
Ovvero delle Famiglie
Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili
di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti
alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate
chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che
abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia.
|
 |
Famiglia
Suriano |
-
Parte prima -
A cura del Conte don Pietro Giovanni Suriano |
Arma:
ramo di Sicilia: d'oro, alle tre sbarre cucite
d'argento;
ramo di Calabria: di verde, alla fascia d'azzurro
accompagnata in capo da due pali d'argento e in punta da
due bande dello stesso.
Motto:
Servus Dei Presidium populi. |

Stemma inquartato con le
armi
della Casata Suriano di Piazza Armerina e Suriano Ralles
di Crotone, pregevole opera in ceramica calatina
del Maestro Liguori, una copia dell’arma, sempre del
Maestro Liguori, è visibile presso uno dei più antichi
circoli dell’Unione in Italia:
Circolo dell’Unione e
della Cultura di Piazza Armerina. |
Le origini della "Camara tra storia e leggenda" |
Le origini della "Camara" dei Suriano,
ovvero della casata, sono assai vetuste e fanno riferimento ad
una stirpe denominata de Soria, che possedeva vastissimi
territori sia a Cihuela che a Esteras de Medinaceli, molto
vicini a Soria, città antica del Léon posta a 1200 metri, famosa
per la resistenza che sollevò all’occupazione romana. La casata
era composta da una famiglia molto numerosa ed unita,
ricchissima, che abitava una Aldea (borgo fortificato) in
Cihuela, permettendosi pure la possibilità di mantenere una
compagine di uomini in arme. Sin dall’inizio furono fedeli
sudditi dei sovrani del Léon da cui ottennero la nobiltà de
Hidalgos. L’arma che li distingueva era al campo d’oro con una
sbarra d’argento cucita. Ciò avveniva attorno all'anno 900 d.C.
Ma notizie più certe, legate alla tradizione familiare, indicano
come vero fondatore della dinastia: Don José de Soria,
che lasciata ai suoi familiari la gestione dei vasti feudi
posseduti, si dedicò alla ventura delle armi prestando la sua
notevole abilità di cavaliere e stratega al re del Léon don
Alfonso VI che avrebbe riunito i regni paterni di Castiglia,
Léon e Galizia, divisi dopo la morte del padre, per volontà
della moglie, equamente ai tre fratelli nel 1065. La guerra
fratricida condotta soprattutto contro don Sancho II, cui s’era
alleato il famosissimo condottiero Rodrigo Diaz de Bivar (o
Vivar) meglio conosciuto come el “Cid”, fu alfine vinta nel 1073
da Alfonso VI. Ciò andò in merito a don José de Soria, che pare
avesse salvato proprio il re Alfonso da una improvvisa sortita
degli uomini del Cid, cangiando le sorti della battaglia finale.
Don Josè divenne rico Hombre de
Fuero del Léon e come Barones
del regno partecipò in seguito alla crociata dei nobili detta
appunto dei baroni nel 1099, che giunse in soccorso alla prima
crociata detta dei “pezzenti”. Don Josè acquistò invidiabili
meriti e vestì la croce dei
Cavalieri del Santo Sepolcro, ottenendo anche numerose terre
in Palestina e per tale motivo che pare fu avviata la tradizione
nei rami delle varie successioni dei Suriano a servire
Cristo sotto la veste dei Cavalieri Gerosolimitani. Don José
divenne famoso in tutti i regni di Spagna e soprattutto in
Aragona, dove i suoi successori si trasferirono definitivamente
già agli inizi del 1200, gli uomini d’arme della casata, molto
abili condottieri, entrarono nella leggenda per le loro gesta
specie quelle riportate nella guerra del Léon e nelle battaglie
in Palestina, furono denominati los “Sorianos” dal
cognome del loro condottiero. Successivamente tale denominazione
degli uomini d’arme della casata doveva divenirne poi il cognome
definitivo, prima Soriano e poi definitivamente Suriano quando
giunsero in Sicilia a seguito dell’inflessione dialettale.
Regnando don Pietro III di Aragona e I
di Sicilia, Don Juan de’
(1) Suriano a ragione del valore delle sue
armi e quale barone del Regno, fu invitato dal sovrano ad unirsi
alle armate aragonesi inviate in soccorso dell'aiuto richiesto
dai siciliani al re aragonese, dopo la cruenta rivolta isolana
meglio nota come i Vespri siciliani del 1282 contro l'arrogante
occupazione angioina. |

La Flotta angioina all'assedio di
Messina |
Don Juan Suriano già barone del regno d'Aragona con la dignità
di rico hombre de senera y Fuero de Aragon, così venivano
indicati i barones maggiori o del regno, rispose ben presto al
richiamo del re d'Aragona e con le sue truppe d'origine
catalana, una volta sbarcato in Sicilia, nei pressi della grande
città di Palermo, si diresse verso Piazza Armerina strategica
roccaforte allora conosciuta come Platea o Plutia, divenuta
Plaza in lingua spagnola. Presidiò con la sua armata le
scorrerie degli
Angiò controllando così la Sicilia centrale fino
al mare di Gela: da Castrogiovanni (attuale Enna) a
Caltanissetta e da li fino a Gela attraverso le valli
dell’omonimo fiume e sino a Caltagirone importantissima
roccaforte della resistenza della compagine latina, alleata
degli Angiò, insieme ad Aidone e Assoro e tutta la valle del
Dittaino. |

