
Ovvero delle Famiglie
Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili
di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti
alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate
chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che
abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia.
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Famiglia
d'Aquino |
Armi:
la più antica: tre bande vermiglie in campo d'oro;
dal 1415: inquartato, nel 1° e 4°
bandato d'oro e di rosso (d’Aquino); nel 2° e 3° troncato
di rosso e d'argento (alias: troncato d'argento e di rosso) al
leone dell’uno nell’altro (del Borgo); sul tutto, sovente, viene
aggiunto il sole d'oro in ricordo di San Tommaso(1).
Motto: Bene Scripsisti de Me Thoma
Dimora: Napoli,
Cosenza, Tropea, Castiglione, San Mango d'Aquino. |

© Napoli - Stemma Famiglia d'Aquino |
L’antichissima e illustre famiglia d’Aquino, di
origini longobarde, è annoverata tra le Serenissime Sette Grandi
Case del Regno (Le famiglie d’Aquino, Acquaviva, del Balzo,
Celano, de Moliso, Sanseverino e Ruffo sono annoverate tra le
Serenissime Sette Grandi Case del Regno)
per aver contribuito in maniera determinante alla storia del
Meridione d’Italia, con i suoi grandi personaggi che hanno
ricoperto le più alte cariche in campo civile, militare ed
ecclesiastico.
Il capostipite, molto probabilmente, fu Radoaldo che possedette
la città di Aquino, in
Terra di Lavoro, verso la fine del IX secolo da cui,
successivamente Adenolfo (~997 † ~1022) prese il cognome; in
precedenza erano chiamati “Summicula”.
Da tempi antichissimi i d’Aquino sono stati conti, infatti già
dal 970 circa si hanno notizie di Adenolfo,
conte di Aquino e Pontecorvo.
Altro Adenolfo nel 1038 fu duca di
Gaeta.
Riccardo d’Aquino († 1197), figlio di Rinaldo Signore di Roccasecca, conte di Acerra, in
Provincia di Napoli,
valoroso cavaliere di re Tancredi fu fatto prigioniero
dall’imperatore
Enrico VI
di Svevia, morì a Capua dopo essere stato sottoposto ad orrende
torture. |

© Acerra (NA) -
Il castello con il fossato. Qui soggiornò Tancredi d'Altavilla
con la moglie Sibilla d'Acerra.
Nel 1251 da questo castello Manfredi, figlio naturale di
Federico II di Svevia, spedisce un importante
decreto
all’arcivescovo Cesario di Salerno. |
Tommaso (~1200 † 1251),
conte di Acerra, fu nominato da re
Federico II di
Svevia capitano e giustiziere della Terra di Lavoro; nel 1232 fu
vicerè di Sicilia e poi podestà di Cremona. Grazie ai suoi
numerosi viaggi in Oriente, imparò ad usare la polvere da sparo
che importò in Italia in grande quantità.
Capua (CE) fu sede del
Gran Priorato di Malta, il più antico del Regno di Napoli,
avocando a sé tutto il territorio eccetto le province di Otranto
e Bari (avocata dal Priorato di Barletta) sino al 1850, il cui
ufficio era nei pressi di palazzo
Lanza, una delle più antiche
famiglie patrizie della città. Nel 1236 Pirro d’Aquino fu il
primo Priore di Capua.
Altro Tommaso († 1273),
conte di Acerra e
Loreto, Signore di Sarno,
Marigliano e Ottaiano, nel 1247 sposò Margherita, figlia
naturale di re Federico II di Svevia, ed era cognato di
re Manfredi che
morì nella
battaglia di
Benevento del 1261. Nel 1249 fu nominato Capitano del ducato
di Spoleto. Regalò alla moglie il castello fatto costruire nel
feudo di Cancello, ove spesso soggiornò l’imperatore.
San Tommaso d’Aquino
(Roccasecca, 1225 † Fossanova, 1274), figlio del conte Landolfo
feudatario di Roccasecca e di Teodora di Napoli probabile nipote
di Federico Barbarossa, alla tenera età di cinque anni fu
inviato nell’abazia di Montecassino, destinataria di numerose e
continue donazioni, per intraprendere i primi studi. |

