di
Mangone, ebbe cinque figli: Vincenzo,
primogenito; Innocenzo Gaetano, prete;
Caterina, Rosaria e Maria.
Vincenzo,
nato nel 1734, sposò Angela Caruso, nobile di
Figline Vegliaturo e dal loro matrimonio nacquero
Teodora, Rosariantonio, e Brigida.
Purtroppo
la precoce morte di Vincenzo portò Innocenzo Gaetano ad
essere tutore dell’ancora fanciullo Rosariantonio. Il
palazzo di famiglia a Mangone ospitava tutti. Una volta
cresciuto Rosariantonio divideva la sua vita tra
Mangone e Cosenza nella casa acquistata presso la
Giostra Nuova, mentre la casa di Contrada Motta era
toccata per eredità al Marchese Francesco e diventata
quartier Generale nel 1806 del Manhès e luogo dove fu
processato e condannato Vincenzo Federici detto
Capobianco che dette vita alla prima Vendita carbonara
italiana. Rosariantonio fervente sostenitore dei
francesi partecipò attivamente alla lotta contro i
Borbone tanto da porsi in prima fila nel piccolo
esercito al comando di Deguisans con 500 polacchi e 200
patrioti alla volta di Mangone che, invece, era di fede
borbonica; ma il piccolo esercito fu respinto dalla
popolazione.
Si sposò
due volte: dal primo matrimonio, con Carmela Menna
di Cosenza, nacquero Vincenzo Maria e
Francesco Nicola. Dopo la prematura morte di Carmela
si risposò con sua cugina Chiara Caruso, nipote
di Angela Caruso moglie del padre. Da questo matrimonio
nacquero: Maria Raffaella, Giuseppe,
Pasquale, Ettore,
Camillo, Saveria Giovannina, Angela
Vincenzina e Nicoletta Enrichetta.
Molti si
questi figli hanno dato un grande contributo al
risorgimento Italiano a cominciare da Vincenzo Maria,
primogenito ed erede universale del padre e dello zio
Innocenzo Gaetano. Laureatosi in legge a Napoli, non
esercitò molto la professione perché troppo impegnato a
gestire l’enorme patrimonio e la numerosa famiglia. Era
lui che guidava i destini dei fratelli e delle sorelle.
Acquisì il titolo di
“Barone del Lago” e fu soggetto ad accuse
di cospirazione e di voler sovvertire il governo
borbonico e per questo provò il carcere.
Il
secondogenito Francesco Nicola fu affermato
avvocato a Napoli e gestore del patrimonio che la
famiglia aveva nella Capitale. Purtroppo trovò la morte
prematuramente il 17 luglio del 1831 per patologia
cardiaca.
Il suo
posto fu preso dall’altro fratello, Giuseppe,
anch’egli residente a Napoli ed avvocato. Sposò in prime
nozze Giovannina Gambini di Mangone e non ebbero
prole per la prematura morte di Giovannina. Durante il
suo esilio elvetico conobbe e sposò in seconde nozze
Giuseppina Chalon e dal loro matrimonio nacque
Enrichetta. Fu cospiratore e mazziniano dalla prima
ora, affiliato alla “Giovine Italia” e membro della
Congrega Centrale di Napoli. Fu emissario del Mazzini
con il nome di guerra “Giustino”. Nel 1833
fu mandato in esilio per aver cospirato contro il
Governo e la sacra persona del Re e mandato a Marsiglia.
Da lì, seguì il Mazzini nelle città europee che gli
dettero asilo: Londra, Ginevra, Genova. Fu coinvolto
anche nella rivolta cosentina nel 1837 e nella vicenda
dei fratelli Bandiera nel 1844. Per Mazzini era
uno dei pochi uomini fidati e nel suo Epistolario
“Giustino” era colui che “il bigliettino che porta la
parola riservata giungesse nelle mani dell’avvocato
Mauri, strada Pignasecca, n°61. Firmato Mazzini”.