Sciabola da cavalleria araba, detta
comunemente scimitarra, donata a Don Juan III Suriano,
Primo Gran Priore dei
Gerosolimitani, dall’emiro arabo Alì Ibn Yussuf
discendente del Saladino e Principe di Damasco. |
Giuramento di Fedeltà di don Antonio Andrea Suriano, del
ramo di Castrogiovanni |
Regnando Don Giovanni II d’Aragona e
succeduto a
Alfonso V d’Aragona deceduto nel 1458, tutti i
baroni del regno dovettero prestare nuovo giuramento di
fedeltà e di successione alla investitura precedente
ricevuta, così avviene per tutti i baroni vassalli dei
feudi del regno. In questo caso don Antonio Andrea
Suriano, del ramo di Castrogiovanni, presta giuramento
di fedeltà al Re in presenza del Signor Viceré ove aveva
in precedenza prestato giuramento il capo della Casata
don Angelo Achille in qualità di barone del Regno
nella sede del palazzo proprio a Calascibetta, posta a
ridosso di Castrogiovanni. Il documento sotto risportato
mostra l’importanza dell’investitura quale
imprescindibile rinnovo di fiducia del Re verso i
vassalli insieme a molte altre cose tra le quali
possiamo notare la qualifica sovrana del barone con
diritto di mero e misto impero ossia: serenissimo
barone. Tale aggettivo superlativo poneva il barone
nelle vesti di sovranità reale presso il feudo o la
marca o qualsivoglia concessione feudale, in completa
autonomia, non a caso viene rimarcata la parola di
origine germanica: Baro e non barones, che in quella
antica lingua alana significava principe affrancato
dalle leggi, ossia in poche parole: sovrano, poiché lui
stesso emanatore di leggi. Il titolo di barones è
successivo di qualche secolo, propriamente utilizzato in
sostituzione, quando finite le dispute baronali un po’
in tutta Europa si iniziò un lungo processo di autonomia
delle signorie e dei comuni, che affrancandosi in toto
od in parte dalle sovranità dell’impero o dei regni
cominciarono a utilizzare i vari mandati sovrani come
puri e semplici titoli di nobiltà. In sintesi nel
medioevo il titolo di barone era collegato a quello di
sovranità deputata dall’Imperatore o dal Re e sovente se
non quasi sempre accompagnata da un titolo nobiliare a
seconda della vicinanza o meno alla reale casata ed alle
concessioni feudali affidate in vassallaggio. |
 |
160.
[1459, maggio 31, indizioneVII, Calascibetta]
[f.38v] - Eodem
Antonius Andrea Suriano in presencia illustris domini
viceregis
personaliter constitutus tactis sacrosanctis scripturis
iuramentum
fidelitatis ac ligium et homagium manibus et ore
comendatum
iuxta pragmaticarum et constitucionum regni continenciam
et
tenorem quod erit fidelis servitor vassallus et baro
serenissimo
domino nostro regi et heredibus et successoribus suis in
hoc regno
ac promisit fidelitatem secundum formam iuris pro pheudo
de
Ramulsuru in manibus dicti domini viceregis prestitit et
tribuit,
presentibus supradictis testibus.
v. anche Canc. 100, f. 107v.
Sul margine sinistro di altra mano:
Pro Antonio Andrea Suriano feudum Ramulsuru.
Nel secondo foglio la notifica ufficiale dell’avvenuta
investitura |
Piazza Armerina e la Sicilia nuova patria
dei Suriano |
Piazza Armerina è molto vicina alla attuale
Enna,
florida e strategica città posta nel cuore di Sicilia,
che grazie alla sua posizione geografica favorevole,
controllava le vastissime coltivazioni di grano e di
cereali nonché il loro trasporto, che in quei tempi
avveniva anche e soprattutto mediante il
fiume Gela
allora navigabile fino al porto dell’omonima città posta
strategicamente sulle sponde del canale di Sicilia e
dunque importante crocevia delle rotte da e per il
continente Europeo, Asiatico ed Africano. |

Castello di Piazza Armerina |
Fino al 1600 i Suriano scelsero Piazza Armerina come residenza e a
ragione del fatto che ebbero spesso mandato reale quali
magistrati, delegati della corona o capitani di
giustizia e d’armi, nelle province del centro sud del
regno di Trinacria, un ramo della famiglia con
Giovanni Pasquale ebbe residenza a Castrogiovanni,
questo era il nome della attuale Enna. Alla fine del
1600 i Suriano del ramo principale della casata si
spostarono a Catania, dopo il terribile terremoto del
1693. Fu a Catania che don Giovanni V eresse un
palazzo per godere della vicinanza della nobiltà più
famosa dell’isola e soprattutto della gestione dei
mutati interessi economici della casata, che basata sui
proventi delle colture agricole ora s’era spostata ai
grandi commerci con il continente, favorendo così la
necessità di avere grandi depositi di mercanzie
vicinissimi ai porti del mediterraneo.
A Piazza Armerina esiste ancor oggi una "porta
catalana", per ricordare la notevole compagine di
spagnoli presente nella città successivamente al vespro
e nel periodo della lunga guerra dei 90 anni che
insistette sull'isola, guerra combattuta tra i siciliani
e gli aragonesi da una parte e gli angioini dall'altra e
che portò vanto alla marineria dell'isola per le
numerose vittorie riportate dai siciliani ed aragonesi
sulla flotta francese, celebre e passate alla storia
sono: la beffa di Ognina, apoteosi strategica del grande
Almirante e gran Conte don
Artale Alagona.
Piazza Armerina godeva di una estensione territoriale
che era tra i più vasti dell'Italia del sud, a quei
tempi pare superasse i 600 Km2. Contava ben 101 Feudi
con altrettanti nobili che ne detenevano la titolarità.
Infatti Piazza Armerina è a tutt'oggi ricca di splendidi
palazzi medioevali e di chiese di stupenda architettura,
alcune delle quali risalenti al periodo di
Simone del Vasto
Aleramico, come quella del Gran Priorato di Sant'Andrea
del 1144 dallo stesso conte
donata ai gerosolimitani.
La nobiltà antica dei Suriano ed il loro prestigio
presso la corte d’Aragona, era così famoso che presto un
giovane rampollo della famiglia, don Giovanni III,
che aveva con onore vestito l’abito dei Cavalieri
gerosolimitani e fatto conoscere le sue epiche gesta in
Palestina che gli valsero l’amicizia dell’Emiro di
Damasco, fu creato Priore proprio del priorato di
Sant’Andrea che elevavo il medesimo al 35° posto fra i
pari del regno in quello che fu il primo vero parlamento
europeo. Ovviamente oltre alla fama del giovane
condottiero e crociato valse molto la nobiltà della
Camara quali Ricos Hombres de senera, erano i
pari del re e potevano inalberare il loro stendardo "llevar
alzados los pendones" accanto a quello reale nelle
grandi occasioni ed in guerra.
Ma fu la grande amicizia tra don Giovanni III Suriano
Priore dei Cavalieri gerosolimitani fuori dalla
Palestina in Sant'Andrea e Sant'Elia di Piazza Armerina
e i Martini, sia il Giovane che il Vecchio o l'Umano e
con la regina
Maria di Sicilia (detta anche d'Aragona, regina di
Trinacria dal 1377 al 1401),
che accrebbe enormemente il
potere nel regno di Trinacria della casata principale
dei Suriano.
La Dinastia poteva vantare un ben organizzato esercito
autonomo, che sotto gli auspici d'Aragona, permise anche
al fratello di don Angelo Achille, don
Giovanni Pasquale I di ricevere la promessa del Re
di governare la vasta contea di Ramursura, già nel 1347
- 49, a ragione della sua vittoria contro le armate del
barone ribelle il conte di
Assoro
don
Scaloro degli Uberti
e capo della frangia latina.
Don Angelo Pasquale al comando delle armate della
casata, fornite dal fratello e di quelle reali
aragonesi, sconfisse, sotto le porte del Castello di
Assoro, don Raimondo Manganelli che godeva fino a quel
tempo della baronia di Ramursura o come era conosciuta
Ragalmursuri, nome derivante dall'arabo Rahal Bn Mussuri
(fortilizio di Bn Mussuri). |