© Napoli - San Tommaso d'Aquino |
A quattordici continuò gli studi a Napoli presso
il convento di San Domenico Maggiore ove fu affascinato dalla
filosofia aristotelica e maturò l’idea di farsi frate. Fu
contrastato dalla famiglia che lo tenne prigioniero per un anno
nell’avito castello di Monte San Giovanni Campano; fu liberato
dall’intervento di papa Innocenzo IV ed iniziò a viaggiare, per
approfondire gli studi: Napoli, Roma, Parigi e Colonia. Fu
soprannominato il “bue muto” per la corporatura e il carattere
taciturno; il suo mastro Alberto Magno, dopo un raro ma
entusiastico intervento di Tommaso durante una discussione,
esclamò: “Quello che voi chiamate bue muto un giorno muggirà
così forte che lo sentiranno in tutto il mondo”. E così fu.
A trent’anni fu nominato Magister in
teologia; scrisse molti libri tra cui “Summa contro gentiles” e
“Summa thelogiae”, divenne il più grande filosofo del suo
secolo. |
Ritornò a Napoli ove trascorse il resto della vita insegnando
l’ontologia; morì il 7 marzo 1274 a Fossanova mentre si stava
recando al Concilio di Lione. Papa Giovanni XXII lo proclamò
santo e, a coloro che obiettarono la mancanza di miracoli, così
rispose: “Quante preposizioni teologiche scrisse, tanti
miracoli fece”. In Napoli, accanto alla
cappella della Natività,
è scolpito il suo busto. |

© Napoli - Busto di San Tommaso
d'Aquino - Gesù Cristo gli domanda:
“Bene scripsisti de me, Thoma; quam ergo mercedem
recipies?” E il santo rispose: “Non aliam nisi te”
(Tommaso, tu hai scritto bene di me, che ricompensa vuoi? Niente
altro che te, Signore)
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Tropea, Palazzo d'Aquino, poi
Galluppi, androne,
stemma sulla volta. A destra: stemma d'Aquino con inciso il
motto |
Cosenza, Complesso Monumentale di
San Domenico,
Cappella di San Matteo, tela raffigurante San Tommaso. A destra:
particolare dello stemma d'Aquino, dipinto sulla tela
raffigurante San Tommaso, commissionata dalla famiglia |
Cristoforo (†
1298), cavaliere di re
Carlo II
d’Angiò, nel 1294 fu insignito del titolo di
conte di Ascoli; sposò
Margherita
de Sangro.
Margherita († 1328)
fu l’amante di
re Roberto II di Napoli.
Giovanni Boccaccio, durante il suo soggiorno a Napoli, si
innamorò di Maria d'Aquino, figlia naturale di re Roberto, che
l'immortalò nel suo Decamerone col nome di Fiammetta. |
© Napoli - Monumento di
Cristoforo (†1342)
e Tommaso d'Aquino (†1357), conte di Belcastro. A destra:
la prima arma dei d'Aquino |
Giovanna d'Aquino (†
1343), contessa di Mileto e
Terranova, sposò Ruggiero
Sanseverino; fu sepolta nella cappella gentilizia
della sua famiglia. Sotto il baldacchino vi è il sepolcro
cinquecentesco di
Gaspare d'Aquino, figlio di
Landolfo e di
Colella della Marra. |
© Napoli - Monumento di Giovanna
d'Aquino (†1343).
A destra: stemma
partito d'Aquino - della Marra |

