Ovvero delle Famiglie Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia. 

Famiglia Calenda

a cura del dr. Giuseppe Villani

Armi:
ramo di Nocera:
d’azzurro, alla fascia sormontata d’un montante crescente accostato da due stelle di sei raggi, il tutto d’argento (1);
ramo di Benevento: d'azzurro, alla fascia d'oro accompagnata in capo da un montante crescente d'argento accostato da due stelle d'oro di sei raggi, e in punta da una stella d'oro di sei raggi
(2).


©  Stemma del casato Calenda


Nocera Inferiore (Salerno), stemma Calenda
Foto inviata dal collaboratore Matteo Fimiani da Montoro (Av)

La famiglia Calenda  è, secondo alcuni autori, di origine longobarda, secondo altri  normanna. Di sicuro la loro sede più antica conosciuta è la città di Amalfi, dove si apprende che nel 966 Sergio, figlio di Stefano, qui appellatur Kalendola, compare innanzi a Pietro, Vescovo di Salerno, per togliere delle terre in enfiteusi. Lo stesso figura altresì in atti del 973 e del 976. 
Dalla città natale, i Calenda intorno all’anno 1000 si trasferirono nella vicina Salerno, dove furono ascritti al primo seggio cittadino del Campo dei Longobardi.


Salerno in una stampa del 1761

La famiglia Calenda ha goduto di Nobiltà, oltre che a Salerno, a Napoli nel seggio di Capuana, in Benevento, a Lucera e nella città di Nocera de Pagani e posseduto numerosi feudi, tra i quali San Pantaleone, Petruro, la baronia di Monteleone, Casale e Santa Maria di Zambella e la baronia di Tavani.

Tra i suoi più illustri figli ricordiamo: Landolfo che ai tempi di re Ruggero (1157) fu Ammiraglio e Protontino; Nicolò fu Stratigoto di Salerno nel 1274; Paolo e Pacilio, insigni maestri della Scuola Medica Salernitana; Ludovico e Lorenzo, capitani di Alfonso I d’Aragona e Salvatore, armigero di Ferrante II nel 1462.
Ma una delle vere glorie del casato fu altro Salvatore, Priore del collegio di Salerno e tanto celebre da essere chiamato dalla regina Giovanna II a ricoprire il posto di Priore del collegio di Medicina in Napoli. Salvatore de Renzi, medico e storico, scrive che: “ il primo e più illustre medico di cui la storia ci ha conservato il nome sotto il regno di Giovanna I d’Angiò fu Salvatore Calenda di Salerno, chiamato insigne per perizia e pratica dottrina. Raccolse però in quei tempi onori e ricchezze, e, abbandonata la modesta scuola di Salerno, visse nella regia di Napoli, ove esercitò non solo i più elevati carichi medici, ma anche altri nobili uffici”. Figlia di Salvatore e orgoglio paterno fu Costanza Calenda che, anch’ella onorata dalla regina Giovanna, acquistò fama e onori per le sue conoscenze in filosofia e medicina nella scuola salernitana. La presenza di donne medico nella Scuola Medica Salernitana, in pieno medioevo, è un fenomeno straordinario e unico nella storia della medicina, soprattutto in un periodo di oscurantismo in cui la donna nella società occupa una posizione comunque secondaria. La donna, tradizionalmente ammessa al ruolo di ostetrica o di puericultrice, depositaria di un sapere tramandato da madre in figlia o all’interno di cerchie ristrette, non poteva accedere a forme ufficializzate di sapere né agli insegnamenti accademici, né acquisire licenze per l’esercizio professionale. Fa eccezione in questo periodo proprio la Scuola salernitana, dove sono attive molte donne, non solo accettate nei ranghi dell’organizzazione medica, ma anche tenute in grande considerazione dai medici e dalla comunità. Tra le figure femminili di spicco, le cosiddette mulieres salernitanae ricordiamo in primis la nobildonna Trotula de Ruggiero poi Abella, Mercuriade, Rebecca Guarna e  Francesca di Romana. 