Casale dei Campieri” di Ramursura (Ragalmisuri o meglio
Rahal bn Mussuri) |
Il barone Manganelli era il
maggiore alleato del conte degli Uberti. Don Scaloro
subì la stessa sconfitta dopo l'assedio del suo castello
e perì in questo definitivo scontro. Ciò dette maggior
lustro alla casata dei Suriano che allargò notevolmente
i confini del suo governo fino a giungere alla contea di
Priolo e di Melilli affacciate sul mar Ionio, confinanti
con il territorio dei Moncada di Augusta. Inoltre
vantarono l'incarico di grandi
Siniscalchi reali e ministri in Aragona e Trinacria.
Operarono sempre per il miglior governo possibile, nel
rispetto della giustizia per il popolo e fedelmente
legati alla corona d'Aragona fino alle mutate sorti
della storia (1707 - 1716). Ancora oggi vantano il forte
legame che li lega alla lontana madre patria.
La Camara de’ Suriano con i suoi alleati, don Pietro del
Vasto Lanza e don Nicolò
Branciforte, appoggiò fortemente la corona d’Aragona
contro le ultime e resistenti frange della fazione dei
latini capeggiati dal conte Manfredi Chiaramonte poi
duca di Gerba cui successe il figlio don Andrea. Infatti
don Giovanni III sconfisse i ribelli
caltagironesi e le armate di Andrea Chiaramonte al
comando del conte Giovanni degli Uberti, nella piana di
Caltagirone e poi definitivamente nei pressi di
Castrogiovanni sotto monte Navone. Inoltre consigliò
proprio al giovane re Martino I ed al padre Martino di
Montblach duca di Luna di esiliare gli ultimi Alagona in
terra di Malta. Cosa che gli valse il titolo di Gran
Priore di tutti i priorati gerosolimitani e del ducato
di Sant’Andrea e Sant’Elia. Corona che don Giovanni
trasmise alla sua morte avvenuta nel 1409 ad opera di un
esecrabile assassinio ordito dal generale Cabrera
visconte di Bais e Cabrera e nuovo conte di Modica al
posto dei Chiaramonte. Don Giovanni fu un uomo giusto e
saggio, fu nominato da Martino I di Trinacria conte
castellano di Piazza Armerina consegnandogli il nuovo
castello regio fatto edificare su progetto del conte
Nicolò Branciforte nel 1396. Ebbe ampi poteri baronali
di mero e misto impero e fu il primo e praticamente
l’ultimo conte castellano di Piazza, che poi sollevata
proprio da don Angelo Suriano contro il Cabrera
che ne voleva usurpare la contea, fu eletta a libera
universi tate dal successore di Martino II di Sicilia e
I di Aragona, conosciuto come l’Umano o il Vecchio.
La linea di successione dei Suriano di Castrogiovanni
dopo la morte di don Giovanni Pasquale passò al figlio
don Antonio Andreatta (Andrea) Suriano,
sotto la tutela però dello zio Don Angelo Achille II
de' Suriano (1445) che deteneva l'antica e prestigiosa
rico hombria de senera, nonché le baronie su
molti feudi, il comando delle milizie, l'amministrazione
della giustizia su un vastissimo territorio (sia di
Piazza che di Castrogiovanni, oggi Enna) e la podestà
patriarcale sulla casata. La tutela posta consisteva su
un fedecommesso testamentario imposto a don Giovanni
Pasquale, che lo accettò di buon grado, che
impegnava il destinatario erede del feudo di Ramursura,
sia in linea maschile o femminile per diritto aragonese
jus mulieribus, di mantenerne il governo nel nome de'
Suriano e di essere sempre provvisto delle regia e
legittima investitura alla successione, mancando a tale
fedecommesso il feudo di Ramursura, sarebbe passato alla
linea più prossima della casata o affidato al governo
della Chiesa. Questo atto fu imposto dal patriarca e
Gran Priore don Giovanni, già prima che il feudo fosse
destinato ufficialmente al ramo cadetto della casata
guidato da Don Giovanni Pasquale, ossia nel 1396,
proprio per l'importanza dello stesso e per la sua
vastità (diverse migliaia di ettari).
I Suriano ricevettero inoltre per la stretta parentela
con l'antica casata dei Mirabella, per mancanza di eredi
diretti di quest'ultimi, ultimo erede fu Giovanni
Mirabella deceduto alla fine del 1577, i feudi di
Colletorto alias Mendola e le Terre dei Mirabella (donna
Leonora Mirabella, è famosa per aver dato il cognome
alla cittadina di
Mirabella Imbaccari
in provincia di Catania,
per volontà del marito don Cesare
Paternò Castello), tale investitura fu ottenuta il
24 Gennaio 1582 da don Giuseppe Suriano della
linea diretta di Don Andreatta, ed al ramo
principale della casata (terre di Mirabella) quello di
don Angelo Achille Antonio, regnando
Filippo II di Spagna.
Il Feudo di Ramursura, passò definitivamente alla linea
dei Suriano di Castrogiovanni, discendenti di don
Antonio Andrea (Andreatta) Suriano, figlio di don
Giovanni Pasquale (II) e firmatario del giuramento di
fedeltà al re, morendo don Giovanni e regnando don
Ferdinando il Cattolico, con investitura addì 12 Gennaio
1479. Per tale investitura fu posta la tutela dello zio
don Angelo Antonio, della maggiore linea
dinastica di successione ai titoli di Sant'Andrea e
prima di questi alla Rico Hombria de senera in qualità
di
Fueros d'Aragona, per garantirne i fidecommessi
testamentari. Il feudo poi, fu dato in dote nuziale da
don Giuseppe alla figlia donna Caramanna,
che sposò don Cesare Petruso di Castrogiovanni (attuale
Enna) barone di Bubunetto con la clausola, del
fedecommesso testamentario di rispetto, di dotare la
dinastia del doppio cognome e di provvedere alla
trascrizione dell'investitura, altrimenti la successione
sarebbe passata alla linea parentale dei Suriano
discendenti da don Angelo Achille. La qual cosa
donna Caramanna non riuscì a fare, morendo nel
1685, pur ottenendo che il suo unico figlio don
Pompilio Petruso Suriano portasse il doppio cognome,
mancò la clausola dell'investitura diretta di donna
Caramanna.
Ciò fu questione di disputa fra gli eredi della casata
dei Suriano soprattutto quelli che vantavano il diritto
di successione alla Rico Hombria e ai titoli appartenuti
al Gran Priore per i feudi di Sant'Andrea e Sant'Elia e
che divenivano da Don Angelo Achille (1445) il
quale deteneva i maggiori titoli della Casata con le
investiture dei Feudi nel nome di Sant'Andrea. Ma, fino
alla fine del '700, le lunghe e dibattute cause
dinastiche sulla legittimità del titolo feudale su
Ramursura e Mendola, furono anche complicate dalle
cangiate sorti del Regno di Trinacria che fu annesso al
regno di Napoli, che determinò pure una diversa regola
feudale rispetto a quella della madre patria: la Spagna,
nonché dagli eventi storici sopravvenuti, sicché non si