Arca di Bernardo d'Aquino (†
1345), chiesa
longobarda di Santa Maria la Strada in agro di Matrice, a pochi
Km di Campobasso
Si ringrazia il collaboratore Aniello Gatta per aver inviato le
immagini |
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Francesco d’Aquino († 1450),
conte di Loreto e di Satriano, nel 1415 sposò Giovannella del
Borgo, figlia ed erede di Cecco marchese di Pescara e conte di
Monteorisio; nel 1438 e nel 1442 fu rispettivamente
Gran Siniscalco e Camerlengo del
Regno di Napoli. Ebbero Berardo Gaspare († 1461) che fu
marchese di Pescara e
conte di Loreto e di
Monteodorisio; nel 1444 sposò
Beatrice
Gaetani dei Signori di
Sermoneta.
Il titolo di marchese di Pescara passò in casa
d’Alavos quando
Antonella
d’Aquino(† Napoli, 1493), marchesa di Pescara, nel 1450 sposò Inigo d’Avalos († 1483).
Giulio
d’Anna
(Caserta, † 1527), patrizio napoletano, U.J.D, acquisì da
Ladislao
d’Aquino, 2° marchese di Corato, i diritti feudali delle
Signorie di Grottaminarda, Rocchetto e Pomigliano d’Arco con
Regio Assenso convalidato dal Vicerè Ugo de Moncada.
I d'Aquino, marchesi di Corato, ebbero il feudo di
di Flumeri, in
Principato
Ultra, che appartenne
nel 1507 a
Consalvo di Cordova,
il Gran Capitano; nel 1624 il feudo pervenne a Giovan
Battista
de Ponte, il cui figlio Trifone ottenne il titolo di duca di Flumeri.
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I D’Aquino si diramarono in molte zone del
Meridione, tra cui Benevento, Tropea e Cosenza ove possedettero
vari feudi e titoli (baroni di Castiglione,
principi del S.R.I., di Castiglione,
Pietralcina, Crucoli, Pescolamazza e Feroleto, conti di
Belcastro, Martorano e Nicastro; gli storici concordano
nell’affermare che la linea calabrese discende dall’illustre
casata napoletana che ebbe origini da ATENOLFO,
principe di Capua.
La famiglia d’Aquino di
Caramanico discende dai nobili di Taranto.
FRANCESCO d’Aquino
(1534 † 1621), patrizio di Benevento e nobile di Taranto, si
trasferì a Napoli nel 1550 circa.
In pochi anni, grazie alla sue capacità imprenditoriali
e commerciali, accumulò enormi ricchezze; sposò, in prime nozze,
Giovanna
Pagano e nel 1595, in seconde nozze, Giovanna Nastaro.
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© Napoli - palazzo appartenuto alla
famiglia
d'Aquino dei principi di Castiglione sino al 1698 |
Per volontà testamentaria del 1621 il figlio
Bartolomeo (Napoli, 1609 † ivi, 1658) dovette continuare
l’attività del padre e, in particolar modo con la compravendita
del grano, diventò uno degli uomini più ricchi del Regno. Nel
maggio del 1637 comprò i feudi di Casarano e Casaranello, in
Terra d’Otranto,
e nel 1640 acquistò dalla famiglia
de Capua
dei principi di Conca, la terra di Caramanico in provincia
d’Abruzzo. Alla fine dello stesso anno sposò Barbara
Stampa (1621 † 1691, figlia del marchese di Soncino;
i coniugi vissero
prevalentemente nel monumentale palazzo di Pizzofalcone,
riccamente arredato tanto da suscitare ammirazione e invidia da
parte dell’allora vicerè di Napoli, Ramiro Felipe Nunez de Guzman (1637-1644), duca di Medina
de las Torres.
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Nel 1641
Filippo IV
d’Asburgo-Spagna gli conferì il titolo di
principe di Caramanico e lo
nominò tesoriere del vicerè
Manuel de Zunica y Fonseca (1631-1637),
conte di Monterey, col compito di esigere le tasse per
finanziare la corona spagnola.
Concesse numerosi e cospicui prestiti al re
iberico tanto è vero che la
Camera della Sommaria
gli riconobbe un credito di cinquecentomila ducati d’oro;
nonostante ciò, fu inviato a Napoli un funzionario di corte, che
falsificando documenti, lo accusò di frode e lo fece
imprigionare in Castel dell’Ovo col segreto scopo di estorcere
altro denaro per soddisfare la sempre crescente cupidigia della
Spagna, che impoveriva la popolazione con tasse e gabelle di
ogni genere; il malcontento e la rabbia esplose con la rivolta
di Masaniello nel 1641.
Molte furono le opere di beneficenza: la
chiesa di Santa Maria degli Angeli alle Croci in Napoli
fu costruita grazie ad una sua cospicua donazione; donò uno dei
suoi tanti edifici per ospitare le giovani donne scampate
all’eruzione del Vesuvio del 1631.
Rese l’anima a Dio il 23 febbraio 1658 lasciando agli eredi una
immensa fortuna. |

© Napoli -
Chiesa di
Santa Maria
degli Angeli alle Croci |
Il fratello Tommaso († 1662) comprò il feudo di Casoli e nel 1645
fu insignito del titolo di duca di
Casoli. |
© Napoli - Cappela d'Aquino,
duchi di Casola. A destra: stemma d'Aquino |
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Cesare
(Napoli,1615 † ivi, 1668) nel 1632 alla morte del padre
Giovanni, ereditò il titolo di principe di Pietralcina; nel
1651 sposò Giovanna Battista d’Aquino,
principessa di Castiglione e nel 1664 fu iscritto al Patriziato napoletano del
Seggio Porto.
Nel 1638 Landolfo e Giovanni d'Aquino
furono i fondatori,
insieme ad altri 36 cavalieri Napoletani, tra cui Tommaso
Filangieri, Scipione
Filomarino,
Carlo
Dentice delle Stelle,
Placido Dentice del Pesce
e altri, del MONTE GRANDE DE’ MARITAGGI di Napoli,
istituzione benefica con lo scopo di assicurare una
cospicua dote alle fanciulle aristocratiche che si sposavano(2).
Tommaso d’Aquino (n. Reggio Calabria, 1669
†
Napoli, 1721), patrizio napoletano, principe di Castiglione,
di Santo Mango e di Feroleto, conte
di Martorano e di Nicastro, nel 1702 fu nominato Capitano
Generale della cavalleria del Regno di Napoli, Cavaliere
della Chiave d’Oro(3)
e Grande di Spagna di prima classe; impalmò a Napoli nel 1687 la
principessa Fulvia Pico. |