Nelle elezioni del 2 febbraio del 1848 fu eletto al
ballottaggio Deputato a Napoli insieme al cugino
Domenico Mauro di San Demetrio Corone, Tommaso Ortale,
fratello del cognato Pietro Maria che aveva sposato la
sorella Nicoletta Enrichetta, Giuseppe Masci, Antonio La
Terza, Vincenzo Sartorio Clausi, Raffaele Valentini,
Cesare Marini, Carlo Murgia e Muzio
Pace. E
malgrado l’elezione a Deputato il 15 febbraio del ’48
era ancora in esilio a Ginevra e tramite il giornale “Il
Calabrese Rigenerato” incitava i liberali democratici
cosentini a “non iscambiare la libertà per licenza”.
Con l’Unità d’Italia divenne direttore della Banca
Nazionale di Napoli, banca che col tempo diventò Banca
d’Italia.
L’altro
fratello, Pasquale Innocenzo Raffaele Mauro,
anch’egli avvocato rivoluzionario risorgimentale, nato
nel 1810, studiò a Napoli seguendo le orme del fratello
maggiore Giuseppe. Pasquale sposò in prime nozze
Adelaide Menna di Cosenza e dalla loro unione
nacquero Virginia, Letizia, Rosario
Antonio. Anche Adelaide ebbe la stessa sorte della
cognata Giovannina, lasciando solo Pasquale che trovò
conforto pochi anni dopo sposando Emilia Combet de La
Reine. Da questo matrimonio nacquero Francesco,
Eugenio, Anna e Chiarina. L’animo
risorgimentale di Pasquale si manifestò il 27 settembre
del 1847, ai primi fermenti di rivoluzione partì da
Napoli per Mangone ad ingrossare le file dei rivoltosi
calabresi. Fu uomo schietto, di grande eloquenza, che
gli permise, in più occasioni, di sedare il popolo da
qualsiasi disordine, pur propugnando ideali liberali e
costituzionali. I liberali cosentini, ancora titubanti
sui cambiamenti promessi dal Re con una nuova
costituzione, lo mandarono a Napoli per aver ancor più
l’idea di quello che succedeva nella Capitale. Dopo
diversi incontri con il Ministro del nuovo Governo,
Poerio,
fu chiamato dal
Re Ferdinando II
per esporre la situazione della Calabria, e lui, senza
alcun timore, tracciò le linee del malcontento dei suoi
corregionali. Sentite le ragioni, il Re suggerì al Mauro
di tornare in Calabria promettendo che al più presto si
sarebbe realizzato il nuovo sistema governativo. Non si
realizzò nulla fino al 14 maggio del 1848 quando i
Deputati, compreso il fratello Giuseppe, si riunirono e,
il giorno seguente, il 15 maggio, l’Assemblea fu sciolta
ed iniziò il conflitto tra truppe reali e i liberali.
Pasquale fu nominato Capitano della Guardia Nazionale
guidata da Tommaso Ortale e fu iscritto al Circolo
Nazionale che doveva garantire la sicurezza pubblica. Fu
fidato consigliere di Giuseppe
Ricciardi
presidente del Circolo Nazionale. Dopo la sconfitta di
Campotenese dei liberali, guidata dal cugino Domenico
Mauro da parte delle truppe borboniche, il Comitato di
Salute Pubblica di Cosenza il 5 luglio 1848, per paura
di ritorsioni sulla città, mandò una delegazione
composta da Pasquale Mauro, l’Arcivescovo Pontillo,
Gioacchino Gaudio, Ferdinando
Scaglione
e Carlo
Campagna
al cospetto dei generali borbonici
Lanza e
Busacca per evitare la distruzione ed il saccheggio di
Cosenza. Non fu così. Ci furono centinaia di arresti,
persecuzioni e sequestri di beni. Un bersaglio
prediletto del generale Busacca fu proprio Pasquale
Mauro ordinando un mandato di cattura per le
responsabilità avute sulla rivolta cosentina. Pasquale
riuscì a sfuggire dalle grinfie dei Borbone e per oltre
un anno visse da latitante. Ritornò a Mangone il 28
luglio del 1849. Nella notte dello stesso giorno fu
svegliato dal tintinnio delle armi dei soldati che
avevano accerchiato il palazzo di sua proprietà. Ma la
fortuna gli sorrise riuscendo a scappare da una
finestra, la frustrazione fu tanta che i soldati
incendiarono il palazzo e arrestarono il fratello
Ettore. La latitanza durò fino al 1852 quando, tradito
da un suo dipendente, fu catturato a Mangone e
trasportato nelle prigioni del castello di Cosenza dove
si ammalò. Malgrado il processo lo dichiarò innocente fu
costretto a una libertà vigilata. Morì a Napoli l’8
settembre 1855.