Trotula de Ruggiero (XI sec.) miniatura e medaglia commemorativa

Dal tronco di Salvatore  una parte della famiglia si trasferì nel nocerino e precisamente nel territorio di Roccapiemonte dove già si avevano notizie dei Calenda nel 1269 come Mutuatores Regiae Curiae e nel 1275, nel quale anno il Liber familiarum dell’archivio Cavese ricorda tale Petrus Calenda de Roccapimontis. Probabilmente quindi la progenie di Salvatore occupò la zona dove vivevano nobilimente i discendenti di Pietro. In Roccapiemonte i Calenda furono tra le primarie famiglie, e qui troviamo tale Domenico che trasse in sposa la nobile Isabella de Flumine o de Fiume dei Conti di Sterpeto e Baroni di Fusara, la quale portò in dote il feudo di Tavani nella baronia di S. Severino. Da lui nacque Giuseppe, padre di altro Domenico e di Francesco (capitano di vascelli) che si ridestarono a dare nuovamente lustro al casato e Rosa. Domenico sposò Anna Felicia Fiume, nipote di Isabella insieme alla quale, lasciata Roccapiemonte, si trasferì nel villaggio Taverne della vicina Nocera.  Insieme al fratello Francesco acquistarono un altare con sepoltura gentilizia nella chiesa di San Giovanni Battista in Roccapiemonte cum iure arma insculpenda.  In questa cappella furono sepolti i discendenti dei fondatori e gli schiavi che possederono (si ricorda in alcuni documenti il permesso che fu accordato al nob. Francesco Calenda dalla dogana di Messina di introdurre nel Regno uno schiavo bianco) e nella stessa fu fondato un beneficio abbaziale con il patronato attivo e passivo solo per i figli maschi della famiglia. Francesco, capitano di cavalli per Carlo VI d’Asburgo, pervenuto in Lucera, provò la nobiltà dei suoi natali e riconosciutagli, nel 1694 venne aggregato a quel patriziato. Con suo figlio Diego si estinse la sua discendenza.

Donna Isabella de Fiume, baronessa di Fusara, moglie di Domenico Calenda - Incisione sec. XVII,  A destra: Stemma de Fiume dei Baroni di Quaranta


Atto di investitura del feudo di Fusara alla famiglia de Fiume.
Per gentile concessione del dr. Gianpaolo Quaranta di Fusara

Rosa, sorella dei due gentiluomini. andò in sposa a Matteo del Porto, nobile di San Severino, dei signori delle Cappelle in San Giorgio, suffeudo dei Marchesi di San Severino.

Da Domenico nacquero Carlantonio e Gregorio.

Carlantonio, dottore in utroque iure e governatore nell’isola d’Ischia,  in occasione delle sue nozze con la nobildonna Alessandra de Cardona Teodoro, ebbe donazione dal padre di tutti i beni con vincolo di perpetuo fedecommesso e maggiorasco (3). Tra i beni vi era il feudo di Tavani, posto in pertinenza tra i territori di Roccapiemonte e San Severino.

Carlantonio tenne particolarmente al decoro del proprio casato, per questo motivo per evitare il pregiudizio sulla sua nobiltà,  derivante secondo le consuetudini del regno dal vivere e possedere in terra infeudata, ottenne dal viceré d’Avalos nel 1738 insieme al fratello Gregorio diploma di essere considerato cittadino privilegiato napoletano con le esenzioni relative. Egli inoltre rimpinguò il maggiorasco istituito dal padre perché aggiunse la casa ed il terreno in località Taverne di Nocera, stabilendo anche di dover contrarre matrimonio solo con donne di pari o maggiore nobiltà pena la decadenza del diritto ereditario.

Gregorio visse signorilmente in Taverne e, come il fratello, nelle Rivele di Nocera Corpo del 1755 è detto privilegiato napoletano.

Tra i figli di Carlantonio ricordiamo Domenico, Giuseppe, Scipione. Gli altri intrapresero la strada ecclesiastica e le donne vennero monacate. Tutti in conventi napoletani. Domenico passò gli anni giovanili viaggiando per l’Europa poiché ai mezzi provvedeva il maggiorasco. Aspra lite sorse tra costui ed i fratelli che pretendevano parte dei beni. Al ritorno da un suo viaggio Domenico fu assassinato e alcuni sospetti ricaddero sui parenti stessi. Giuseppe subentrò allora nel maggiorasco. Scipione tuttavia, abate del beneficio Calenda in Roccapiemonte, per evitare che i beni della famiglia passassero ai figli del fratello Giuseppe, si spogliò degli abiti talari e contrasse matrimonio con Dorotea Primicerio del villaggio Pareti della città di Nocera de Pagani. Da questo matrimonio nacque Gregorio nel 1797 che sposò Artemisia de Vincentiis.  Da loro vennero al mondo Vincenzo, Andrea, Enrico e Costanza. Enrico, ufficiale dell’esercito e Costanza, moglie del cavaliere Enrico Menzinger di Preussenthal, morirono in giovane età. Lustro ed antica grandezza ridiedero al casato i commendatori Vincenzo ed Andrea.