© Tommaso d'Aquino, Principe di
Feroleto |
Alla morte di Vincenza Maria
d’Aquino (n. Napoli 15-12-1734
† ivi, 8-10-1799), principessa
di Feroleto dal 1737, 7° Principessa di Castiglione, 8°
Principessa di Santo Mango, 2° Duchessa di Nicastro, 8° contessa
di Martorano, Signora di Falerna, Motta Santa Lucia, Sanbiase,
Serrastretta, Turboli, Zagarise, tutti i feudi e i titoli
passarono alla famiglia
Monforte. |

© Ritratto del Vescovo Tommaso
d'Aquino |
Tommaso
d'Aquino fu Vescovo di Vico Equense dal 1700 al 1732; durante il
suo governo promosse l'istruzione religiosa, fece ricostruire le
chiese dei SS. Ciro e Giovanni e della SS. Trinità.
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© Napoli - Palazzo d'Aquino di
Caramanico |
Francesco Maria Venanzio (Napoli, 1738 † 1795),
figlio di Antonio e Ippolita
Pignatelli dei principi di
Monteroduni, nel 1775 alla morte del padre ereditò i titoli
di principe di Caramanico, duca di Casoli, marchese di
Francolise e conte di Polena; fu cavaliere d’onore e devozione
del S.O.M. di Malta e del
Real Ordine di San Gennaro, ufficiale
del reggimento dei Liparioti.
Nel 1767 sposò Vittoria
de Guevara
figlia di Giovanni Maria duca di Bovino; nel 1769
fu Gran Maestro della Massoneria Napoletana
Les Zelés, composta da 74 affiliati, per lo più nobili, fra i
quali figura anche
Cesare
Pignatelli, duca di San Demetrio e della Rocca, oltre ad
intellettuali prestigiosi come Domenico Cirillo e Francantonio
Grimaldi.
Fu precettore di
re Ferdinando IV di
Borbone, lo nominò nel 1786 vicerè di Sicilia.
Uomo di grande cultura, è ricordato per aver, tra l’altro, a
Napoli rafforzato l’Osservatorio Astronomico e ampliato l’Orto
Botanico; finanziò l’opera di Vincenzo Lunardi che, per la prima
volta in Italia, sperimentò con successo l’ascensione aereostatica. |
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Napoli - l'Orto Botanico. A destra: l'Osservatorio Astronomico |
Francesco Gaetano (Napoli, 1659 † ivi, 1735),
figlio di Don Giacomo († 1689) e di Laura del Tufo dei marchesi
di Matino, duca di Casoli alla morte del padre, nel 1713 fu
decorato col titolo di marchese di
Francolise; nel 1725 divenne patrizio napoletano e fu
ascritto al
Seggio di
Portanova.
Nel 1800, dopo la soppressione dei Sedili, la
famiglia d’Aquino fu ascritta nel Libro d’Oro napoletano.
Nel 1729 acquisì anche il titolo di
conte di Polena.
Tommaso Landolfo (1768
†
?), principe di Caramanico, duca di Casoli, marchese di
Francolise e conte di Polena dal 1795, patrizio napoletano,
sposò nel
1786, in prime nozze, Maria Fausta
Doria, figlia di Giovanni Carlo
principe d’Angri e di Donna Giovanna
Pappacoda dei Principi di Centola;
nel
1799 sposò, in seconde nozze, Teresa Lembo († 1821).
Il principe di Caramanico abitò prevalentemente in S. Giorgio a
Cremano (NA) nell'imponente villa, oggi denominata Vannucchi,
divenuta all'epoca famosa per le sfarzose feste; salotto ambito
per la presenza di numerosi artisti, intellettuali e poeti.
Con Regie Lettere Patenti del 18.6.1911
ai d’Aquino pervennero, per successione casa
de Sangro, i titoli di
principe di San Severo,
principe di Castelnuovo,
duca di Torremaggiore e
marchese di Castelnuovo.
Il
Conte Don Alessandro
d’Aquino di
Caramanico è attualmente uno dei componenti
della
Deputazione
della Cappella del Tesoro di San Gennaro. |

© San Giorgio a Cremano (NA) - la
villa fatta
costruire dal Tommaso Landolfo d'Aquino, principe di Caramanico |

