Ovvero delle Famiglie Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia. 

Famiglia Orimini

a cura del Dr. Pierluca Turnone

Arma: bandato di rosso e di argento con il capo caricato da un lambello a cinque pendenti d’azzurro(1).
Dimora: Napoli, Brindisi, Lecce, Martina Franca.


© Stemma della Famiglia Orimini

La Famiglia Orimini o d’Orimini, olim Orimina, fu una nobile Casata originaria di Napoli. Il fatto che fosse anticamente appellata anche Arimini, Arimine, d’Arimine o da Rimini suggerisce una probabile derivazione toponimica del cognome dalla città di Rimini [in latino Ariminum (2)]; in ogni caso, essa risulta presente da tempo immemore nella capitale partenopea [pare almeno dal X sec. (3)], ove fu annoverata tra le antiche Famiglie feudatarie. Detentrice di beni feudali sin dalla prima età angioina, delineò progressivamente la propria posizione sociale fornendo svariati funzionari all’amministrazione pubblica del Regno di Napoli, prima a livello provinciale, poi negli uffici centrali della capitale. Col tempo, molti membri del Casato arrivarono a godere della familiaritas regia e della qualifica di consiliarius, mentre la Famiglia nel suo insieme guadagnò il proprio rango tra le nobilissime Casate del Regno, imparentandosi con molte di esse.

LE RADICI NAPOLETANE

L’importanza e il prestigio della Famiglia Orimini emergono con chiarezza dal fatto che essa godette nobiltà nei più antichi Seggi di Napoli, particolarmente in quelli poi accorpati al Seggio di Montagna e in quello di Capuana; è cosa nota, peraltro, che in epoca normanna  il patronato sul monastero dei Santi Marcellino e Pietro(4) appartenesse anche a questa illustre Stirpe.   

Napoli - Complesso Monumentale Chiesa dei SS. San Marcellino e Festo, già dei Santi Marcellino e Pietro. La Famiglia Orimini in epoca normanna faceva parte delle Casate detenenti il patronato sull’omonimo complesso convenutale.

Tra gli anni Settanta e Ottanta del Duecento Sergio Orimina fu doganiere a Napoli; sarà poi magister salis in Terra di Lavoro e Principato, nonché secretus, magister portulanus e magister salis in Terra di Lavoro e Contado di Molise.
D. Pietro d'Arimini, vicario dell’Honor Montis S. Angeli, fu creato Cavaliere nel 1289 dal Re Carlo II d’Angiò
(5); dallo stesso sovrano venne remunerato per i suoi servigi militari suo fratello, D. Matteo Orimini. Pietro e Matteo parteciparono all’assemblea indetta nel 1298 dai Seggi di Capuana e Nido per stabilire norme suntuarie alle quali gli afferenti ai predetti Seggi avrebbero dovuto ottemperare; il secondo ebbe poi il titolo di familiaris e, dopo aver acquistato la gabella sulle saline di Salpi, Manfredonia e Canne (1301), divenne Capitano del Ducato di Amalfi, Castellammare, Sorrento, Lettere e Gragnano e di Vico (1305-1309). Matteo ricoprì inoltre le cariche di magister ostiarius e, con Pietro, di magister portulanus (1309); nel 1326 fu infine  magister passuum in Abruzzo(6). Tre anni prima aveva donato un terreno di Marano alla cappella di San Matteo (da lui precedentemente fatta costruire in Santa Patrizia) al fine di celebrare un anniversario e delle messe di suffragio. Sposato a Giovanna Franco, fece testamento nel 1328: con tale istrumento nominò erede universale sua figlia D. Maria Orimina ed effettuò ulteriori donazioni a Santa Patrizia [tra esse riservò l’usufrutto di 40 once alla nipote Vannella Caracciolo (7)].
Anche Petracca Orimina, figlio di Matteo, fu milite e familiaris della Famiglia Reale (a partire dal 1343 è attestato come facente parte della guardia personale della Regina Giovanna I d’Angiò). All’alba del XIV secolo Giovanni Orimina fu eletto nel Seggio dei Cimbri, mentre Romagnolo de Orimina risulta tra gli ostiari della corte della Duchessa di Calabria, moglie di Carlo d’Angiò. Nel 1332 Sergio Orimina fu magister salis per l’Abruzzo e ivi responsabile del dazio su ferro, acciaio e pece; pare poi che si recò in Sicilia sotto le bandiere di Roberto I d’Angiò.
La Famiglia ebbe la propria dimora gentilizia nel cosiddetto “Vico degli Orimini” (un tempo sotto il Campanile della Chiesa di San Giorgio Maggiore), oggi sparito; secondo alcune fonti, inoltre, la Casata possedette anche il Palazzo dell’Imperatore di Costantinopoli” (oggi Palazzo Filippo d’Angiò). Gli Orimini edificarono anche la cappella di Santa Maria Porta Coeli (anticamente detta di San Pietro), luogo considerato mistico in seguito al miracoloso rinvenimento di un’immagine della Madonna.