venne a capo di alcuna risoluzione. Nel frattempo,
conosciute le cangiate regole feudali del regno di
Napoli, i Petruso Suriano, che confluiranno attraverso
un matrimonio tra donna Maria Petruso Suriano ed
un
Grimaldi,
dividono in numerose proprietà allodiali, con naturale
compiacenza di qualche funzionario regio di quei tempi,
il vasto Feudo di Ramursura, che abilmente smembrato
poco prima del 1812 venne, almeno ciò che ne restò,
definitivamente perso quale governo baronale per
rientrare nella proprietà demaniale mediante la legge
borbonica che nel 1812 appunto fece decadere le leggi
feudali ancora vigenti nel regno. Solo 600 ettari circa
furono con molta abilità alienati da donna Maria
Petruso Suriano e Varisano Grimaldi (con la
quale si estingue il ramo dei Suriano della linea di
Giovanni Pasquale) come proprietà allodiali e di
questi gran parte furono ereditati dai marchesi di
Torresena imparentati con i Petruso (donna Maria Petruso
Varisano e Grimaldi e di poi don Giuseppe Maria Grimaldi
27 luglio 1775) ultimo destinatario con investitura
feudale.
Finiva l'era delle grandi baronie feudali, sebbene
queste fossero già state oscurate con la "svendita"
ignobile di titoli principeschi e ducali, per fare
cassa. In generale la "tariffa" per divenire principe o
duca era di 100.000 fiorini già sul finire del basso
medioevo a prescindere se il "sedicente principato"
fosse realmente degno di tale nome. Fu una corsa simile
all'albero della cuccagna, tutti i parvenu fecero
l'impossibile per ottenere il titolo di barone sul loro
latifondo o addirittura sulle tonnare, sulla vendita del
sale e così via, poiché tale titolo era ancora ammantato
dall'antica fama del potere supremo. L'immenso potere
dei baroni, eredità della loro supremazia guerriera, fu
solo un lontano ricordo del tempo passato cangiato in
quello più a buon mercato del nuovo ed in ogni caso
ancor prestigioso titolo nobiliare, che si inseriva, al
contrario di com'era nato, al di sotto del titolo di
visconte. Ma furono a centinaia i ricchissimi mercanti e
banchieri che acquistarono il titolo di "principe",
classici sono gli esempi dei mercanti di lana e poi
banchieri fiorentini e gli usurai e poi banchieri di
Roma. |
I cambiamenti epocali in Spagna: Cessa di esistere di
diritto il
regno d'Aragona. |
In Spagna tra il 1707 ed il 1716 furono epocali,
di fatto in Spagna non s'era mai parlato prima di un
regno unico, nel periodo che stiamo considerando, sale
sul trono spagnolo
Filippo V
della dinastia dei
Borbone
e dunque strettamente legato al trono di Francia.
L’orgoglio del potente regno d’Aragona si risveglia e
chiede la deposizione di Filippo di Borbone, invocando
l’atavica discendenza degli imperatori d’Asburgo
Principi fra i principi perché legati alla Santa Madre
Chiesa. Tutti i Fueros d’Aragona si schierano con tutta
nobiltà a favore di
Carlo d'Asburgo,
ma alla fine Filippo V ha la meglio e sale sul trono.
Ovviamente ciò causa la fine dei privilegi dei Fueros e
ne nascono decreti punitivi per tutti coloro che avevano
patteggiato per il pretendente Carlo d'Asburgo. I
decreti di Nueva Planta
tolgono all'Aragona
l'atavico privilegio sovrano, annettendola direttamente
alla corona riunita di
Spagna.
Vennero aboliti i diritti
speciali della nobiltà aragonese fra i quali quelle dei
Fueros di Aragona.
Naturalmente le ripercussioni di tali decreti reali
della nuova nazione spagnola riunita sotto lo scettro
borbonico, provocarono una sorta, se non di ribellione,
ma certamente di grande ostilità da parte delle
antichissime famiglie dei los Barones d'Aragona
specialmente in quelle che ormai avevano eletto
residenza nei territori lontani dalla madre patria, come
appunto i Suriano.
La casata già indebolita dalle vessate questioni sui
grandi feudi scioccamente perduti di Mendola e Ramursura,
si trovava a dover fronteggiare una situazione assai
difficoltosa e conflittuale, come gran Fueros d'Aragona,
non si poteva accettare la fine del più potente regno di
Spagna, come sudditi del re degli stati spagnoli si
doveva dichiarare la propria sottomissione. Inoltre le
grandi contee di Ramursura divenuta Marca e di Mendola,
contestate ad una famiglia (i Petruso Suriano e poi
Grimaldi) fortemente benvoluta dal nuovo governo
borbonico, appariva sempre di più una causa pressoché
persa in partenza. Come gli
Ayerbe d'Aragona, i Suriano ed altre Famiglie
optarono per un distacco netto, ma conforme alla loro
dignità di Fueros e di "privilegiati di Aragona e Léon"
(questo il significato intrinseco della parola fueros),
addirittura comprensivo di Fons Honorum, ossia del
diritto di creare a loro volta nobiltà vassallatica.
I Suriano erano Serenissimi ed
Altissimi Barones de
Reino, Duque de San Andres y San Elias erano detentori
di corona sovrana di fueros e furono parenti dei
Luna,
nel loro sangue scorreva
l'orgoglio di essere pari dei re d'Aragona, le loro armi
avevano fatto grande la Spagna. Non potevano
riconoscere un re francese.
Don Pietro V era certo che in Sicilia si sarebbe
ricreata una nuova Aragona. Forse osò sperare
l'inosabile. La casata dei Suriano del ramo patriarcale
di don Juan e di poi di don Angelo Achille I,
decise di onorare gli impegni con chi considerava essere
il proprio reale sovrano: don Pietro III d'Aragona e I
di Sicilia e della discendenza Aragonese che ne derivò.
La rottura definitiva con la corte dei Borbone sia di
Spagna che di Napoli avvenne con don Giovanni V e
con la moglie donna Maria Concezione (Concetta), i quali
con grande coraggio iniziarono un drastico
disconoscimento della corte Borbonica, dichiarandosi
ancora e a tutti gli effetti:
Fueros de Aragón
avocarono alla casata tutti i diritti, doveri e
privilegi de' los
Fueros de Aragón.
La Casata Suriano costruì lentamente le basi per un
risorgimento futuro, trovando alleanza proprio con
l'altro grande ramo della medesima, quello calabro, che
si era distaccato attorno al 1330 dal ramo principale di
Piazza Armerina. Don Giovanni Suriano (V
con questo nome) sposò una de' Caruso, donna Maria
Concezione (Concetta) donna di grande coraggio e di
notevoli capacità, figlia del barone di Spaccaforno
attuale Ispica, con la quale stabilirono a Catania la
residenza, per meglio sviluppare gli scambi commerciali
ed il trasporto della liquirizia coltivata in Sicilia e
facilitando così l'alleanza con il ramo di Crotone, che
avrebbe poi avuto, anche se per altri 150 anni un felice
riscontro. |