© San Giorgio a Cremano (NA) - un
lato della villa dei principi di Caramanico |
Nel 1775
Giacomo d'Aquino di Caramanico, gentiluomo di camera del Re,
acquistò dai discendenti di Giovanni Battista Imparato due
complessi edilizi, una casa paliziata e un "casino fatto alla
romana", lungo l'antica via Teglie. La villa, oggi denominata
Vannucci, ebbe il suo massimo splendore durante di periodo di re
Gioacchino Murat,
con il detto principe Tommaso d'Aquino e la consorte Teresa
Lembo, nipote del Murat.
La villa fu poi acquistata dal conte Lorenzo Van Den Henvel e
nel 1912 passò alla famiglia Vannucchi. |

Busto di Carolina d’Aquino (n. 1848 †
20.5.1874), figlia di Tommaso
principe di Caramanico,
principessa di Montesarchio e d’Ardore, moglie del
principe Francesco M.
Milano. |
Michele d’Aquino (1854
†
1918), 14° principe di Caramanico, 11° duca di Casoli,
9° marchese di Francolise, 9° conte di Polena, Patrizio
Napoletano, Patrizio di Benevento e Nobile di Taranto,
figlio di Tommaso Enrico (1820
†
1868) e Teresa
di
Sangro dei Principi di Sansevero (1827
†
1887). Tutti i titoli di casa Sansevero poi passarono al
figlio Michele, fratello di Maria d’Aquino,
con
le già citate Regie Lettere Patenti del 18.6.1911.
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Il principe Michele d'Aquino
(1854
†
1918)
Per gentile concessione del Dr. Piero
Telesio di Toritto |
Il principe Michele d'Aquino
(1854
†
1918) era lo zio della nobildonna Enrica
Caravita.
Per via di Teresa di Sangro i
Telesio
ereditarono la Cappella Sansevero in Napoli con il famoso Cristo
Velato e le altre stupende opere. Questa cappella non fu mai
divisa e passò in eredità comune a tutti i discendenti di Teresa
di Sangro. Nel 1968 Giuseppe e Bernardino Telesio, fecero atto
di formale rinuncia a questa proprietà in favore degli eredi
d’Aquino. |
Napoli, altro palazzo appartenuto
ai d'Aquino di Caramanico |
________________
Note:
1) -
Libro d'Oro Napoletano - Archivio di Stato di Napoli - Sezione
Diplomatica.
2) -
Istituirono il Monte Grande de’ Maritaggi 38
nobili, essi furono: Tommaso (detto anche Giovan Tommaso)
Filangieri figlio di Luigi barone di San Lorenzo e Filetto dei
duchi di Laurino, Scipione Filomarino Mastro di Campo, Carlo
Dentice delle Stelle, Pacido Dentice del Pesce, Carlo Cavaniglia
marchese di San Marco, Landolfo d'Aquino, Giovanni d'Aquino,
Alfonso del Doce duca di Cufriano, Giulio Caracciolo, Carlo
Andrea Caracciolo marchese di Torrecuso, Ettore Caracciolo
marchese di Barasciano, Giovan Francesco Caracciolo, Giuseppe
Caracciolo principe di Torella, Marcantonio Carafa, Carlo della
Leonessa principe di Sepino, Donato Coppola duca di Cassano,
Fabrizio de Silva, Federico Pappacoda marchese di Pisciotta,
Orazio di Gennaro, Francesco Galluccio, Ottavio Guindazzo,
Giovan Battista Brancaccio di Cesare, Ferrante Brancaccio di
Rinaldo principe di Ruffano, Paolo Marchese marchese di Camarota,
Giovan Francesco di Sangro principe di Sansevero, Scipione di
Sangro duca di Casacalenda, Giovan Battista di Sangro principe
di Viggiano, Goffredo Morra marchese di Monterocchetta e
Principe di Morra, Vincenzo Mora, Ottavio Monaco, il Consigliere
Tommaso de Franchis, Andrea de Franchis marchese di Taviano,
Francesco Maria di Somma, Carlo Spinello principe di Tarsia,
Giovan Battista Pisanello, Antonio Castigliar marchese di Grumo,
Orazio Suardo e Vincenzo del Tufo.
3) -
Emanuel de Benavides y Aragona, conte di San Esteban
(italianizzato divenne Santo Stefano), vicerè di Napoli, nominò
115 gentiluomini d'onore per il Re, 50 dei quali potevano
entrare ovunque nel palazzo e avevano come simbolo una chiave
d'oro, mentre gli altri non potevano entrare oltre la quarta
anticamera. |
Continua nel sesto
volume in preparazione di "LA STORIA DIETRO
GLI SCUDI"
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