Chiesa di San Giorgio Maggiore (Napoli). Nei pressi di questo edificio si trovava anticamente “Vico degli Orimini”, conducente
al Palazzo gentilizio della Casata
.


Napoli - Uno degli ingressi del Palazzo Filippo d’Angiò, già Palazzo dell’“Imperatore di Costantinopoli” (Sec. XVIII). Secondo alcune
fonti, fece parte dei possedimenti della Famiglia Orimini.

Nel 1334 è attestato a Napoli il “Domino” Bartholomaeo Orimina, mentre Tommaso Orimina ricoprì la carica di gabelliere del sale in Terra di Lavoro e Principato. Nel 1350 il Nobile Roberto di Orimini o da Rimini, eletto al Seggio di Montagna, fu uno dei Deputati [«coloro, che hauean cura del governo di Napoli(8)»] comparsi di fronte a Luigi I il Grande Re d’Ungheria affinché «facessero taglia nella Città, e la liberassero dal sacco, che i Soldati Ungheri douean fare(9)». D. Cizola Orimina, monaca, ottenne (21 settembre 1366) da Tuccillo Orimina, Patrizio Napoletano del Seggio di Montagna e cugino germano dell’eletto Roberto, una rendita vitalizia di 2 once su un terreno sito nei pressi di Napoli (nel cosiddetto Dullolo); precedentemente, la donna riceveva la stessa rendita su una casa appartenuta a Bartolomeo Orimina (figura forse coincidente con il succitato “Domino” Bartholomaeo )(10). Nello stesso periodo risulta attestata in zona anche una Margherita Orimina. Nel 1382 due Orimini sono enumerati tra i convenutali di San Domenico appartenenti al Seggio di Capuana, mentre l’anno successivo il “Domino” Agnello (Anello) de Orimina è indicato tra i testimoni di un atto notarile.