Catania - Palazzo Suriano (Anno 1750) |

Stemma dei Suriano presso il palazzo Suriano in Judecca
a Crotone |
L'attuale linea di successione deriva da quel don
Angelo Achille Baron de los
Fueros de Aragón,
a cui fecero seguito don Angelo, che fu come il
precedente un grande magistrato e capitano di giustizia
fino a don Giovanni V, che fu abilissimo grazie
anche alla saggia diplomazia della moglie donna Concetta
(prima metà del 1700) a stringere i rapporti con il
ricchissimo ramo dei Suriano Ralles di Crotone e
prepararne poi l'unione tra don Gaetano e donna
Luccia Suriano Ralles (ultima erede dei due rami
della famiglia Suriano di Crotone derivanti da don
Gio. Dionisio Suriano e don Scipione Suriano
detti anche Suriano Ralles). A don Giovanni e donna
Concetta si deve l'idea di effettuare una vera e propria
distribuzione capillare su scala nazionale dei prodotti
industriali della liquirizia calabra e delle pelli
conciate. Costruirono a Catania grandi depositi e sedi
opportune di distribuzione adiacenti al Porto della
città etnea, oltre al palazzo di famiglia. Tali grandi
opere furono poi distrutte quasi del tutto da bande di
disperati sollevate dai garibaldini nell'estate del
1860. Don Gaetano Angelo che sposò Donna Luccia Suriano
Ralles e di poi fino a Don Pietro Angelo Salvatore
(1861
†
1939) e finalmente a Don Angelo Raimondo
Salvatore (1923
†
2002). Sempre a Donna Concetta si
deve la descrizione minuziosa della storia di famiglia e
dei gioielli impareggiabili che la stessa possedeva, che
la resero motivo di invidia delle nobildonne siciliane,
gioielli in piccola parte ancora in possesso della Camara tra i quali la pregevolissima "Cruz de la Camara"
preziosissima croce, riportante l'arma di famiglia ed
incorniciata da diamanti e rubini purissimi, regalo del
re di Aragona e Trinacria Martino I d'Aragona e II di
Trinacria alla Casata dei Suriano, a riprova della
grande amicizia e fedeltà reciproca che i De Luna e i De
Suriano mantennero per lunghissimo tempo. |

Plurisecolare ulivo posto nel confine fra l'antico
transito dei cavalieri di San Giovanni di Rodi,
(percorso compreso tra Piazza ed Augusta) ed
i folti boschi di sugheri, frassini e querce appartenenti alle
tenute di San Giovanni soprano e sottano e di San’Andrea
del
Ser.mo D.mo Pietro Giovanni Barone del regno d’Aragona. |
Ai nostri giorni l'antica camara continua nella stirpe
per buona sorte numerosa di don Angelo Achille
capo della casata nel 1445 e fino ad oggi con don
Pietro Giovanni, sposato con donna Loredana Caruso
Ferlito, che ha arricchito le terre con l'apporto di
latifondi di Ragameli. Don Pietro Giovanni è un noto
patologo cerebro vascolare, docente universitario, ben
conosciuto negli ambienti scientifici, grande esperto di
storia e d'arme giapponesi per i quali ha ricevuto
solenni riconoscimenti da quell'affascinante ed
imperiale paese. Già cooptato da Sua Altezza Reale quale
membro della
Consulta dei senatori del Regno (Associazione privata
costituita nel 1955),
è coordinatore dei Consultori di Sicilia. La figlia
donna Nadia Ester, ha dato slancio produttivo
alle terre, avviando un processo di completa
trasformazione e industrializzazione agricola. Con gli
stessi criteri architettonici del fortilizio di Rahal bn
Mussuri, risalente al X secolo, sono stati ricostruiti,
con moderni materiali, ma con rivestimenti tipicamente
in pietra: Magazzini e Casale, anche se adesso
riedificati nelle fertilissime ed altrettanto ataviche
terre di San Giovanni sugli
Iblei,
da dove si possono ammirare con grande meraviglia
paesaggistica: i monti
Erei,
i lontani
Nebrodi
ed a Nord l'imponente sagoma del Grande Etna.
Donna Nadia Ester raccoglie l'eredità dei rami Siciliano
dei Suriano di Piazza e di quello dei Suriano e Suriano
Ralles di Crotone, che riuscirono già nel '600 a
produrre ricchezza per le genti a loro affidate onorando
in toto il motto: Servus Dei presidium populi. |

