Ovvero delle Famiglie
Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili
di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti
alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate
chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che
abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia.
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A cura del Cav. Ivan Pucci |
Famiglia documentata ad Altilia, in provincia di Cosenza, dal
sec. XVII, tra le sue fila ha annoverato sacerdoti, notai,
medici e ricchi proprietari.
Nel catasto onciario di Altilia del 1743 sono citate solo
due famiglie quella del Magnifico Notaio Don Antonio d’Alessio e
quella del Magnifico Notaio Don Scipione d’Alessio.
Nel 1907 questa famiglia si è estinta nei Pucci di Altilia, a
seguito del matrimonio celebrato tra Biagio Pucci (1874 † 1958)
e Maria Isabella Marsico (1882 † 1967),
unica figlia di Michele Marsico (1852 † 1883) e di Maria Assunta
Caserta (1855 † 1960).
Michele Marsico era figlio di Vincenzo e di Maria
Isabella d’Alessio (1810 † 1875).
Dezio
(ultimo 4° del ‘600
†
ante 1730), proprietario, è il primo esponente finora conosciuto
di questa famiglia. Era coniugato con la Signora Caterina
Donnino (sec. XVII
†
ante 1730) ed ebbero per figli: Antonio (1706 c.a
†
1790), Berardino (1715 c.a
†
post 1775) che nel 1743 risultava dimorare “…da più anni…”
a Monteleone (l’odierna Vibo Valentia), e Nicolò, che nel
1730 dimorava e studiava a Napoli. (rif. A.S. di Vibo Valentia,
fondo notarile, notaio Giovan Gerolamo Marsico, Mileto, anni
1729
†
1730).
Berardino
o Bernardino (sec. XVII), molto probabilmente fratello o
parente di Dezio (da notare la ripetitività del nome Berardino o
Bernardino) era un esponente dell’Ordine dei Minimi ed autore di
pregevoli opere sulla conciliazione della fede con la ragione.
Non sono state reperite, al momento, altre notizie.
Il Magnifico Don Antonio (1706 c.a
†
Altilia, post 29-02-1790) “Apprezzatore pubblico e Regio
Notaro”, figlio di Dezio e di Caterina Donnino. Nel 1729 e
nel 1730 viene indicato come “Clerico” (rif. A.S. di Vibo
Valentia, fondo notarile, notaio Giovan Gerolamo Marsico,
Mileto, anni 1729 -1730) e successivamente dopo aver terminato
gli studi svolgerà ad Altilia la professione di notaio. Sposato
a Rosa de Gotti (o li Gotti) (1711 c.a
†
ante 1790), come si evince dal catasto onciario del 1743,
abitavano nel luogo chiamato “la Ruga delli Mantovani”,
abitazione che condivideva con la famiglia del fratello
Berardino, di professione “civile” che risiedeva da anni
a Vibo Valentia, al tempo confinava con quella di Francesco
Caserta e con la pubblica via, aveva annesso un orto, un forno
ed altri beni, avevano un “Garzone” tale Cesare
Principato di Tarsia di 26 anni. Nel medesimo anno, lui stesso o
il notaio D. Scipione d’Alessio (1693 c.a
†
ante 1775), suo parente o fratello, è il “Cancellarius”
(Cancelliere) del catasto onciario di Altilia, come si evince
dalla firma “d’Alessius”, in cui purtroppo, non è
riportato il nome: “d’Alessius Cancellarius”. Nel 1772,
sarà Berardino il “Deputato” preposto alla compilazione
del catasto onciario di Altilia, mentre nel 1775, come si evince
dalla firma, è Antonio d’Alessio a compilare il medesimo
documento. Il 29 febbraio 1790, all’età di circa 84 anni, nella
sua abitazione ubicata sul “piano del Castello” e
attualmente non precisamente individuata, detta le sue ultime
volontà testamentarie in favore dei nipoti, secondo le regole
del maggiorascato vigenti al tempo, in quanto essendo deceduto
il figlio il Dottor Fisico Don Luigi
(1739
†
1789), sono subentrati i figli di quest’ultimo Don
Francesco Maria (ante 1785
†
?), primogenito, e Don Raffaele (1785
†
1869) Civile, e la vedova di D. Luigi, Donna Maria
Isabella Marsico (1758
†
1818?), inoltre detta disposizioni “…vuole, ordina e comanda…”
anche per le figlie: Signora Donna Saveria (1741
†
1819), Signora Donna Teresanna (?