Un altro Roberto d'Orimini, giovane Nobile del Seggio della Montagna, fu creato Cavaliere da Luigi II d’Angiò al tramonto del XIV secolo. Altri membri del Casato furono D. Marcuccio (nipote di D. Pietro e D. Matteo), Riccardo (Rizzardo), Gorello, Loisio, Enrico, Gerardo, Pietro (il quale eseguì alcune pitture nella cappella del giardino di Castelnuovo prima del 1328) e soprattutto Cristoforo Orimina, probabilmente il più famoso miniatore napoletano del Trecento, dallo stile asciutto ed energico di ispirazione giottesca. Attivo sin dal 1335, dopo aver esordito con la miniatura di alcuni fogli dell’Histoire ancienne jusq’à César decorò la magniloquente Bibbia angioina di Lovanio (anni Quaranta del Trecento), continuando la sua attività anche durante il regno di Giovanna I di Napoli e Luigi di Taranto: a lui fu affidato il compito di illustrare la Bibbia di Berlino. Tra il 1354 e il 1355 eseguì il frontespizio degli Statuts de l’Ordre du Saint-Esprit (unico esemplare miniato degli statuti di un Ordine cavalleresco di cui si abbia conoscenza), riccamente ornato da tinte azzurre e dorate. Gli storici dell’arte attribuiscono inoltre a Cristoforo e alla sua bottega un Breviario (attualmente al Monastero dell’Escorial), una Bibbia realizzata per il Vescovo Giovan Gaetano Orsini, un’altra Bibbia appartenuta a Roberto di Taranto, i Libri sententiarum di Pietro Lombardo, il De Vita Caesarum di Svetonio e un Salterio; l’opera più tarda a lui riferita (per quanto gli studiosi siano ancora discordi circa l’esatta datazione) è la Bibbia della Biblioteca  Vaticana, composta di tre volumi.


Una pagina miniata della Bibbia latina (1362), attribuibile
a Cristoforo Orimina e ai suoi collaboratori (Biblioteca
Apostolica Vaticana, Città del Vaticano).


Santa Brigida, Rivelazioni (manoscritto in pergamena del XIV sec.). L’opera è attribuibile alla bottega di Cristoforo Orimina (Biblioteca centrale della Regione Siciliana).

Non bisogna infine dimenticare l’Illustre Signor Giulio d'Arimini (che combatté valorosamente a Napoli e in Terra di Lavoro contro Monsignor Lottrecco), Agnesella Orimini [gentildonna del Seggio della Montagna maritata a Paride Sanfelice, morto nel 1406 (11)] e il “Domino” Annecchino Orimina (attestato nel 1408). 

IL TRASFERIMENTO IN TERRA DI PUGLIA

Nel corso del XV secolo, gli Orimini si trasferirono a Brindisi (come fecero anche i Caracciolo, i Ricci, i Seripando e altre Famiglie aristocratiche), ove  mantennero il titolo di Patrizi in considerazione della nobiltà goduta al Seggio di Montagna (ancor oggi nella città pugliese è presente un “Vico d’Orimini”). Parimenti, anche a Lecce la Famiglia fu annoverata tra le Casate più nobili, ricche e prestigiose della città: furono Sindaci del capoluogo salentino Roberto de Orimina (1474), Francesco de Orimina (1479) e Luigi de Orimina (1529); importante fu anche Giacomo de Orimina. Un ramo del Casato è attestato almeno dalla metà del XVI sec. pure a Martina Franca (in Terra d’Otranto), ove si illustrò e contrasse parentela con le più eminenti Famiglie della nobiltà cittadina (Turnone, Desiati, Piccoli, Blasi).

Ottavio di Scipione Orimini o d'Arimini, nato a Martina, fu avviato agli studi nel seminario di Taranto e successivamente inviato prima presso le Università di Padova e Bologna (ove studiò filosofia) e poi presso quella di Napoli (stavolta per acculturarsi in diritto). Chierico, filosofo e teologo, dopo aver soggiornato a Ginevra e avere perciò subito un processo inquisitoriale a Roma, fu imprigionato a Napoli per reati comuni (1591). Accusato di eresia da un cappellano del carcere nel quale era rinchiuso, fu condannato a morte dal Tribunale diocesano della capitale partenopea e poi inviato a Roma(12), ove fu torturato e costretto alla pubblica abiura (avvenuta il 18 maggio 1597); condannato anche dalla Congregazione del Sant’Uffizio, in quanto “del tutto miscredente dela fede christiana” e credente in “un solo Iddio in cielo a costume di hebrei”, fu decapitato la mattina del 29 maggio 1597 in Tor di Nona e poi arso sul rogo in Campo dei Fiori.
Più o meno nello stesso periodo vissero a Martina l’ecclesiastico Metello Orimino, Abate della Collegiata di San Martino intorno al 1580, Messer Oratio Arimine e Messer Giulio Orimino; molto noto fu anche il Magnifico U.I.D.
(13) Donato Antonio d'Orimini.