Donna Emilia Ester Trompeta Suriano Baronesa de la
corona de Aragon y Trinacria XVII Duquesa de San Andrés
y San Elias.
Ritratto di un giovane autore polacco. |
L'arme dei Suriano del ramo di Sicilia è in campo d'oro
con cucite tre sbarre d'argento, raro esempio di metallo
su metallo, che depone per l'antichissima origine
medioevale. Pare che Don Giovanni Suriano
sostituì il grido d'Arme dei
Cavalieri Gerosolimitani:
"Deus lo Vult" per dare un nuovo impulso alla missione
della importante corona e dell'importante paria ottenuta
con il motto: "Servus Dei Presidium populi". Che la dice
lunga sulla sua sete di giustizia e sulla fede che hanno
da sempre caratterizzato i maggiori componenti della
casata. Successivamente Don Pietro Angelo,
dispose di inquartare nello stemma le Armi dei Suriano
di Piazza e del ramo Suriano Ralles di Crotone: d'oro
con tre sbarre cucite d'argento in 1 e 4 e di verde
fasciato di torchino con due pali d'argento in capo e
due bande dello stesso in punta. Don Pietro non accettò
l'unione del regno di Sicilia sotto la bandiera del
neonato regno d'Italia, come del resto non accettò mai
la dinastia dei
Borbone
delle Due Sicilie, restando fedele al regno della madre
patria Aragona, cui i suoi avi per molti secoli avevano
contribuito a fare grande. Una famosa citazione di don
Pietro V riguardava i molti nobili creati sul
niente, esclusivamente per denaro: "No hay un barón
sin propiedad de la tierra, no hay rey sin reino que
tiene". La moglie Donna Emilia Ester fu invece una
devota sostenitrice della casa sabauda e dopo la morte
del marito, all'alba del 1940, spinse tutta la famiglia
a prodigarsi per stringersi attorno al re d'Italia S.M.
Vittorio Emanuele III
in un momento molto
difficile per la nazione. Fu una grande benefattrice dei
poco abbienti della periferia della grande città etnea.
L'Arme della dinastia è stata mantenuta secondo
l'indicazione araldica d'Aragona e di Spagna ossia con
la punta circolare, ciò per disposizione di don
Pietro Giovanni Huius nominis primus comes
Plateae et barho Serenissimus Aragoniae et Trinacriae,
nel 1969 addì 22 di Ottobre, anno della sua richiesta di
pretensione ai titoli della Camara in presenza dei
maggiorenti della Stessa, Madrina della pretensione fu
Donna Giuseppina Trombeta Stella duchessa di Castel del
Mirto. Come è d'uso nella tradizione. |
Il ramo cadetto dei Suriano spintosi in Calabria Ultra,
si distinse in nobiltà presso la città di Crotone. Nelle
minuziose cronache della Calabria Ultra si evince che
già agli inizi del ‘500:
“Anselmo Berlingeri, Nobile Patrizio di Crotone
(ascritto al Sedile di San Dionigi l’Areopagita),
nell’anno 1531 rappresentante della Nobiltà di Cotrone
assieme a Stefano Suriano, Giovanni Valez de
Tapia e Giovanni Mazza nell’acquisto
dall’Imperatore Carlo V della Città di Crotone per la
Città stessa “per non averla mai a concedere [in
feudo] a persona, ed erigendola a fortezza”, e nel 1535
fece dono alla città di una mezza colubrina fatta
fondere a sue spese (con lo stemma di famiglia a sbalzo
ed iscrizione) la quale servì egregiamente finché non
esplose il 1-V-1613 quando tutte le artiglierie di
Crotone sparavano a salve per festeggiare il passaggio
del Marchese di Santa Cruz”.
Alla metà del Seicento a Crotone la casata dei Suriano
era composta da quattro rami principali: quello di
Gio. Dionisio Suriano, dell'Abbate Gio. Pietro
Suriano, di Dezio Suriano e di Scipione
Suriano; quest'ultimo era detto anche dei Suriano
Ralles.
La Casata dei Suriano assieme ai
Lucifero, ai
Berlingieri, ai Montalcini e
successivamente agli
Albani di Crotone, fu fra le più potenti della Calabria
Ultra e soprattutto in Crotone e nella costa ionica
detenne un potere veramente notevole.
Queste casate contrassero fra loro più volte alleanze
potenti, attraverso matrimoni; ad esempio coi
Berlingieri addirittura per ben tre generazioni
consecutive, a partire dal 1656 con Cesare Ottaviano
Berlingieri, che sposò Luccia o Isabella
Suriano, poi con Nicolò Berlingieri che sposò Anna
Suriano ed infine con Cesare Francesco Berlingieri che sposò Violante Suriano mantenedo
così titoli e patrimoni ben saldi e soprattutto
procurandone l'accrescimento di generazione in
generazione. |

Crotone - Altare Suriano |

Crotone - Stemma Suriano con le insegne melitense |
La citata Donna Anna Suriano, rimasta vedova di
Nicolò Berlingieri, sposò nel dicembre del 1719
Bernardino Suriano Junior, portando una dote
ingentissina
(2).
La predetta
Violante Suriano sposò Cesare Francesco Berlingieri,
marchese di Valle Perrotta
(3).
Il feudo di Aprilliano era stato acquistato da
don Gio. Dionisio Suriano
barone di Garrubba e Lamposa
da don Francesco Campitelli principe di Strongoli
nel 1640. Successivamente il 25 novembre 1695 Don
Antonio Suriano vendette il feudo di
Aprillianello (parte della marca di Aprilliano) a
don Fabrizio Lucifero figlio di don Giuseppe Lucifero
e di donna Livia Suriano, ottenendo
anche per quella feudalità il riconoscimento Marchionale
da
Carlo II di Spagna nel 1698 con il nome però di
marca di Apriglianello (o Aprillianello).
I Suriano di Crotone contrassero parentela con i
maggiorenti della Calabria Ultra tra cui principalmente:
i Berlingeri, i Lucifero, gli Albani, i della Motta
Villegas, i
D’Ayerbis d’Aragona, i De Filippis, i del Castillo,
i Barricellis, i Montalcini, gli Sculco, ecc.
Soprattutto con i Lucifero ed i Berlingeri i Suriano
contrassero alleanze molto potenti. |

Crotone, uno dei palazzi
dei Suriano |

Crotone, Palazzo Suriano oggi Albani |
I Suriano erano preminenti nelle cariche ecclesiastiche,
essi ressero per tutto il seicento l’arcidiaconato di
Crotone che era la seconda carica religiosa dopo quella
vescovile, dapprima con Prospero, poi con
Mutio (che sarebbe poi divenuto arcivescovo di Santa
Severina e quindi con Hieronimo. L’abbate Gio.
Pietro confrate della confraternita del Rosario (che
riposa nella Cappella di Sant'Anna dei Suriano presso la
chiesa convettuale dei Cappuccini) e
Mutio ricoprirono anche la carica di vicario
generale della chiesa cattedrale.
Mutio fu poi arcivescovo di Santa Severina e Prospero e
Giuseppe vestirono il mantello dei
gerosolimitani, ci fu anche un Francesco che
divenne priore gerosolimitano, e riposano presso
l’altare di S. Anna dei Suriano in Cattedrale di Crotone.
Numerosi furono poi i Suriano di Calabria con cariche di
Canonici, Abbati, Badesse e Vescovi anche fuori dei
confini di Calabria. |