†
post 1821) sposata al Dottor Fisico D. Carmine
Ferraro (1731
†
1786), Signora Donna Barbara, nubile. Inoltre
devolve 4 ducati affinchè vengano celebrate alcune messe in
suffragio del figlio Francesco (?
†
ante 1790) morto senza eredi e della moglie Donna Rosa de Gotti,
ed infine chiede di essere sepolto nella cappella della “…sua
Signora madre…”, di cui non ci è pervenuta alcuna notizia.
Nomina anche tutore dei predetti nipoti il Dottor Fisico
D. Carmine Ferraro (A.S. Cosenza, fondo notarile, notaio Antonio
Nigro di Grimaldi, rif. testamento del Magnifico notaio D.
Antonio d’Alessio, Altilia, 29.02.1790).
Il fratello del notaio Don Antonio d’Alessio, Don Berardino
(1715 c.a
†
post 1775) di professione Civile, che viveva tra Altilia
e Vibo Valentia, era coniugato con Agata de Gotti (o li Gotti)
(1714 c.a) ed ebbe due figli: Dezio (1738 c.a), e
Caterina (1740 c.a). |
Altilia (Cosenza) |
Il Dottor Fisico Don Luigi
Francesco Maria (Altilia, ? 1739
†
Mangone 14-10-1789), figlio di D. Antonio e di Donna
Rosa de Gotti, sposò Donna Maria Isabella Marsico (1758
c.a
†
Altilia 23-06-1818), figlia del Magnifico D.
Antonio Marsico e della Magnifica Donna Elisabetta
Marsico, che abitavano a Maione, attuale frazione di
Altilia; Don Luigi d’Alessio perse la vita a Mangone,
per motivi rimasti sconosciuti, e venne sepolto nella
locale Chiesa parrocchiale di San Giovanni Evangelista,
dove della sepoltura si è persa ogni traccia.
Don Francesco Maria (n. ante 1785
†
?), appartenne all’Ordine dei Minori, figlio di Don
Luigi e di Donna Maria Isabella Marsico, nel 1790 venne
citato nel testamento del notaio Don Antonio d’Alessio,
suo avo paterno, e nel 1798 come “…Sacerdote dei
Minori…” (A.S. di Cosenza, fondo notarile, notaio A.
Nigro, Grimaldi, 26.05.1798).