Atto di battesimo (1577) in cui compare Messer Oratio “Arimine” (Archivio della Basilica di San Martino, Martina Franca).
Il nome di suo figlio è purtroppo illeggibile a causa della consunzione del supporto.

Aurelia de Orimino è attestata al tramonto del XVI secolo come moglie di Giovanni Giacomo Turnone, figlio del Magnifico Nobile Donato Antonio e di Laura Blasi (tra i loro figli, importante fu il Signor Dottore Francesco Turnone, Sindaco di Martina tra il 1632 e il 1633); qualche anno più tardi, si incontrano Adelia d'Orimini (moglie di Marco Aurelio Desiati) e Donata Antonia d'Orimini (maritata a Giovanni Leonardo Barnaba). Il Magnifico Scipione fu Sindaco di Martina Franca dal 1° settembre 1646 al 31 agosto 1647 (sotto il suo sindacato avvennero i tumulti cittadini scoppiati in seguito alle vicissitudini della rivolta di Masaniello), mentre un altro Scipione, chierico e figlio di Giovanni Battista(14), sposò qualche anno prima Diana de Angelis (nata dal Dottor Giovanni Antonio e da Antonia Semeraro).


Martina Franca - Collegiata di San Martino

 


Atto notarile (11-04-1633), rogato a Martina Franca dal Notaio Donato Antonio Caramia, in cui compaiono i nomi di Scipio “de Orimini”, di sua moglie Diana de Angelis e dei genitori di lei (il quondam Dottor Giovanni Antonio e Antonia Semeraro).

Tra la seconda metà del Seicento e il primo Settecento risultano attestati in città il Chierico Francesco Orimini, poi sacerdote della Collegiata di San Martino; il Magnifico Bartolomeo Orimini, Dottore in Legge e Governatore della Confraternita dell’Immacolata dei Nobili in Martina Franca; l’ecclesiastico Stefano Maria Orimini, Padre certosino e confratello di quest’ultima; il Chierico Giovanni Antonio Orimini; l’Illustrissimo Rev. D. Scipione Antonio Orimini, Dottore, Abate e Canonico della Collegiata di San Martino, figlio del Magnifico Giovanni Antonio e di Penelope Piccoli; il Signor Lorenzo Orimini, fratello del precedente; e l’Illustrissima Donna Anna Antonia Orimini, sorella di Scipione Antonio e Lorenzo, appellata “Magnifica” e moglie del Tenente Vito Antonio Blasi. Nel 1726, Anna Antonia divenne Baronessa di Luogosano dopo aver comprato detto feudo per 26454 ducati dagli eredi di Diomede Carafa d’Aragona e da Nicola, Principe di Gesualdo e Marchese di Santo Stefano; già nel 1729, comunque, la nobildonna lo vendette per 60000 ducati a Francesco Pedicini, Patrizio di Benevento. Nel 1730 Anna Antonia acquistò il feudo di Statte dal Marchese Francesco Marulli, cedendolo sul finire dello stesso anno a suo figlio Francesco Blasi [il quale divenne in tal maniera Barone di Statte (15)]. Ultimo personaggio di spicco del Casato a Martina Franca fu il Magnifico Antonio Orimini, il quale verso il 1730 commissionò una statua in pietra policroma di San Francesco di Paola nella omonima Chiesa convenutale.


Documento conservato presso l’Archivio della Basilica di San Martino (Martina Franca) in cui compaiono i nomi dell’Illustrissima
D. Baronessa Anna Orimini e dell’Illustrissimo D. Canonico Scipione Orimini suo fratello.