Ettore,
nato a Mangone il 24 aprile del 1816, visse la sua vita
interamente a Mangone. Appena maggiorenne fu accusato,
nel 1837, di cospirazione insieme ai fratelli Pasquale,
Giuseppe e Vincenzo Maria per aver partecipato ai moti
carbonari succeduti in quell’anno. Processato, fu
liberato. Successe, per circa un anno, alla carica di
Sindaco di Mangone al fratello Pasquale che l’aveva
ricoperta dal 1838 al 1844. Fu arrestato nel 1849 in
occasione della fuga dello stesso fratello da Mangone e
dell’incendio del palazzo di famiglia. Fu processato ed
assolto nel 1857 insieme ai fratelli Camillo, Giuseppe e
Vincenzo Maria per cospirazione contro la sacra persona
del Re. Fu nominato ancora Sindaco nel 1861 e vi restò
fino al 1869. Fece parte della Guardia d’Onore di S. M.
il Re.
Camillo,
nato a Mangone il 9 maggio 1818, come gli altri fratelli
fu cospiratore e nel 1857 insieme ai fratelli sopra
menzionati fu processato e liberato. Visse soprattutto a
Cosenza dove ricoprì la carica di Conservatore delle
Ipoteche. Morì il 24 agosto del 1869 nel suo palazzo
natio a Mangone in contrada Timpone, aveva 52 anni.
Anche le
sorelle di Vincenzo Maria, Francesco Nicola, Giuseppe e
Pasquale furono donne risorgimentali.
La più
grande di tutte, Maria Raffaella sposò nel 1822
Antonio Scarfoglio di Luzzi, mentre la più
piccola, Vincenza, non si sposò e rimase a far
compagnia al fratello maggiore Vincenzo Maria nella casa
di Mangone anche se ebbe una relazione clandestina,
dalla cui, nacque un figlio che chiamò Francesco
e Vincenzo Maria lo affidò alla famiglia del suo
stalliere di Avellino e cresciuto come un figlio. Si
fece tutto ciò per allontanare voci infamanti sulla
sorella. Saveria Giovannina, detta Annina,
andò in matrimonio con il cugino Raffaele Mauro
di San Demetrio Corone; di questo matrimonio
descriveremo di seguito. Infine Enrichetta Nicoletta,
detta Richetta, sposò Pietro Maria Ortale
di Marzi, fratello del patriota Tommaso Ortale. Dalla
loro unione nacquero 5 figli: Amalia, nata il 3
settembre 1838; Lauretta Teodora, nata il 20
aprile 1842; Rosina Aristea, nata il 24 dicembre
1843 e Francesco Stefano Ettore nato l’8 marzo
1846. |
Pasquale Mauro |
Cosenza, vista da Palazzo
de Mauro |
Cosenza, via Motta, Palazzo de Mauro |
Cosenza, Palazzo de
Mauro, portale settecentesco |
Seconda generazione ramo Mangone |
La
successiva generazione prosegue con i figli di Pasquale
e Giuseppe, gli unici a generare.
Rosario Antonio, nato il 15 ottobre del 1842 fu
destinato ad essere erede universale dell’asse
ereditario della famiglia compreso il titolo nobiliare
dello zio Vincenzo Maria di
“Barone del Lago”.