Don Raffaele (Altilia, 4 agosto 1785
†
ivi, 25 aprile 1869), Civile, figlio di D. Luigi
e di Donna Maria Isabella Marsico, fu battezzato con i
seguenti nomi: Domenico, Raffaele Antonio, Sebastiano,
Gaetano; i padrini furono il Barone di Pittarella Don
Giuseppe
Passalacqua
e Donna Aurelia
Basile,
moglie del Barone di Campitelli Don Leopoldo
Medici
Gatti di Martirano. A seguito della prematura scomparsa
del padre si prende cura di lui e del fratello Francesco
Maria, lo zio Don Carmine Ferraro, marito della sorella
del padre Donna Teresanna d’Alessio, come aveva disposto
l’avo paterno, il notaio Don Antonio d’Alessio nel suo
testamento del 1790 e come attestato in un atto del 26
maggio 1798 del notaio Antonio Nigro di Grimaldi. Prima
del 15-02-1806, sposò Donna Anna
de Simone
(Grimaldi? 1780 c.a
†
Altilia, 7 aprile 1814), figlia di Don Pietro de Simone
e di Donna Antonia Pizzuti (A.S. di Cosenza, fondo
notarile, notaio Gerardo Ferraro, Grimaldi, 1806,
integrazione dei capitoli matrimoniali tra Don Raffaele
d’Alessio e Donna Anna de Simone). Don Raffaele
d’Alessio amministrò i cospicui beni di famiglia ed
intorno al 1806 visse a Scigliano e dal 1809, e per
molti decenni, ricoprì incarichi comunali ad Altilia;
ebbero per figli: Donna Maria Antonia (Scigliano,
1806) che sposò, nel 1839, Don Gioacchino Policicchio
(Serra d’Aiello, 1785) Ccivile”, vedovo,
figlio di Stefano, “speziale” (farmacista, n.d.a.),
non si conoscono eventuali eredi; Don Luigi (1808
c.a
†
Altilia, 1821), muore nella casa del padre ubicata nel “Piano
di D. Peppe”; Donna Maria Isabella (Altilia,
1810
†
ivi, 1875) alla cui dichiarazione di nascita fu
testimone Gabriele de Gotti, fondatore della prima sede
della Carboneria in Calabria, sposò, nel 1837 ad
Altilia, Francesco Vincenzo Marsico (Altilia,
1819), proprietario, figlio di Michele Marsico e di
Maria Rajmondo; e Donna Maria Saveria (Altilia,
1812
†
ivi, 1815). Il 7 aprile 1814 alle ore 19,00 si spense ad
Altilia Donna Anna de Simone. Dopo quattro anni, il 24
1818, Don Raffaele si risposò con Donna Michelina
de Gotti (Martirano, 1788
†
Altilia, 1829) figlia di Don Annibale e di Donna
Arcangela Gualtieri e sorella di Gabriele de Gotti. Il
matrimonio, tuttavia, come si evince dai “capitoli
matrimoniali” (accordi e contratti matrimoniali
secondo le disposizioni vigenti in epoche antiche, n.d.a),
rinvenuti presso l’Archivio di Stato di Cosenza, verrà
contrastato per ben tre volte dai genitori della sposa,
in quanto secondo gli stessi, Don Raffaele, non esercita
alcuna professione e non possiede adeguati mezzi di
sostentamento (rif. A.S. di Cosenza, stato civile di
Altilia, anno 1818, processi matrimoniali). Tuttavia
il matrimonio verrà celebrato ugualmente e dalla loro
unione nasceranno otto figli, sei figlie delle quali
alcune si sposarono ed ebbero figlie femmine o maschi
morti prematuramente e due figli maschi: Don Carlo
Maria Pietro (Altilia, 1818) che sposò Donna Carmela
Senape figlia di D. Tommaso Senape e di Donna Maria
Giuseppina Cara, nobildonna di Supersano (LE); con molta
probabilità si trasferì nel Salento, non si conoscono
eventuali discendenti (A.S. di Cosenza, fondo notarile,
rif. atto n. 4, 11.07.1858, notaio Pier Francesco Caruso
di Altilia, capitoli matrimoniali d’Alessio
/Senape). In provincia di Lecce e nella stessa città,
esistono magnifici palazzi dei Senape e dei Cara;
l’altro figlio maschio fu Francesco Maria (Altilia,
1826
†
ivi, 1830). Nel 1821 la famiglia di Raffaele
d’Alessio, abitava nel luogo chiamato “piano di D.
Peppe”, l’odierna Piazza Castello, alla fine
dell’800 la famiglia d’Alessio abitava in località “Timpone”.
Il Magnifico Don Scipione
d’Alessio (1693 c.a
†
ante 1775) “colla (sic!) professione di
apprezzatore pubblico e Regio Notaro”, nel 1743
abita con la famiglia in una casa “dotale”
della moglie Flaminia de Gotti (1698 c.a
†
post 1743) nel luogo chiamato “la Fornagia”,
l’abitazione ha un orto vicino e confina con la via
pubblica e con la casa di Francesco Orlando.