IL RITORNO A NAPOLI E L’ESTINZIONE DELLA CASATA

Dopo aver prosperato in Terra di Puglia, la Famiglia si estinse a Lecce nel Cinquecento e a Martina Franca prima degli inizi dell’Ottocento. Nel 1734 era nel frattempo tornato nella città dei propri avi D. Lorenzo d'Orimini, brindisino; particolarmente degno di nota fu suo figlio Antonio d'Orimini, anch’egli nato a Brindisi. Nobile napoletano, Patrizio brindisino, Giureconsulto e poeta, dopo la laurea in Legge esercitò l’avvocatura nella capitale partenopea; nominato Consultore, pubblicò a Napoli nel 1747 l’importante Delle Arti e Scienze tutte dividate nella Giurisprudenza, dedicato all’Accademia di Parigi. Le poesie di Antonio sono presenti nella Colonia Aletina (cui era ascritto sotto il nome di Orminio) e nella sua opera Raccolta fatta in morte del Caporuota Antonio Magiocco (Napoli, 1749). Anche suo figlio Pietro d'Orimini “degli antichi signori del Gaudo(16)” fu Giureconsulto e poeta: tra le sue Poesie (edite a Napoli nel 1771) ricordiamo Nella eruttazione della Montagna di Somma del 1767(17). Tuttavia, anche in questo caso non si avranno più notizie circa una Famiglia di tal nome già a partire dal secolo successivo, quando in molte opere bibliografiche se ne parlerà come di una Casata estinta nel Seggio dei Cimbri.   

In quasi otto secoli di storia, la Famiglia Orimini si è distinta nelle armi, nelle scienze, nelle dignità della Chiesa, nelle illustri parentele contratte con le più nobili Famiglie del Regno: tracce della sua memoria si ritrovano ancor oggi a Napoli, ma anche in Terra di Puglia, ove esistono ancora una Masseria Orimini (costruzione fortificata con lunghe garitte di forma circolare e comprendente molti trulli) nei pressi di Crispiano e il cosiddetto Bosco Orimini, suggestiva distesa boschiva di leccio d’alto fusto facente parte del patrimonio naturalistico della Valle d’Itria e costituente l’antica strada che congiungeva Martina Franca a Taranto: area protetta nota anche per via di misteriosi fenomeni paranormali intorno ai quali si è più volte soffermato l’immaginario collettivo della popolazione della zona.


Masseria Orimini (Crispiano).
http://www.perieghesis.it/Atlante%20masserie/photos/Orimini.html


Scorcio di Bosco Orimini (Martina Franca).
 

Per la genealogia si consiglia di consultare le tavole genealogiche redatte da Serra di Gerace.

 

FONTI BIBLIOGRAFICHE

- Carlo Cerbone, Domenico De Stelleopardis, Afragola feudale: per una storia degli insediamenti rurali del napoletano, Istituto di Studi Atellani, 2004;

- Matteo Camera, Annali delle Due Sicilie dall’origine e fondazione della monarchia fino a tutto il Regno dell’Augusto Sovrano Carlo III. Borbone, volume 2, Fibreno, 1860;

- Federigo Furchheim, a cura di, Bibliografia del Vesuvio: compilata e corredata di note critiche estratte dai più autorevoli scrittori vesuviani, Cambridge University Press, 2011;

- Piero Marinò, Nicola Marturano, Civiltà del Barocco a Martina Franca, Schena Editore, 1996;

- Anonimo, Collezione di tutti i poemi in lingua Napoletana, Edizione 17, G. M. Porcelli, 1787;

- D. Antonio d’Orimini, Delle arti e scienze tutte divisate nella giurisprudenza, Per S. Porsile regio stampatore, 1747;

- Francesco de Pietri, Dell’historia napoletana, Nella Stampa di G. D. Montanaro, 1634;

- Camillo Tutini, Dell’origine, e fundation de seggi di Napoli, del tempo in che furono instituiti, e della separation dé nobili dal popolo, … ; Del supplemento al Terminio, oue si aggiungono alcune famiglie tralasciate da esso alla sua apologia, & Della varieta della fortuna confermata con la caduta di molte famiglie del regno, Appresso il Beltrano, 1644;