Giovanissimo, fu affidato allo zio paterno Giuseppe che
ne curò l’educazione. Nel 1860 sposò la cugina
Enrichetta, figlia di Giuseppe, matrimonio combinato per
non far disperdere l’immenso patrimonio. L’unione fra i
due fu breve ed infelice e si separarono “di comune
consenso” nel 1867. Non ebbero figli. Rosario
Antonio ricoprì la carica di Sindaco di Mangone per
circa un ventennio, carica non elettiva ma di nomina
regia. Fu anche direttore di una “Scuola di
Equitazione” e socio “Flautato” del “Casino
di Società di Cosenza”.
Letizia,
sorella di Rosario Antonio morì all’età di 17 anni, nel
1855, a causa di una cardiopatia congenita.
L’altra
sorella Virginia a 18 anni, nel 1859, sposò
Michele Rodi di Celico, un ricco proprietario di 29
anni. Chiarina, altra sorella, non si sposò e
rimase a casa con la madre Emilia Combet. Anna,
l’ultima delle sorelle, sposò Giuseppe Rambaldi
e, dal loro matrimonio, nacque Ada.
Il fratello
Francesco, detto Ciccillo, intraprese la
carriera militare partecipando alla terza guerra
d’Indipendenza all’insaputa della famiglia e per tale
motivo fu allontanato dallo zio Vincenzo Maria.
Infine
Eugenio, nato nel 1853, divenne ingegnere navale.
Rivestì la carica di funzionario dell’Intendenza di
Finanza in molte città d’Italia. Apparteneva alla
cosiddetta “Nobiltà di
servizio”
il primo giugno del 1904, dopo 28 anni di
servizio, fu collocato a riposo, per infermità che lo
rendeva inabile, ed il 9 giugno dello stesso anno fu
nominato Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia,
ruolo dei Cavalieri Nazionali. Si sposò con Rosa de
Falco e dal loro matrimonio nacquero: Pasquale,
primogenito, successore dell’eredità dello zio Rosario
Antonio. Era nato con una displasia congenita dell’anca,
perciò claudicante, celibe; Maria, si
stabilì a Napoli vivendo di sola rendita immobiliare e
grazie al sostegno economico dello zio Rosario Antonio;
Emilia, sposò con Alfredo Montemurri
ed abitarono a Rogliano; Anna, sposò l’ingegnere
Salvatore Stranges di Carpanzano; e Mario,
nato nel 1901, divenne ingegnere edile presso
l’università di Pavia, amava l’arte e la pittura. Nel
1933 conobbe a Catanzaro la signorina Emma Cafasi
e fu colpo di fulmine, si sposarono nel 1943 dopo la
morte del padre di Emma, avvocato Vittorio Cafasi, che
fino alla fine dei suoi giorni si oppose al matrimonio a
causa dell’amore che Mario nutriva per il gioco. Morì
nel 1966 d'infarto miocardico a Catanzaro. |
Mangone (Cosenza),
Palazzo Mauro |
Mangone, Palazzo Mauro, dipinto
su tela |
Ramo di San Demetrio Corone |
Tommaso Mauro, figlio di Vincenzo e di
Lucrezia Mazzei, nonché fratello di Carmine, ebbe
tre figli: Domenico, Ercole, Luigi.
Ercole
non si sposò e divenne un eccellente medico che visse a
Mangone; Luigi, il più piccolo, partecipò a
creare il ramo di San Demetrio Corone; e Domenico,
dal suo matrimonio ebbe due figli: Pietro Francesco
ed Angelo Maria. Pietro Francesco e lo zio Luigi
furono nel 1806 appaltatori del carcere di Cosenza dove
conobbero il nobile Francesco Saverio Lopes di San
Demetrio Corone che, per essere sanfedista e
complice del fratello Gian Marcello nell’uccisione del
Vescovo Francesco Bugliari, scontava la sua pena nel
carcere bruzio. Quando Francesco Saverio fu scarcerato
non dimenticò l’amicizia dei mangonesi tanto che
Pietro Francesco Mauro sposò Matilde figlia
del ricco e potente possidente sandemetrese ed in
seguito altre due figlie Carolina e Giuseppa
furono date in moglie rispettivamente ad Angelo Maria
ed a Luigi, zio dei due giovani fratelli. Da
questi tre matrimoni solo quello di Angelo Maria
con Carolina riuscì a generare dando alla luce
quattro maschi: Domenico, Raffaele,
Alessandro, Vincenzo.