Probabilmente era un fratello o un parente prossimo del
notaio Don Antonio d’Alessio; dal matrimonio nacquero i
seguenti figli: Carmine (1725 c.a
†
post 1772), fu Sacerdote a Castiglione Cosentino (rif.
visite pastorali di Altilia, anno 1823); Aurora
(1726 c.a
†
1812), sposò Francesco Gigliotti; Giovan
Battista (1731 c.a
†
post 1775) fu il “Cancellarius” del catasto
onciario del 1775, “vive altrove” e si sconoscono
il luogo di residenza e l’eventuale discendenza; Luca
Giovanni (1732 c.a
†
1818) sposò Antonia Bove (†
ante 1817); Barbara (1739 c.a ); Francesca
Antonia (1742 c.a
†
1821) sposò Alessio Pagliuso.
Luca Giovanni ed Antonia Bove ebbero per figli:
Alessio (1767 c.a), non si conoscono eredi;
Raffaele (Altilia, 7 marzo 1772
†
ivi, 1823), Sacerdote; Don Sebastiano (Altilia,
1775
†
Cosenza, 1817) sposato a Rosa Mete, ebbero due figlie:
Rachele (Altilia, 1804) sposata a Gaetano
Romano, e Francesca
(†
Altilia, 1848) sposata a Sebastiano De Caro; Emilia
(1776 c.a
†
1836), probabilmente nubile; Elena (1780 c.a
†
1819) sposata a Fortunato Buffone; Gabriele, e
Pasquale.
Il citato Sebastiano d’Alessio, fu condannato a morte
nel 1817 per omicidio e altri reati. Il 14 maggio 1817
si svolse a Cosenza presso la “Corte Speciale di
Calabria Citra” il processo e fu ritenuto
responsabile dell’omicidio di D. Francesco de Gotti,
fratello di Gabriele de Gotti e del tentato omicidio del
padre D. Annibale de Gotti e di Giuseppe Caruso. L’atto
di accusa venne presentato il 12 ottobre 1816 e in
dibattimento vennero escussi i testimoni.
Successivamente il Regio Procuratore Generale, valutati
gli indizi di colpevolezza ne propose la condanna a
morte, e per ultimi presero la parola il Signor
D. Cesare Marini, difensore dell’imputato e lo stesso
imputato. Infine la Corte, si riunì nella Camera di
consiglio per esaminare i fatti di seguito ricostruiti:
l’imputato era “congiunto del giustiziato a morte
Vincenzo Federico altrimenti detto Capobianco” (la
madre del Capobianco, Caterina Mete e la moglie di
Sebastiano d’Alessio, Rosa Mete, erano parenti, forse
sorelle, n.d.a) “era stato anche il suo amico e
compagno”, “dopo la morte di lui (di
Capobianco) eseguita in settembre 1813”,
l’imputato divenne l’amministratore della famiglia
Federico. L’atto di accusa lo definisce più che un
amministratore un “padrone”, ostacolato, però “alle
sue vedute” da D. Annibale de Gotti, zio materno dei
figli del Capobianco, Gaetano e Sebastiano Federico (la
loro madre Mariangelica de Gotti era la sorella, n.d.a),
che l’imputato secondo l’accusa, cercava di mettere
l’uno contro l’altro. Tutta la questione ebbe inizio
quando l’imputato aveva rinvenuto in un “libro di
credito” del Capobianco un debito di 200 ducati da
parte di D. Annibale de Gotti nei confronti del predetto
e nel mese di maggio 1816, sul sagrato della Chiesa
Parrocchiale di Altilia, alla richiesta di saldare il
debito, gli animi si scaldarono a tal punto che
dovettero intervenire “le Guardie di interna
sicurezza” agli ordini del Sindaco D. Michele
Marsico. Le due fazioni furono fatte allontanare e si
recarono nelle rispettive abitazioni. L’indomani il
Sindaco organizzò un pranzo per farli riappacificare,
cosa che avvenne pubblicamente. Nel mese di ottobre
1816, la questione del debito venne riproposta e i
fratelli Federico, decisero di adire le vie legali
contro lo zio e da allora le famiglie “rimasero