- Carlo de Lellis, Domenico Conforto,  Discorsi postumi del Signor Lellis di alcune poche Nobili Famiglie: con l’annotattioni in esse, e supplemento di altri discorsi genealogici di Famiglie Nobili della Città, e Regno di Napoli, del Dottor Signor Domenico Conforto, Gramignani, 1701;

- Francesco Casotti, Sigismondo Castromediano, Luigi De Simone,Luigi Maggiulli, Dizionario Biografico degli Uomini Illustri di Terra d’Otranto (a cura di Gianni Donno, Alessandra Antonucci, Loredana Pellè, introduzioni di Gianni Donno, Donato Valli, Ennio Bonea, Alessandro Laporta), Piero Lacaita Editore, 1999;

- Carlo de Lellis, Famiglie nobili del regno di Napoli, volume 1, Forni, 1654;

- Angelo Di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, volume 2, Fontana, 1832;

- Giovanni Liuzzi, La Confraternita dell’Immacolata dei Nobili in Martina Franca, Schena Editore, 2000;

- Pierroberto Scaramella, Le lettere della Congregazione del Sant’Ufficio ai tribunali di fede di Napoli 1563-1625, Università di Trieste, 2002;

- Giovanna Petti Balbi, Giovanni Vitolo (a cura di), Linguaggi e pratiche del potere: Genova e il Regno di Napoli tra Medioevo ed età moderna, Laveglia, 2007;

- Annamaria Facchiano, Monasteri femminili e nobiltà a Napoli tra Medioevo ed Età moderna: il necrologio di S. Patrizia (secc. XII-XVI), Ed. Studi Storici Meridionali, 1992;

- Rosalba Di Meglio, Ordini mendicanti, monarchia e dinamiche politico-sociali nella Napoli dei secoli XIII-XV, Aonia Edizioni, 2013;

- Francesco Capecelatro, Origine della Città, e delle Famiglie Nobili di Napoli: 2,2, Gravier, 1769;

- Alessandra Perriccioli Saggese, voce Orimina, Cristoforo, in Dizionario biografico degli italiani, volume 79, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2013;

- A. Cofano, Storia antifeudale della Franca Martina, Schena Editore, 1977;

- Bruno Pellegrino, Maria Marcella Rizzo, Benedetto Vetere, Storia di Lecce: dai Bizantini agli Aragonesi, Laterza, 1993;

- M. Pizzigallo, Uomini e vicende di Martina, Schena Editore, 1986.

____________________
Note:
1) - L’emblema è rappresentato in uno stemmario del XVII secolo comprendente gli Stemmi di buona parte della Famiglie Nobili del Regno partenopeo, conservato presso la Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele II” di Napoli (sezione Manoscritti e Rari, coll. X.A.42, f. 22 verso). Anche Francesco de Pietri, nella sua opera Dell’historia napoletana (Nella Stampa di G. D. Montanaro, 1634, p. 107), conferma il fatto che gli Orimini innalzassero uno Stemma presentante bande «vermiglie […] e argentee». 

2) - Il cognome si trova attestato anche nelle forme (de) Aurimina, (de) Orimina, Orimine, de Aurimmino, de Orimmino; in considerazione della sua  rarità e in vista dei puntuali riscontri storiografici riguardanti i vari membri della Casata, è estremamente improbabile che possa trattarsi di Famiglie diverse. A Gragnano risulta tuttavia attestata ab antiquo una famiglia Orimini, la cui connessione genealogica con la nobile schiatta napoletana è ancor oggi oscura. 

3) - D. Antonio d’Orimini, Delle arti e scienze tutte divisate nella giurisprudenza, Per S. Porsile regio stampatore 1747, pp. 180-181.
4) - Intorno al VIII secolo sorsero a Napoli i monasteri dei Santi Marcellino e Pietro e dei Santi Festo e Desiderio, che si fusero dopo il 1564.