Domenico,
nacque a San Demetrio Corone il 13 gennaio del 1812.
Introdotto nei salotti culturali e risorgimentali di
Napoli dai cugini Giuseppe e Pasquale di Mangone. Nel
1840 pubblicò “Allegorie e bellezze della Divina
Commedia” e fondò il giornale letterario “Il
Viaggiatore”. Si iscrisse alla Giovine Italia e
partecipò all’insurrezione del 15 marzo del 1844 nel
cosentino. Fu arrestato e l’anno successivo (1845)
liberato dal carcere di Santa Maria Apparente in Napoli
e, rifugiatosi a Zurigo pubblicò l’opera “Errico,
novella calabrese”. Nelle elezioni del ’48 risultò
il primo eletto nel suo Collegio con oltre ottomila voti
e ricoprì la carica di Deputato nella capitale. Fu uno
degli organizzatori più accesi della rivolta in Calabria
dopo quella del 15 maggio del 1848 a Napoli; gli fu
assegnato il comando del Circolo Nazionale di Cosenza
presieduto da Giuseppe Ricciardi. La rivolta fallì e fu
costretto a rifugiarsi a Corfù e da quì a Torino dove
condusse una vita semplice. Aderì nelle fila dei “Mille
di Garibaldi” con il grado di Generale. La trionfale
avanzata garibaldina gli regalò il sogno di una vita. Fu
rieletto Deputato al Parlamento Nazionale nel Collegio
di Benevento, ricoprì tale carica fino alla morte
avvenuta a Firenze per un male incurabile il 19 gennaio
del 1873.
|
Domenico de
Mauro (1812
† 1873) |
Vincenzo
non si sposò; mentre Alessandro andò in
matrimonio già vecchio; Raffaele sposò in prime
nozze Rosina Lettieri e da questa unione nacque
Angelo Maria Nicodemo, la morte della Lettieri
portò Raffaele a sposarsi con la cugina Giovannina
Mauro da Mangone e dal loro matrimonio nacquero
Carolina, Rosina, Francesco e Luigi
(†
1922).
Raffaele
ebbe un’esistenza molto intensa. Nel 1844 faceva parte
della Giovine Italia; fu a capo della Guardia Nazionale
di San Demetrio Corone nel 1848. Dopo il fallimento
della rivolta nel cosentino, sempre nel ’48, si diede
alla macchia e si presentò spontaneamente alle forze
dell’ordine nel 1853; fu condannato dalla Gran Corte
Criminale di Cosenza a 30 anni di carcere ed al
sequestro dei beni. Nel 1856 scontava una condanna a 12
anni nel bagno penale del Carmine a Nisida; la pena fu
commutata in deportazione in America. Durante il viaggio
fu liberato da Raffaele Settembrini, accorso con alcuni
patrioti a liberare il padre Luigi Settembrini che si
trovava sulla stessa nave. Nel ’60 partecipò, insieme al
fratello Domenico, alla spedizione dei Mille.
Alessandro Mauro, anch’egli affiancò i fratelli nelle
gesta del Risorgimento Italiano. Nel 1865, due anni dopo
la morte di Giovannina Mauro, moglie di Raffaele, ci fu
un matrimonio molto chiacchierato a San Demetrio, quello
della figlia Carolina con il vecchio zio
Alessandro (che morì quattro anni più tardi)
probabilmente il matrimonio fu “concertato” col fine di
non disperdere il patrimonio. Vincenzo, il
fratello più piccolo morì eroicamente nel 1848 nella
battaglia di
Campotenese sotto le armi borboniche, comandate dal
generale Roger de Damas, davanti agli occhi
dei fratelli Domenico, Raffaele e Alessandro. |
Il generale Roger de
Damas, responsabile delle enormi perdite di uomini
durante la battaglia di Campotenese contro
le truppe francesi comandate dal generale Jean Reynier |
Il citato Luigi (†
1922)
sposò
Erminia Chiarina Barone di Napoli; ebbero tre figli:
Domenico, Emilia e Giovannina.