disgustate e non più si trattarono”. |
Un'adunata di Carbonari,
Capobianco parla agli affiliati degli scopi della
Carboneria |
L’imputato, inoltre, venne accusato anche di aver
sedotto “una donzella della famiglia Federico e la
rese madre” (il nome non verrà reso noto, n.d.a.),
fatti per i quali Sebastiano d’Alessio aveva cercato di
mantenere il più stretto riserbo ma D. Annibale de
Gotti, venuto a conoscenza e “geloso dell’onore della
famiglia e parentado” il 24 dicembre 1815, ne parlò
con la madre Donna Nicolina Janni affinchè ne parlasse a
sua volta con la sorella Donna Mariangelica de Gotti,
madre della “donzella ingravidata”; le due ebbero
un’animata discussione a casa di Giuseppe Caruso (figlio
di Filippo Caruso e di Candida de Gotti, n.d.a.) poiché
Donna Mariangelica de Gotti riteneva infamante una
simile notizia e pronunciò le seguenti parole: “Ohi
mamma, ohi mamma quando s’ ammazzano i cristiani? Mo s’
ammazzano”. Le consigliò infine di trovare un modo
per allontanare D. Sebastiano d’Alessio dalla sua casa,
mantenendo al contempo segreta la questione soprattutto
con i figli. L’imputato, tuttavia, secondo l’accusa,
venne informato da qualcuno della discussione avvenuta
tra le due donne e nel corso delle festività natalizie,
all’alba di un giorno non meglio precisato, incaricò un
suo domestico di scendere in una cisterna “diruta”
che si trovava nei pressi della Chiesa Parrocchiale di
Altilia e di recuperare un “cadaverino umano” che
ivi giaceva e una volta riposto in un paniere lo fece
seppellire in un angolo di un “basso” della sua casa
(non è dato sapere se il bambino fosse nato morto o fu
ucciso, n.d.a).
Sempre secondo l’accusa, l’imputato verso la sera del 1
gennaio 1816, iniziò a preparare il suo fucile
caricandolo con una palla e “con più palline grosse”
quando proprio in momento entrò nella stanza Sebastiano
Caruso detto “Cicciano”, che stava ritornando
dalla casa dello zio Domenico Caruso, dove si era recato
per far visita al cugino D. Giuseppe Caruso che era
partito a Catanzaro. L’imputato gli chiese se in quella
circostanza avesse visto D. Annibale de Gotti e
“Cicciano” gli rispose che era a casa Caruso unitamente
al figlio D. Francesco e che erano lì dalle ore 23,00
per salutare D. Giuseppe Caruso. In quel momento
entrarono nella stanza due persone sconosciute e armate
di fucile, avvolte “ne rispettivi manti di lana”
che rivolgendosi a D. Sebastiano d’Alessio dissero “facimo
na cosa presto” e il predetto rispose “tutto è
lesto, andiamo”. Alle ore 01,00 del 2 gennaio 1816,
uscirono da casa Caruso “Giuseppe Caruso (che,
n.d.a.) precedeva con pezzo di teda accesa in mano
per far lume”, seguito da D. Francesco de Gotti il
padre D. Annibale e per ultimi Filippo e Giovan Giacomo
Caruso. “Visti appena i tre primi dalla porta del
cortile della casa di Domenico Caruso, che si udì lo
sparo di una fucilata dalla parte sinistra del medesimo
e dopo breve tempo si udirono altri due colpi di
fucile”. D. Annibale de Gotti, al secondo colpo di
fucile, si girò istintivamente verso il luogo da dove
era provenuto lo sparo e al “lampo della seconda
fucilata conobbe l’imputato Sebastiano d’Alessio” e
scorse in lontananza con l’ausilio del lume altre due
sagome. D. Francesco de Gotti, cadde ferito a terra,
Giuseppe Caruso nonostante fosse stato ferito ad una
gamba riuscì a fuggire, mentre D. Annibale de Gotti “ebbe
il cappotto forato da due pezzi di piombo”. D.