Vincenzo Calenda nacque a Nocera Inferiore nel 1830, sposò la signora Enrica Anelli. Nel corso della sua brillante carriera lavorativa fu magistrato chiarissimo, nonché Senatore del Regno d’Italia e Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti (15 dicembre 1893-9 marzo 1896) sotto il governo Crispi. Rese l'anima a Dio nel 1910.


Vincenzo Calenda di Tavani

Il Comune di Napoli ha intitolato una piazza, detta anche delle Mura Greche, in ricordo del giureconsulto Vincenzo Calenda, apponendovi una lapide nel 1914:

C. Capuano

Andrea Calenda, nato nel 1831,  ammogliatosi con la signora Carolina Giovanardi non fu meno del fratello. Anch’egli divenne Senatore del Regno dopo aver precedentemente occupato in molte città italiane la carica di Prefetto. Fu inoltre scrittore erudito ed intelligente di discipline storiche e nobiliari. Una delle sue opere più importanti è il romanzo storico “Raimondello Orsino: storia napoletana del trecento”.


Andrea Calenda di Tavani

Il senatore Vincenzo Calenda fu investito del titolo nobiliare di Barone di Tavani, autorizzato con regie lettere patenti del 20 luglio 1897. Titolo spettante ai soli maschi primogeniti.  Il titolo di Nobile col predicato di Tavani sul cognome venne riconosciuto con decreto ministeriale del mese di luglio 1881 ed è spettante sia ai maschi che alla femmine di casa Calenda.

Comune di Nocera Inferiore: targa e busto commemorativo del Sen. Vincenzo Calenda di Tavani

Altri Calenda diramazioni dei patrizi di Salerno ed  Amalfi sono quelli che hanno abitato nel villaggio di Croce Malloni in Nocera. A prova di questa notizia è il possesso della cappella gentilizia del Salvatore già dal 1500. Ai lati dell’altare si trova raffigurato lo stemma del casato, perfettamente identico a quello dei succitati patrizi, ossia il campo d’azzurro alla fascia sormontata d’un crescente montante accostato da due stelle di sei raggi, il tutto d’argento. Tra i vari personaggi di questa ramificazione meritano particolare menzione: Michele, dotto abate basiliano del convento di Materdomini di Nocera de Pagani, che riuscì a mantenere le opere di culto e a salvaguardare le sacre reliquie, gli importanti documenti e le preziose suppellettili, nonostante la soppressione del monastero durante l’occupazione francese.  E seppe reggere le sorti del famoso santuario mariano fino al 1828 allorché venne affidato alla cura dei Padri Minori Riformati (4).

Nocera Superiore (SA): facciata ed interno della Basilica di Materdomi

Francesco Saverio Calenda, Canonico della cattedrale di Nocera che dal 1809 al 1818 resse la diocesi in qualità di vicario capitolare succedendo all’arcidiacono Giovan Battista Villani dell’omonima nobile famiglia nocerina.


Nocera Inferiore: cattedrale di San Prisco - targa commemorativa. A seguire la cupola ed il sepolcro del Santo
Foto inviate dal collaboratore Matteo Fimiani da Montoro (Av)

Pasquale fu giudice di Gran Corte Civile e poi Consigliere della Suprema Corte. Abolita la feudalità, l’amministrazione civica di Nocera lo prescelse nel settembre 1806 con i Signori Vincenzo de Vincentiis, Antonino Villani, Orazio Tortora, Domenico Fronda e Luigi de Francesco a deputato per ringraziare sua maestà.

Luigi, Procuratore Generale presso la Gran Corte Criminale in Catanzaro e poi in Salerno, vanto della magistratura napoletana, il quale per essersi negato a decidere senza coscienza nella causa contro dei militari accusati di aderire alla setta della Carboneria, fu quasi sospettato di idee liberali e per questo, nel 1822,  messo a riposo nel vigore degli anni.

Il figlio Francesco nel 1841 domandò di provare la nobiltà generosa della famiglia per essere Guardia del Corpo a cavallo, ma la Real Commissione dei Titoli di nobiltà respinse il ricorso, affermando tra l’altro che l’autorità di scrittori circa l’ascrizione della famiglia Calenda al Sedile del Campo di Salerno non fosse valevole a dimostrare la nobiltà generosa della stessa.