Domenico sposò Maria Giuseppa Stella Elmo di Vaccarizzo
ed ebbero quattro figli: Dulcinea, Chiarina,
Luigi e Maria.
Luigi sposò Lucia Panaccione di Cassino ed ebbero tre
figli: Chiarastella, Domenico ed Emilia.
Domenico sposò Annamaria Pagliaro ed ebbero due figlie:
Lucia e Chiara. |
_________________
Note:
(1) - Gaetano Montefuscoli, “Imprese ovvero stemme delle famiglie
italiane”, Vol. II; Umberto Ferrari in "Armerista
Calabrese", La Remondiana; Bassano del Grappa, 1971,
pag.44, afferma che l’aquila nello scudo è di nero e non
d’oro.
(2)
- Il Barone Manlio del Gaudio, riporta,
che la famiglia costruì il palazzo di Contrada Motta in
Cosenza nella seconda metà del Seicento, ottenendo nel
1672 il beneficio dell'Oratorio.
Elena Mauro (da
identificare in una delle figlie del Marchese Francesco
alla quale venne imposto più di un nome) fu l'ultima
proprietaria, nel 1814 lo vendette all'avvocato
Francesco Saverio del Gaudio (n. Mendicino,
1760) suo parente, il quale abitava nella piazzetta di
San Giovanni Battista in Cosenza, di antica famiglia
nobile della provincia di Napoli, feudataria di Calvi e
Mondragone, un ramo si trasferì in Calabria a Rende dove
entrò nel novero delle famiglie nobili, e da quì nella
vicina Mendicino; laureato in giurisprudenza a Napoli
nel 1787 sposò Anna Maria
de Majo
figlia del Capitano
Paolo e di Innocenza Vanni, di nobile famiglia di
Cerisano già iscritta nel patriziato di Cosenza. Nel
1806 vediamo Francesco Saverio, nel clima infuocato del
ritorno a Cosenza dei francesi, validamente contrastati
dai borbonici, trovarsi nell'ospedale della città in
compagnia di
Giannuzzi Savelli,
Saverio
Mollo,
Nicola Vitari, Antonio
Ferrari
d'Epaminonda
e Nicola Greco, per impedire
che un folto gruppo di fedeli alla Corona potesse
impossessarsi dei militari francesi feriti, mettendo a
repentaglio la vita di un gruppo di amici e parenti in
ostaggio dei francesi, già i borboniani si apprestavano
ad incendiare l'ospedale, quando sopraggiunse la massa,
riconosciuto del Gaudio dal condottiero della medesima,
il quale era stato da lui prima difeso con zelo, per
riconoscenza arrestò il furore della moltitudine.
Nel 1812, nell'ambito
della rivolta della Carboneria contro la politica
francese capeggiata da Vincenzo Federico detto
Capobianco, il Generale Manhès come prova di forza
decise di entrare in città in modo solenne e da quì
guidare la repressione; Davide Andreotti nella sua
Storia dei Cosentini riporta a pag. 174 “Narra lo
stesso Manhès: che la sua entrata in Cosenza fu un
trionfo; i cannoni arrugginiti dell'antico castello
fecero i loro consueti tiri; le autorità civili e
militari mossero in pomposo corteo all'incontro del
Generale; tutte le guardie civiche capitanate dal
Colonnello
Labonia
facevano spalliera lunghesso il cammino sino al suo
alloggio, che fu destinato nel palazzo Mauro sotto il
forte, oggi di del Gaudio”.
Manlio del Gaudio, “Curiosità storiche di Calabria
Citeriore (1806-1860)”, Santelli 1994, pagg. 9-10.
________________
Bibliografia:
- Ivan Pucci "Gli stemmi araldici nel contesto urbano di
Cosenza e dei suoi casali", pag 43. Edizioni Orizzonti
Meridionali, 2011.
- Manlio del Gaudio "Spigolature da una
alleanza familiare in Calabria alla fine del XVIII
secolo", pag. 41. Walter Brenner Editore, Cosenza 1994.
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