Francesco de Gotti alle ore 02,00 successive “se ne
morì per le ricevute ferite all’intestino retto e alla
vescica”. D. Annibale de Gotti, non disse a nessuno
di aver scorto anche due sagome in quanto riteneva che
potessero essere i nipoti D. Gaetano e D. Sebastiano
Federico.
Sempre secondo l’accusa, nella serata del fatto
delittuoso, intorno a mezzanotte, Donna Mariangelica de
Gotti si era recata a casa dell’imputato in quando
doveva prendere in prestito un’asina e mentre conferiva
con Rosa Mete, moglie del predetto, udirono alcuni colpi
di fucile e “senza sapere gli effetti”, quest’
ultima “ incominciò a strapparsi i capelli e disse e
ripetè casa mia jettata a terra, casa mia rovinata e
così dicendo svenne”. Vista la situazione Donna
Mariangelica de Gotti si trattenne a casa d’Alessio fino
alle ore 03,00. Intanto alle ore 02,00 era giunta a casa
d’Alessio, accompagnata dal servo Gennaro De Stefano,
Donna Clementina Federico, per riferire alla madre che i
fratelli D. Gaetano e D. Sebastiano non sarebbero
rientrati a casa “per il vino bevuto” e
pertanto Donna Mariangelica de Gotti, fu accompagnata a
casa dal servo dei d’Alessio, Andrea Falvo. “Dopo
qualche tempo”, l’imputato si recò a casa dei
Federico per portare loro conforto aggiungendo che non
era stato lui a compiere il delitto. Il giorno seguente,
intorno alle ore 14,00, s'incontrò davanti la Chiesa
Parrocchiale di Altilia con Sebastiano Caruso detto “Cicciano”
e gli intimò di non dire a nessuno quello che aveva
visto altrimenti “lo avrebbe ucciso e fatto a pezzi”.
Sempre secondo l’accusa l’imputato cercò di far tacere
anche un’altra testimone, Carmina Guadagnolo di Aiello,
sua nipote acquisita. D. Sebastiano d’Alessio, fu
arrestato e interrogato in merito all’omicidio si
proclamò innocente fornendo un alibi secondo cui la sera
del delitto, fino alle ore 02,00, si sarebbe trovato a
casa della vedova Serafina Marsico, unitamente a
Sebastiano Nucci, dopodichè come di consueto si recò a
dormire a casa Federico.
La Corte Speciale, dopo essersi riunita in camera di
consiglio, lo ritenne colpevole di omicidio, tentato
omicidio e infanticidio. La sentenza venne comunicata
all’imputato il 14 maggio 1817 dal suo Avvocato D.
Cesare Marini ed eseguita il 16 maggio 1817 a Cosenza in
piazza San Domenico, tuttavia dagli atti di morte dello
stato civile di Cosenza, risulta che morì alle ore 16,00
del 16 maggio 1817 nel carcere della città di Cosenza,
luogo dove probabilmente fu eseguita la
sentenza. Nessuna prova di colpevolezza verrà trovata a
carico di D. Gaetano Federico e di D. Sebastiano
Federico, quest’ultimo nel 1817 verrà assassinato da
Gabriele de Gotti “davanti la porta di Francesco
Rajmondo”, e per questo omicidio e per un altro
quello di Francesco Romano in data 8 agosto 1820,
riceverà l’indulto. (rif. I Pucci, una Provincia in
rivolta - i moti Carbonari a Cosenza nel 1813 - ,
Cosenza, ed. Or. Me., 2008, da pag 58 a pag.65). |
Cosenza, Palazzo dei
Tribunali, oggi Pinacoteca Nazionale |
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