Stemma dell'arcivescovo
Muzio |

Santa Severina, uno dei
più bei borghi della Calabria, in fondo la Cattedrale |
I Suriano e Suriano Ralles di Crotone detenevano i più
vasti latifondi della
Calabria Ultra oltre ai diritti feudali sulla marca
di Aprilliano e sulle baronie di Garrubba e Lamposa.
Inoltre possedevano centri del commercio per i vari
raccolti (in primo luogo della liquirizia e del grano) a
Napoli dove prosperò maggiormente il loro commercio con
un ramo cadetto che appositamente in quella città si
insediò: Don Ignazio Suriano. Successivamente i
commerci si estesero nel Veneto e culminati poi con la
riunione dei due ceppi della casata originale, ossia i
Suriano di Sicilia e quelli di Calabria con il
matrimonio di Don Gaetano Suriano e donna
Luccia Suriano Ralles che dotarono il nipote don
Pietro Angelo Antonio (Pietro V) dei titoli e delle
pretensioni sia di Calabria che di Sicilia. |
Agli inizi del 1300 la casata aveva come capostipite
Juan de’ Sorianos poi divenuto Suriano, cui seguirono:
don Angelo Achille I, don Pietro II che con alcuni
componenti della famiglia avrebbe proseguito per cercar
gloria in Calabria dando origine al ramo di Crotone
e don Giovanni Pasquale I, che avrebbe dato il ramo
origine al ramo di Castrogiovanni (Enna) con
l’estinzione nella Famiglia Grimaldi (fine del 1700).
Si riporta una sintesi genealogica del ramo di
Castrogiovanni a correzione di alcune storpiature di
varie cronologie (anche famose) riportanti nella
genealogia della casata solo il ramo di Castrogiovanni
per la Sicilia e quello di Tropea in Calabria: Dopo la
concessione del Feudo di Ramursura al ramo di
Castrogiovanni a partire del nipote di Antonio Andreatta
(Andrea) investito a seguito della morte di re Giovanni
e regnando re Ferdinando il cattolico a 12 gennaio 1479:
don Giovanni Pasquale III (investito a 30 dicembre 1516
regnando
Carlo V, cui i Suriano di tutti i rami
giurarono fedeltà assoluta sia alla persona che alla
successiva dinastia come tutti i Fueros d’Aragona), don
Andreatta II a 23 gennaio 1546, don Angelo I del ramo di
Giovanni Pasquale I a 15 agosto 1549, don Giuseppe IV a
4 novembre 1557 e successivamente con investitura per il
feudo di Mendola a 24 gennaio 1582, donna Caramanna che
sposa il barone di Bubunetto don Cesare Petruso di
Castrogiovanni, non pone investitura pur dotando il
figlio del cognome in parità e crea l’intervento della
casata principale alla sua morte nel 1665 per aver
mancato a quanto previsto dai fedecommessi testamentari
imposti dalla casata. Pur tuttavia eredita Pompilio
Petruso Suriano, non investito, cui segue don Cesare Petruso Suriano e di poi donna
Federica Petruso Suriano
a 28 maggio 1693 con sola riconferma testamentaria di
successione e mancante l’investitura ed infine Maria Petruso Suriano Varisano e
Grimaldi maggio 1760 che
riesce a far porre investitura al figlio Giuseppe Maria
Grimaldi dei marchesi di Terresena a 27 luglio del 1775.
Decade dopo il diritto feudale. I Suriano vengono
usurpati dei feudi di Ramursura e di Mendola specie per
la loro ostinazione a non riconoscere la legittimità
della casata dei Borbone.
Il ramo principale di Piazza Armerina
con a capo Angelo Achille dette una lunga serie di rami
che dopo Angelo I e Achille Angelo II videro succedersi
parimenti gli stessi nomi alternati come da tradizione
con eccezione di Giovanni IV alla fine del 1600 e con
Giovanni V nella seconda metà del 1700, cui si intercalò
don Gaetano nei primi del 1600 e don Giuseppe Angelo nel
1630, poi vi fu l’influsso del nome Salvatore imposto da
donna Concetta de’ Caruso di Spaccaforno (attuale Ispica)
nella seconda metà del 1700 cui però per tradizione fu
posto a tutti i primogeniti ed i secondogeniti il nome
di Angelo. Il nome di Pietro appare successivamente
all’unione del ramo calabro di Crotone con quello
siciliano di Piazza armerina, divenuto tuttavia
definitivamente residente a Catania. Don Pietro V che
porta anche il nome di Angelo è in realtà il primo con
questo nome ad essere pretendente dei titoli siciliani e
calabri ed in piena autonomia don Pietro unificò l’arme
dei Suriano di Sicilia e Calabria inquartandone le
stesse. Nato nel novembre del 1861, 16 mesi dopo la fuga
della famiglia verso i feudi degli Iblei in San
Giovanni, per scampare ai rancori dei garibaldini che
avevano subito l’onta di una sconfitta proprio nel
tentativo di impossessarsi dei depositi dei Suriano
nell’antico corso di Catania e nel porto, don Pietro non
volle mai riconoscere l’avvenuto regno d’Italia. Nei
fatti storici avvenne che un manipolo di briganti
associati ad una pattuglia garibaldina al comando della
quale era posto un giovanissimo tenente, forse
piemontese dall’accento, nel ricordo di famiglia, si
presentò nei quartieri periferici dell’antico corso in
Catania, proprio quando le prime truppe garibaldine
tentavano l’ingresso nella città etnea. Con baldanzosa
arroganza chiesero di porre sotto sequestro ogni bene
contenuto negli stessi e che fosse messo a disposizione
delle truppe dei liberatori dalla tirannide borbonica.
Don Salvatore, fratello di Don Gaetano Suriano capo
della casata, si presentò protestando con il
giovanissimo ufficiale e riferendo che i Suriano non
dovevano spartire nulla con i Borbone e che non
avrebbero permesso soprusi di sorta. Probabilmente
spaventato dalla contemporanea presenza di molti uomini
in arme che avevano scortato il barone don Salvatore, il
giovane ufficiale garibaldino esplose un colpo di
pistola che ferì il barone. Il campiere accortosi che la
truppa variegata dei garibaldini era per maggior parte
senza munizioni, ordinò di fare fuoco e molti caddero
fra briganti e camicie rosse compreso il tenente, che fu
colpito al volto. Successivamente la cavalleria
borbonica sgombrò in poco tempo Catania dalle truppe di
Bixio, ma il giorno successivo il comandante in capo
della guarnigione borbonica ricevette l’inquietante
ordine di ritirare le truppe verso Messina. La famiglia
Suriano si diede alla fuga verso i feudi degli Iblei per
evitare di esser soggetta a rappresaglie, come
puntualmente avvenne e che si manifestò di li a poco con
l’incendio di depositi e dei casali, dopo che i
liberatori ebbero fatto razzia di ogni bene, basti
pensare che solo nelle casse dell’erario di Catania in
un sol giorno presero il volo 16300 onze d’oro, in nome
della libertà. Donna Concezione moglie del barone don
Salvatore dette alla luce il figlio Don Pietro Angelo,
che a seguito della morte del primogenito in
giovanissima età, successe al titolo nella baronia di
San Giovanni. In seguito fu nominato erede di ogni
titolo della casata dallo zio Don Gaetano in novembre
del 1867 nel giorno del suo compleanno e poco prima che
don Gaetano morisse senza aver avuto eredi diretti. Don
Pietro detto V nella successione Calabra e primo con
questo nome nella successione diretta Siciliana riunì
ogni atavica pretesa nel suo nome. Egli preferì tuttavia
sempre il titolo di barone del regno in onore alla
tradizione aragonese della rico hombria, restando sempre
fedele alla dinastia d’Aragona ed alla sua sovranità,
morì il 29 Dicembre del 1939. Suo figlio don Raimondo
Angelo Salvatore fu eroe nella II guerra mondiale e
pluridecorato, servì poi nei servizi segreti il nuovo
corso dello stato, già nel 1969 per sua volontà il
figlio don Pietro Giovanni, in data del suo diciottesimo
anno di età nel giorno 22 di ottobre, avocò a se i
titoli della Casata ed i diritti doveri dei Fueros
d’Aragona e fu direttamente insignito dalla matriarca
della casata donna Emilia Ester in presenza di don
Antonio Trompeta Hidalgo di Navarra e donna Giuseppina
Trompeta Stella duchessa di Castel del Mirto baronessa
di Bonagia.
Attuale XXI erede della casata è donna Nadia Ester cui
sono state già dotate le signorie di San Giovanni
soprano e sottano e Ragameli quali proprietà allodiali
riconosciute alla casata dalle vigenti leggi italiane,
mentre la casata stessa e solo essa nel nome e per conto
dei diritti dei Fueros d’Aragona, riconosce a Donna
Nadia Ester i titoli di Baronesa de los ricos Hombres de
senera y Fueros d’Aragon, Contessa di Piazza Armerina
(4)
e Baronessa di Ramursura, Mendola e Sant’Andrea ecc.. Al
tempo secolare la seconda in linea di successione è
rappresentata dalla sorella di don Pietro Giovanni donna
Rosalba Emilia Marchesa in
Calabria Ulteriore Baronessa
di Rossomanno ecc. Il terzo in linea di successione è
don Giovanni Luca Mosto Suriano cui spetta il titolo di
Visconte delle terre di Mirabella, Barone di Garrubba
nobile di Cihuela di Piazza e di Castrogiovanni ecc.
Seguono don Fabio Raimondo e don Giorgio rispettivamente
nobili di Esteras de Medinaceli, di Piazza e di
Castrogiovanni. La casata si continua inoltre con i
parenti di don Raimondo Angelo Salvatore che sono eredi
dello scomparso Don Giuseppe cugino in primo grado. Per
tutti i livelli di successione valgono le disposizioni
della tradizione d’Aragona con la possibilità di
succedere alla rico hombria de senera anche in
trasmissione femminile (jus mulieribus)
purché sia sempre mantenuto l’obbligo della trasmissione
del nome della casata. |