5) - Date le frequenti iterazioni dei nomi nelle Famiglie dell’epoca, non è semplice chiarire se si tratti di un unico membro della Casata o se piuttosto non ci si trovi di fronte a due parenti omonimi: cfr. Giovanna Petti Balbi, Giovanni Vitolo (a cura di), Linguaggi e pratiche del potere: Genova e il Regno di Napoli tra Medioevo ed età moderna, Laveglia, 2007, p. 340.   

6) - Matteo ottenne anche la gabella “auri pellis” di Napoli e nelle province di Terra di Lavoro e Principato; in cambio, cedette alcune case nelle vicinanze di Castelnuovo (San Sergio). “Auri pellis” sta per “orpello”, lega per ornamenti dal colore dorato costituita da rame e zinco.

7) - Il 28 maggio 1332, inoltre, D. Matteo riserverà alla nipote l’usufrutto di una bottega alla Loggia di Pisa, appena acquistata dai figli di suo fratello D. Pietro: cfr. Carlo Cerbone, Domenico De Stelleopardis, Afragola feudale: per una storia degli insediamenti rurali del napoletano, Istituto di Studi Atellani, 2004, p. 117.

8) - Camillo Tutini, Dell’origine, e fundation de seggi di Napoli, del tempo in che furono instituiti, e della separation dé nobili dal popolo, … ; Del supplemento al Terminio, oue si aggiungono alcune famiglie tralasciate da esso alla sua apologia, & Della varieta della fortuna confermata con la caduta di molte famiglie del regno, Appresso il Beltrano, 1644, p. 91.

9) - Ibidem.

10) - Pare inoltre che Tuccillo abbia venduto il Palazzo gentilizio della Famiglia, ubicato nei pressi del Seggio di Montagna: cfr. D. Antonio d’Orimini, op. cit. p. 181.

11) - Agnesella portò in dote al marito «l’antico palaggio de gli Orimini incontro il palaggio del Principe di Rocca Romana, nella stessa contrada di Montagna» (Carlo de Lellis, Famiglie nobili del regno di Napoli, volume 1, Forni, 1654, p. 317).

12) - Si ricorda che solo a Napoli il famigerato Tribunale dell'Inquisizione non mise piede e il Tribunale diocesano non aveva il potere di sottoporre a tortura gli inquisiti.

13) -“Utriusque Iuris Doctor”, ovvero “Dottore in ambo i diritti” (civile e canonico).

14) - Figura probabilmente coincidente con un Giovanni Battista Orimini iscritto alla Confraternita dell’Immacolata dei Nobili di Martina Franca negli anni Venti del Seicento.
15) - I Blasi ressero la cittadina pugliese sino agli inizi del XIX secolo.

16) - Federigo Furchheim, a cura di, Bibliografia del Vesuvio: compilata e corredata di note critiche estratte dai più autorevoli scrittori vesuviani, Cambridge University Press, 2011, p. 129.

17) - Ad Antonio d’Orimini e a suo figlio Pietro sono dedicati i seguenti versi, facenti parte del Ruotolo Decemo del diciassettesimo volume della Collezione di tutti i poemi in lingua Napoletana (Porcelli, 1787): «Ogne scienza tu ARIMENE, ed ogne arte / Nce muste dinto a la Giuresprudenza, / Ca va Sapienzia nchesse addotte carte / Sempe cchiù llà ddo mente omana penza; / L’Innie nove aje scopierto a pparte a pparte, / E d’ogne Tiesto l’arcequintassenza. / E quanto sbrenne, e ppe sso tuio consiglio, / E ppe ssapere chisso digno FIGLIO» (p. 113).


Continua nel sesto volume in preparazione di "LA STORIA DIETRO GLI SCUDI"

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