Il casale di Petruro in Principato ultra posseduto nel XV secolo da Nicola Francesco Calenda, figlio di Cobella d'Afflitto, passò dopo l'anno 1550 ai coniugi Francesco Ottone Metelica ed Emilia de Pianca.
Il feudo rustico di Monteleone, terra situata in Principato ultra, nel 1489 apparteneva a Marcantonio Calenda (
† 1507) della città di Salerno; nel 1616 detto feudo ad istanza dei creditori di Ottavio Calenda della città di Benevento, figlio di Marcantonio († 9.10.1566), dottore in legge, e di Cornelia Galeota, fu venduto dal Tribunale del Sacro Regio Consiglio al dott. Scipione Marotta per ducati 17.000.

Per la genealogia si consiglia di consultare le tavole genealogiche redatte da Serra di Gerace.

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Note:
1) - Riconosciuta con Regio Decreto del 15 luglio 1881.
2) - Biblioteca Universitaria di Napoli
3) -
Il diritto di maggiorasco era, nell'antico sistema, il diritto del primogenito di ereditare tutto il patrimonio familiare. L'eredità andava di solito al figlio maschio maggiore, mentre gli altri ne restavano esclusi.

Il diritto di successione riservato al figlio cadetto (diritto di minorasco), in vigore nelle regioni con insediamenti sparsi, aveva lo scopo di conservare la dimensione delle rendite economiche.

Il maggiorasco era disciplinato da alcune norme legislative secondo cui il matrimonio, la trasmissione dei titoli nobiliari e dell’asse patrimoniale erano appannaggio dei soli primogeniti maschi. Il patrimonio era indissolubile e fedecommesso con la garanzia della sua conservazione.

Il destinatario del fedecommesso godeva dell’usufrutto generale dei beni con l’obbligo di conservarli per restituirli ai suoi successori. Per questi vigeva il divieto assoluto di alienazione, ipoteca, donazione, cessione e qualsiasi altra forma di suddivisione dell’asse patrimoniale, che peraltro era soggetto obbligatoriamente all’inventario.

Nel secolo XVIII, ai maschi cadetti era preclusa qualunque possibilità di contrarre matrimonio: per strategie familiari, erano destinati ad intraprendere o la carriera ecclesiastica o quella militare.

Nel primo caso, la scelta era influenzata dalla possibilità di godere di agganci politico-ecclesiastici; nel secondo, il potere derivante dagli incarichi assegnati consentiva di riflesso un’ascesa politica anche alla casata.

Solo nel caso in cui il primogenito non potesse garantire una discendenza, si concedeva eccezionalmente al cadetto la possibilità di contrarre matrimonio.

Il Codice Napoleonico, introdotto da Gioacchino Murat nel 1809, stabilì l'abolizione dei fedecommessi e l’uguaglianza ereditaria per tutti i figli. Così, anche coloro che fino ad allora erano stati esclusi o pretermessi, ora potevano prendere parte alla ripartizione dell’asse ereditario.

La Restaurazione del 1815 introdusse delle modifiche, riconoscendo la quota legittima da ripartire a tutti gli eredi in maniera identica senza più distinzione di sesso e di età, una quota disponibile e l’obbligo della collazione. Nonostante ciò, per consuetudine alle donne fu destinata la dote ma non l’eredità degli immobili, oppure il versamento di una somma di denaro allo scopo di evitare qualunque altra pretesa sull'eredità. Con l'Unità d'Italia fu abolito definitivamente il maggiorasco.
4) - Il notevole complesso monumentale venne fondato in età  medioevale (nella metà  dell’ XI secolo e consacrato da Papa Niccolò II nel 1061). Rappresenta uno dei più antichi santuari mariani della Campania, vantando più di mille anni di storia. La tradizione vuole che intorno al 1041 una contadina di nome Caramari (cara a Maria) ebbe una visione nella quale la Madonna le chiedeva di far scavare sotto una quercia  dove si trovava la sua effige, alla quale, solo in secondo momento, le venne dato il nome di Mater Domini, Madre del Signore. Attualmente l''icona è conservata in un tempietto del 1641 tutto rivestito di marmi policromi e porfido all’interno della splendida basilica neoclassica, ricca di stucchi, decorazioni e dipinti.

Custodi del Santuario e dell'immagine furono inizialmente i Frati Umiliati, detti Preti Bianchi. Dal 1631 al 1829 i monaci Basiliani; in seguito hanno retto il Santuario i Frati Minori di san Francesco d''Assisi.

Pregevoli sono le opere di A. Solimena, G. Diano, F. Guarino, B. Lama, L. Grimaldi, e numerosi altri.

Pio XI conferì al Santuario il titolo di Basilica Minore nel 1923.


Casato inserito nel 4° Volume di "LA STORIA DIETRO GLI SCUDI"

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