Il XX conte di Piazza Armerina, Don
Pietro Giovanni Suriano Duca di Sant’Andrea e
Sant’Elia Seren.mo Barone d’Aragona e consorte
Donna Loredana, a sinistra il Conte Don Federico
La
Longa Mancini e a destra il Conte Don Maurizio
Perrone. |
__________________
Note:
(1) -
Nella descrizione dei nomi era uso
generale firmare gli atti di successione in modo da
sottoscrivere il cognome della casata senza aggiungere
la specificazione dei o de', che invece era generalmente
presente nella descrizione del notaio che ne registrava
gli atti parlando in terza persona. Per molte famiglie
specialmente quelle che hanno ottenuto nobiltà
successivamente al periodo medioevale, invece fu molto
usato riportare il predicato della casata o del feudo
annesso.
(2)
-
Per i soli beni immobili: il territorio e
gabella La Marina delli Comuni, Barrea e Spataro, il
Palazzotto, La Cattiva, Vignale di Valle di Nigro, il
territorio detto il Terzo delle Ficazzane, porzione
sopra Lavaturo, sei magazzini di cui quattro per
conserva di grani al Fosso fuori porta, chiusa di terra
vitata ed alberata luogo detto il Ponte, esigono un
censo sopra il Dazio della Catapania della città per
capitale di ducati 1200, territorio La Rotondella, Bovi
aratori n. 120 dei quali si deducono n. 38 che
s’assegnano per la coltura del feudo detto La Garrubba,
a questo si deve aggiungere il gran palazzo in luogo
detto della Judeca a S. Maria Protospari.
(3)
- Il feudo di Valle Perrotta pervenne a Cristofaro
Pallone sposato con Vittoria Berlingieri; a causa di
debiti il feudo fu sequestrato dalla Regia Corte e
alienato per 3.300 ducati a Nicolò Orazio Berlingieri,
figlio di Annibale. Alla morte di Nicolò Orazio il feudo
passò al fratello Francesco Cesare, sposato con Violante
Suriano, al quale re Carlo di Borbone il 19 gennaio 1740
concesse il titolo di marchese di Valle Pettotta. A
Francesco Cesare successe il figlio Carlo nel 1781, poi
a Cesare per successione ad Anselmo nel 1786, suo padre.
(4) -
La Casata dei Suriano è molto conosciuta
nelle provincie di Enna e Caltanissetta e specialmente a
Piazza Armerina gode ancora di onore e grande
considerazione. Moltissime sono le occasioni ufficiali
della florida città dell’ennese che vede partecipe la
casata ancora onorata e apprezzata.
Don Pietro Giovanni Donato, cui per scelta spirituale
sono stati aggiunti i nomi di Antonio Angelo Maria in
devozione alla Madonna Santissima Annunziata e Concepita
di Spirito Santo, nonché in devozione a Sant’Antonio di
Padova al quale è stato votato dalla madre Donna Anna
Maria Clementina, al tempo secolare ritiene per se la
Rico Hombria de serena de los Fueros de Aragón quale
Gran barón del reino de Aragón y León, nonché la
baronia e signoria di San Giovanni, Sant’Andrea e
Ragameli, la prima in ricordo della ricca storia della
Casa di Soria che, attraverso le epiche gesta della sua
progenie, arricchì di gloria il Léon e l’Aragona, trovò
maggiore fede in Palestina ed una nuova patria in
Sicilia e Calabria ed ancora a Ramursura e Piazza
Armerina trovò un nuovo corso di gloria e di Fede, la
seconda perché quelle sono le terre della casata su cui
la stessa continua il suo percorso secolare:
“Chiunque fra quanti e sono tanti, oggi
come ieri, abbiano pagato in denaro il potere derivante
da un titolo, hanno reso la loro casata nobile agli
occhi dell’uomo, ma povera agli occhi di Dio. Chiunque
abbia combattuto perché il popolo avesse un giusto
governo sono invisi agli occhi dei potenti e nobili, ma
eccellenti ed aristocratici nel cuore di Dio”.
Don Pietro Giovanni Donato Antonio Angelo Maria Suriano
Rico Hombre de senera y Fuero
________________________
Sitografia:
BeWeb - Cerca - Beni storici e artistici - da:41 -
frase:soriano - locale:it - ordine:rilevanza - it
|
|